• 19 Giugno 2025
Itinerari

Il tempo ha cancellato l’uso della transumanza, ma non ne ha cancellato la memoria, e ancor più da uno studio topografico della zona di Gioia Sannitica è possibile individuare ed in parte seguire gli antichi tratturelli che dal territorio si congiungevano con il Regio Tratturo Pescasseroli-Candela.  

I tratturelli, meno famosi dei tratturi, erano quei sentieri che congiungevano borghi e paesi con appunto i tratturi, che possiamo considerare le autostrade del territorio Sannita e che permettevano la transumanza dalle regioni dell’Abruzzo del Molise e della Campania, ovvero il periodico spostamento delle greggi di ovini e caprini verso il tavoliere delle Puglie.  

Il fenomeno della transumanza è qualcosa di antichissimo, antico quanto il popolo Sannita il quale sfruttò al massimo livello l’arte della pastorizia che divenne oltremodo la caratteristica economica principale di tale popolo. Questa caratteristica fu una parte così importante dell’economia non solo locale ma dei territori prima menzionati, che giunse ad essere tra il XVI° ed XVIII° secolo soggetto a una vera e propria cura di tali sentieri. Venivano impegnate dai regnanti e dalla nobiltà somme periodiche per la manutenzione dei tratturi e dei tratturelli con opere non solo di manutenzione “stradale” ma  anche di strutture dedicate a uomini ed animali come fontane, abbeveratoi, ponti. E’ anche vero che dall’epoca Normanna al 1792 in alcuni precisi punti bisognava pagare una  tassa la quale  in diversi momenti divenne un odioso balzello. Tale tassa conosciuta come “Diritti di Passo” cancellata e ripristinata una infinità di volte, ma ridotta e definitivamente abolita nel 1792. Questa era un obbligo anche per le greggi in transumanza quando in alcuni casi si ritrovavano a passare per luoghi forniti di particolari strutture quali i ponti.Per comprendere cosa si tassava l’esempio che segue della fine del XVII° secolo rende l’idea: ”la  tariffa base per tutte le merci era di 3 grana per salma, che per il grano scendeva a 2 perché di primaria importanza nellalimentazione umana; per 100 capi grossi di bestiame si pagavano 50 grana e 25 per quelli piccoli – capre, pecore ed agnelli – che poi risalivano a 30. La salma o soma, misura convenzionale locale,  era la metà del carico di un asino, che poteva portarne due sul basto: una a destra e laltra a sinistra. Si pagavano altresì 17 grana per i porci ed i castrati. La tariffa si applicava alle quantità intere ed in proporzione alle frazioni di merci o di centinaio di animali. Erano implicitamente esenti le persone comuni, mentre le prostitute in alcuni posti dovevano pagare il pedaggio. Una volta pagato il diritto, si era esenti dal ripagarlo se si riattraversava il passo con le stesse merci”

 C’è da dire in merito che tratturi e tratturelli solo in pochi casi incrociavano luoghi soggetti a dazio, considerando che buona parte di tali sentieri si sviluppavano tra boschi e montagne.  

Un elemento caratteristico soprattutto dei tratturelli è la presenza, all’inizio o lungo lo sviluppo del sentiero stesso di grotte dedicate al culto Micaelitico. Quasi tutti i tratturelli di Abruzzo, Molise e Campania denotano la presenza nel loro percorso (all’inizio o lungo esso) di grotte dedicate all’Arcangelo Michele, le quali erano in epoca Sannitica dedicate al culto della Madre terra offrendo oltremodo riparo e benedizione alle greggi ed ai pastori, continuando ad offrire un riparo anche dopo la conversione al culto di questi luoghi, con la particolarità che le due date della festività di San Michele Arcangelo coincidevano con la transumanza, ovvero l’inizio e la fine e dove era possibile, le greggi partivano dalle grotte. Molto probabilmente ciò accadeva per la grotta di San Michele a Curti che diveniva il luogo di partenza delle greggi del territorio di Gioia.  

Nel territorio di Gioia dallo studio topografico accennato all’inizio sono due i sentieri che conducevano dalle frazioni Curti e Calvisi in quota, ovvero i sentieri di Curti e Calvisi. Quello relativo a Calvisi, ancora esistente, si inerpica dolcemente dalla parte alta del paese fino a raggiungere il pianoro della fontana San Marco, un abbeveratoio settecentesco, e qui si incrociava con l’omologo sentiero di Curti che partiva dal lato destro della grotta santuario dedicata a San Michele Arcangelo.

Nella realtà dello studio si può pensare che i sentieri siano più di due e vediamo il perché. Dalla frazione Caselle lungo il limite tra i campi coltivati e la fascia boschiva esisteva il sentiero che collegava Caselle e Curti; a sua volta il capoluogo conserva ancora oggi il sentiero che collega Gioia a Caselle. Le greggi, lungo questi sentieri raggiungevano la Grotta di San Michele e dal lato destro di questa (per chi guarda verso l’ingresso) si dipartiva il sentiero che lungo “la costa e la custarella” giungeva a San Marco. Da Auduni e Criscia lungo un sentiero divenuto oggi una carrabile asfaltata si saliva fino a giungere alla chiesa di Curti e dirigersi poi alla grotta. Da Carattano e da Calvisi si saliva verso via Cupone su per l’antico sentiero che “mena alla costa San Marco”.  Da qui l’antico tracciato è stato sostituito da una larga carrabile sterrata la quale dopo un tratto in salita devia verso occidente e per un tratto di alcuni chilometri corre quasi in piano passando nel territorio di San Potito, Castello Matese, giungendo infine a meno di un chilometro da Miralago. E come per incanto questo stesso tracciato ad un certo punto incrocia il tratturello di Piedimonte Matese che dal quartiere San Giovanni (considerato il nucleo antico della città) si inerpica passando per Castello Matese fino al lago del Matese, anche se parte del percorso da Castello al lago non è più individuabile.  

