• 18 Novembre 2025
Cultura

Non lavorano, non cercano lavoro, sono apatici e indifferenti agli stimoli sociali, vivono in una situazione di inattività e precarietà prolungata, consapevoli di non aver futuro. I soloni che sanno tutto e giudicano tutti dall’alto delle loro certezze sociali li chiamano sbandati, fannulloni, figli dell’assistenzialismo magari targato reddito di cittadinanza, paraculi. L’invito è a non essere parassiti ma d’andare a lavorare riscattando il loro essere feccia sociale, e via cantando……

Sono i NEET (Not in Education, Employment or Training), quella quota di popolazione tra i 15 e i 30 anni né occupata e né inserita in percorsi di formazione per il lavoro.

Non se li filava nessuno; tutti presi a tutelare i propri diritti o far diventare diritti i propri desideri o interessi.

Nascosti tra i numeri dei disoccupati che non vogliono aiutare le imprese a progredire o al meglio fannulloni che preferiscono andare a lavorare all’estero, ora si scopre che rappresentano una categoria che “costa” allo Stato circa 24 miliardi. Quasi un’intera finanziaria.

E in un mondo dove il mercato scopre la risorsa umana come capitale era logico che i Neet (e il problema che in termini umani, sociali, psicologici, etici, rappresentano) fosse affiorato non in qualche seminario di studi sociali o agenda dei politici, di governo e non, ma al Forum Ambrosetti di Confindustria.

Veniamo quindi ai dati:

  • siamo secondi in Europa per numero di Neet, il loro costo è pari 1,23% del pil nazionale;
  • in Italia al maggio 2023, secondo l’Istat, ci sono 4.259.000 Neet nella fascia tra i 15e i 29 anni e 1.466.000 tra i 25 e i 34 anni, pur essendoci stato tra il 2000 e il 2023 un calo del 3,5%.

I Neet costituiscono una categoria a rischio frustrazione e ritiro sociale, non vedono un futuro alla loro portata, vivendo una “recessione senza fine” (Tito Boeri). Immersi in un disagio sociale, sono pieni di sfiducia e sul continuo limite delle patologie depressive.

Specie tra i 18/29 anni emergono gravi difficoltà a definire la propria adultità, ovvero a raggiungere l’autonomia dal gruppo genitoriale.

Questo, per i contesti sfavorevoli in cui sono inseriti, per le disuguaglianze sociali, la tendenza a non produrre per se e per gli altri, la non conoscenza del mondo del lavoro, per le esperienze scolastiche negative, le difficoltà economiche del gruppo familiare e talvolta per problemi di salute mentale come ansia e depressione, non spinge la categoria a fare una crescita dal punto di vista emotivo, consegnandoli ad un irrigidimento del livello di pensiero.

In questa fascia di silente disperazione il lavoro nero e lo stare a casa sino ai 30 anni permette di vivere come Neet. Non si ha piena cognizione del declino generazionale.

A ciò si aggiunge ancora di più la penalizzazione delle donne, le prime escluse dal mondo del lavoro che non investe più su di loro. Ricordiamo che le donne rappresentano il 69% dei Neet ed il 46% della presenza al sud.

Le risoluzioni proposte parlano di formazione lavoro e tecniche professionali, di rafforzamento dei carenti centri impiego per il lavoro e di sussidi per le imprese che assumono Neet. Ma la verità è che si vuole un contributo produttivo come materiale umano in un’economia vecchia. Il pendolarismo dentro e fuori il mercato del lavoro è una scelta organizzativa delle imprese.

Il 37,7% contro il 46,6% in Europa è la bassa percentuale di partecipazione a formazioni permanenti che dimostra lo scarso investimento delle aziende nel capitale umano di cui si avvalgono. Poi la non competitività fa scaricare sui lavoratori la bassa produttività.

Un ultimo dato che fa riflettere: in Europa sono stati attivati 856 progetti per recuperare Neet, creando 72.410 posti di lavoro; in Italia su 303 progetti finanziati creati 40.000 posti.

Occorre quindi mettere mano alla formazione del personale ed aumentare i salari, investendo in ricerca e innovazione, uscendo dai canoni di un’economia vecchia, aprirsi ad un’economia solidale, inclusiva e partecipativa dove lo Stato non sia solo spettatore e le imprese protagoniste assolute dei loro interessi. I Neet sono una questione, la nuova questione, sociale, e lo Stato deve riconoscere questa nuova emergenza sociale. Il ché non significa limitarsi a contributi alle imprese, ma dare forza ad una visione comunitaria e inclusiva che rimuova i cardini di un sistema fortemente ingiusto perché profondamente sbagliato.

Si prenda esempio dalla ricerca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano: “Tornare a desiderare” strategie di prossimità per intercettare i Neet. Dalla ricerca allo studio strategico ed al confronto per coinvolgere enti, istituzioni, scuole, imprese e giovani.

Lo sforzo deve essere quello di coinvolgere i Neet nel senso di comunità, spingendoli a desiderare.

Ogni Neet che smette di sognare o non desidera più è un pezzo della nostra ricchezza ed identità del nostro paese che scompare.

Autore

Pugliese, cultura umanistica, politicamente nazionalpopolare. Già Ufficiale Superiore dell’Esercito, nei Granatieri. Fondatore dell’Ufficio Storico dello SMD e collaboratore della CISM (Commissione Italiana di Studi Militari) sino al 2014. Dal 1980 al 1991 ha ricoperto cariche elettive istituzionali. Dal 1980 al 1984 è stato collaboratore dell’Ing. Giovanni Volpe per la “Fondazione Gioacchino Volpe”. Dal 1978 sino al 2000 è stato collaboratore dell’On. Pino Rauti.Nel 1978, con Rutilio Sermonti è stato tra i fondatori dei “GRE” (Gruppi di Ricerca Ecologica) primissima associazione ambientalista in Italia. Fondatore della rivista “Officina – Le ragioni nazionalpopolari”, ne è stato coordinatore editoriale dal 2001 al 2005. Dal 2016 responsabile organizzativo del Think Tank “I nazionalpopolari”. Attualmente è editorialista del mensile “Informa”, organo dell’Ordine dei Giornalisti del Molise.