
Riportare gli Stati Uniti al centro della scena globale nel settore dell’energia.
Era questo l’intento dichiarato dall’amministrazione Trump che, con la promessa di una “dominanza energetica” americana, ha spinto su deregolamentazione, taglio dei costi e rilancio della produzione nazionale, completamente a favore dei combustibili fossili. Ma a distanza di mesi dall’inizio del secondo mandato, l’immagine che emerge è tutt’altro che trionfante. Il settore energetico statunitense è in profonda sofferenza, messo in ginocchio da protezionismo, incertezza economica e una guerra commerciale che ha scosso dalle fondamenta l’intero comparto.
A dimostrare tutto ciò è il caso di Liberty Energy. Da quando l’ex CEO Chris Wright ha lasciato la guida dell’azienda per entrare nel governo, la capitalizzazione di mercato si è quasi dimezzata. L’azienda ha ammesso di essere solo una tra le tante colpite duramente dalle politiche della Casa Bianca. A complicare ulteriormente le cose è stato il crollo del prezzo del greggio americano, sceso sotto i 65 dollari al barile, una soglia al di sotto della quale trivellare non è più conveniente. Con una domanda globale in flessione, frenata anche dalle tensioni commerciali con la Cina, molte imprese del settore hanno deciso di tirare i remi in barca. In Texas, il numero di impianti attivi è precipitato ai livelli della pandemia. E con i costi di produzione alle stelle – spinti in alto dai dazi su acciaio e componenti essenziali – aprire nuovi pozzi non è più sostenibile.
Il presidente della Lone Star Production Company, T. Grant Johnson, ha descritto lo scenario con poche parole taglienti: “Tutti parlavano di ‘drill baby, drill’, ma nessuno trivella se i conti non tornano”. E non ha escluso risvolti politici: “Se questa situazione persiste fino alle elezioni di midterm, qualcuno dovrà pagare il conto”.
Paradossalmente, nemmeno la deregulation, tanto sbandierata da Trump, è riuscita a risollevare le sorti dell’industria. Le norme ambientali sono state smantellate, le politiche climatiche archiviate. Secondo Kevin Book, analista di ClearView Energy Partners, il problema è sistemico: “Le riforme regolatorie sono state vanificate dall’instabilità che le stesse politiche hanno generato”. In sostanza, l’industria è bloccata in una fase di stallo, schiacciata tra domanda fiacca, costi crescenti e un mercato confuso.
Trump ha cercato di minimizzare, attribuendo il momento difficile a dinamiche di mercato imprevedibili, ma la maggior parte degli analisti – e anche molti dirigenti del settore – puntano il dito proprio contro le sue scelte. Le pressioni sull’OPEC+ (Organization of the Petroleum Exporting Countries) per aumentare la produzione, con l’intento di abbassare i prezzi del carburante, hanno finito per inondare il mercato e schiacciare ulteriormente i margini dei produttori americani. Intanto, i dazi continuano a pesare. Non stupisce, quindi, che nel settore si parli apertamente di “bagno di sangue”. Alcuni imprenditori evocano scenari simili ai mesi più bui della pandemia. E persino tra i sostenitori storici del presidente, come Mark Waters – che vende attrezzature petrolifere in Texas – il malumore è evidente: “È paradossale, ma sotto i Democratici guadagnavo di più”.
Come se non bastasse, le energie rinnovabili sono finite nel mirino. Il blocco delle autorizzazioni per nuovi impianti eolici e la sospensione dei fondi pubblici hanno portato alla cancellazione di decine di progetti, soprattutto nel settore offshore. In totale, si parla di almeno 25 gigawatt di capacità energetica andati in fumo, abbastanza per alimentare milioni di case. Anche la filiera industriale delle rinnovabili sta pagando un prezzo salato. Fabbriche di pannelli solari e batterie sono ferme, e questo ha effetti a catena anche su altri settori, come quello dell’intelligenza artificiale, che richiede grandi quantità di energia pulita per alimentare i data center.
Alla prova dei fatti, la tanto decantata “dominanza energetica” rischia di restare poco più che uno slogan. Il comparto petrolifero è in una fase di incertezza profonda, mentre le rinnovabili, che sotto la precedente amministrazione avevano vissuto un boom, oggi sembrano un’opzione sempre più lontana. Se l’obiettivo era rafforzare l’America sul fronte energetico, i risultati finora raccontano tutt’altra storia, e cioè quella di un paese che sta perdendo proprio la sfida più importante dei prossimi anni.