Il tratturello passando dal quartiere San Giovanni in Piedimonte Matese faceva si che si lasciasse la piana di Alife e raggiunto il passo di Miralago incrociava il tratturello proveniente da Curti. Poi si discendeva lungo il fianco settentrionale della Serra delle Giumente permettendo così di attraversare la piana lacustre del Lago; da qui raggiungere il passo del Perrone, la fortificazione Sannita delle Tre Torrette che controllava la strada e la valle Uma per poi ridiscendere attraversando il santuario di Ercole a Campochiaro; infine raggiungeva la sottostante Piana di Bojano dove incrociava innestandovisi il tratturo Pescasseroli-Candela.

In pratica i sentieri descritti finivano per congiungersi a Capo di Campo a 1050 metri sul livello del mare, dove alcuni anni addietro la scoperta di un edificio ha permesso di comprendere come si strutturava il fenomeno della transumanza in questa area, e per quel che riguarda il territorio di Gioia quale fosse il percorso dei pastori dai nostri luoghi al Regio Tratturo. L’edificio oggetto di scavi dal 2010 ad opera dell’Università del Molise, la Soprintendenza Archeologica di Salerno, Avellino, Benevento, Caserta ed il Comune di Castello Matese, ha permesso in questi anni di portare alla luce le strutture di un edificio abbastanza articolato nel suo complesso dal punto di vista cronologico e di utilizzo. La struttura più antica è pertinente ad un edificio pubblico presumibilmente un santuario attivo nel II° secolo a.C. a cui fa seguito il riutilizzo dello stesso nel I° sec. a.C. dopo la defunzionalizzazione e l’abbandono dello stesso. Tale edificio non era però isolato nella piana poichè ad un centinaio di metri da questo sono stati ritrovate tra la bassa vegetazione una serie di blocchi calcarei allineati a formare un edificio quadrangolare ove il rinvenimento di ceramica lo datano al II° sec. a.C.  

Il riutilizzo di primo secolo fa anche pensare ad un recupero dopo la distruzione dello stesso, presumibilmente con gli avvenimenti della guerra sociale. Ma l’edificio è più volte abbandonato e riutilizzato fino agli inizi del IV° secolo d.C. come sembra suggerire il ritrovamento di monete e ceramica. Ma la cosa che più colpisce è il ritrovamento di un elevato numero di pesi di telai che suggeriscono un evidente legame con attività di lavorazione della lana e quindi di allevamento di ovini. È dunque ipotizzabile che l’impianto possa essere identificato con un saltus estivo, ovvero un impianto o azienda di media – alta montagna specializzata nello sfruttamento delle risorse pascolive durante l’epoca sannitica e romana poi.

Dunque il ritrovamento archeologico ha permesso di ricostruire anche le direttrici dei tratturelli del nostro territorio riuscendo così ad avere una immagine chiara di come si erano sviluppati nel tempo e bisogna dire che se la prima parte da Caselle a Curti non è più visivamente individuabile ed i primi 300 metri dalla grotta sono nella stessa condizione, oltre, le immagini satellitari permettono di individuare chiaramente il percorso nella sua completezza, rendendo così chiaro il lungo percorso che periodicamente i nostri antenati compivano. Di certo questo breve studio topografico recupera innanzitutto quelle informazioni raccolte un quindicennio addietro, frutto dei racconti orali degli anziani di Curti e Calvisi trasmessi di generazione in generazione i quali oggi come in una fotografia si trasformano in una immagine reale, permettendo così di recuperare al nostro tempo ed al tempo futuro, quell’antico fenomeno chiamato “transumanza”, che pareva dimenticato e scomparso.

Autore

Figlio della migrazione italiana degli anni 60 del XX° secolo, nato in Gran Bretagna e tuttora cittadino britannico a voler ricordare il mio essere nato migrante ed ancora oggi migrante (Interno). Sono laureato in Lettere (Università di Roma “La Sapienza) ad indirizzo Archeologico-Preistorico per la precisione in Etnografia Preistorica dell’Africa, un Master di primo livello in “Interculturale per il Welfare, le migrazioni e la salute” ed uno di secondo livello in “Relazioni internazionali e studi strategici”. Sono Docente a contratto di Demoetnoantropologia presso l’Università di Parma e consulente per il Ministero della Cultura in ambito Demoetnoantropologico. Mi occupo di relazioni con le comunità di diversa cultura del territorio di Parma e Reggio Emilia scrivo di analisi geopolitiche e curo una rubrica (Mondo invisibile) sul disagio sociale. Nel tempo libero da decenni mi occupo di ricerca antropologica, archeologica e storica del territorio della mia terra, della terra delle mie radici, Gioia Sannitica. Collaboro con diverse realtà divulgative e scientifiche on line (archeomedia.net- paesenews.it-Geopolitica.info-lantidiplomatico.it) creo eventi culturali, cercando sempre di dare risalto alla mia terra non intesa solo come Gioia Sannitica ma di quella Media Valle del Volturno, che fu il Regno Normanno di Rainulfo II Drengot.