• 3 Dicembre 2024
Editoriale

I peccati mortali della sinistra, che la condannano a perdere sistematicamente le elezioni, sono tre: l’ombelico, il deserto, il giustizialismo. Partiamo dal primo. La battuta di Giovanni Sartori sul Pd è sempre attualissima: “Vincono le primarie e perdono le secondarie”. Il risultato delle elezioni in Liguria è, da questo punto di vista, esemplare: il Pd fa il pieno di voti, cannibalizza il M5S, arriva al 28 per cento ma perde le elezioni. Perché? Appunto: perché “vincono le primarie e perdono le secondarie” ossia si dedicano alla contemplazione del proprio ombelico e lo confondono con il mondo che, invece, è molto ma molto più grande di loro. E’ il limite più vistoso della sinistra italiana che crede di essere la più bella del reame e, invece, non sa parlare il linguaggio della verità e della realtà. Gli elettori lo sanno molto bene visto che la sinistra non ha mai vinto le elezioni politiche – uniche eccezioni sono le vittorie di Pirro di Romano Prodi nel 1996 e nel 2006 – e ora perde anche le elezioni regionali.

Secondo: il deserto. La sinistra si auto-definisce riformista ma quando dalle sue parti compare un politico riformatore lo fa sistematicamente fuori. Anche qui c’è un caso esemplare: Matteo Renzi. Porta il Pd a raggiungere addirittura il 40 per cento dei voti alle europee ma la guerra che gli scatenano contro gli ex comunisti è senza quartiere e alla fine i padroni della Ditta riescono ed espellere l’intruso. Ma la guerra a Renzi è nient’altro che la regola sovrana della sinistra italiana che tra comunisti e socialisti, marxisti e riformisti è sempre stata dalla parte dei demagoghi anti-sistema (e questo giustifica anche il rapporto Pd – M5S). Non a caso l’uomo politico più odiato a sinistra non è stato né Mussolini – che in fondo era un socialista rivoluzionario – né Berlusconi bensì Craxi che da socialista riformatore tenne fermo il punto dell’anti-comunismo. Imperdonabile. Peccato, però, che fino a quando la sinistra italiana non accetterà l’anti-comunismo come valore necessario per la vita democratica non riuscirà mai ad allargarsi stabilmente al centro e facendo il deserto intorno a sé perderà sempre le elezioni.

Terzo: il giustizialismo. L’uso politico della giustizia non è un incidente della storia, una casualità che può e non può accadere. Invece, è iscritto, come sapeva molto bene Francesco Cossiga, nella storia della sinistra italiana che non potendo conquistare per via diretta il Palazzo d’Inverno ripiegò sulla strategia del cavallo di Troia che cavalcando malcontento e moralismo ha mirato a conquistare dall’interno le istituzioni repubblicane svuotandole della loro sostanza liberale. Ma il trucco di conquistare dall’interno la cittadella democratica da un lato è stato capito dagli elettori moderati e dall’altro ha un prezzo inevitabile da pagare: il primato (politico) dei giudici sulla politica della stessa sinistra che così, come dimostra il caso dei grillini, diventa la vittima di sé stessa e del suo profondo spirito illiberale. E il cerchio si chiude.

Autore

Saggista e centrocampista, scrive per il Corriere della Sera, il Giornale e La Ragione. Studioso del pensiero di Benedetto Croce e creatore della filosofia del calcio.