«Siamo soli… Ma soli non si è mai… Soli veramente, in mezzo a tanta gente…».
Correva l’anno 1993.
E il cantautore Luca Carboni cantava e diffondeva questa sua “tesi” ideologico-musicale, nel suo brano dal titolo «Faccio i conti con te».
Ebbene, una mia curiosità giornalistica sarebbe soddisfatta nel poterlo intervistare adesso sul tema, avendone l’occasione!
Per chiedergli se, casomai, egli avesse – chissà – cambiato un po’ la sua idea sull’argomento!
Ironia (o sarcasmo…) a parte, a prescindere dai dati di allora in materia – riferiti a quell’anno terzo degli anni ’90 dell’ultimo secolo dello scorso millennio (sic!) -, da attuali e autorevoli ricerche internazionali su tale tematica emerge che i tassi di solitudine siano crescenti in modo esponenziale.
E non sono particolarmente rilevanti – almeno stando sempre a quanto riportato da queste fonti – le differenze di genere e/o età.
Si tratta, dunque, oggettivamente di spiacevoli e purtroppo sempre più estese evidenze.
Che inducono, devono indurre, a una riflessione.
Esprimo (provo a farlo sinteticamente, ma la materia è vastissima!), dunque, la mia.
Innanzitutto, questa purtroppo dilagante e divampante solitudine di ciascuna delle nostre “essenze” – cioè di ciò che è il nostro peculiare io interiore -, la considero correlata, in particolare, a quello che io definisco edonismo ed egoismo dell’effimero “mordi e fuggi 2.0”.
Nel senso che, forse in un nuovo, “tecnologico” e a tratti eccessivo anelito verso il piacere e la (presunta) realizzazione personale, si stia purtroppo diffondendo in modo sempre più crescente la ricerca di instaurare rapporti con il prossimo esclusivamente per un gaudio egoistico e “a termine”, quasi “ad horas”.
O, comunque, del momento, dell’attimo fuggente.
Non mi riferisco, sia ben chiaro, solo ai rapporti amorosi, ma alla “plenitudo” delle dinamiche delle relazioni sociali, nelle varie e molteplici forme e “modus instaurandi”.
Assistiamo alla sempre più diffusa, spasmodica e fattuale ricerca di una sorta di – implicito o esplicito – “do ut des”.
Dove l’altro e/o l’altra vengono considerati unicamente per soddisfare i propri personali egoismi e gratificazioni del momento.
Con l’instaurarsi, come effetto “automatico”, di rapporti interpersonali sempre più effimeri, vacui e superficiali.
Non si rilevano, in effetti, gesti di reciproca comunanza umana che siano “puri”.
Nel senso che siano scevri da particolari significati – in qualche modo e in senso esteso – egoistici di tipo “strumentale” e materialistico del menzionato “mordi e fuggi”.
La mia sensazione è che stia dilagando la cultura – da intendersi sempre in senso metaforico -, del tipo «sono in contatto con te perché mi occorre, ad esempio, un consenso, un like, ecc…».
Insomma, un qualcosa che mi sia di utilità “concreta”.
E sovente anche effimera , poiché correlata a gratificazioni estemporanee.
In qualche modo o in qualche forma.
Per obiettivi non “disinteressati”.
E che il tutto sia in qualche modo “funzionale” a qualche mia finalità.
Sia ben chiaro, non mi riferisco – non solo e neppure più di tanto – alle dinamiche dei social.
La spontaneità dei rapporti umani, finalizzati esclusivamente a godersi reciprocamente la gratificazione interiore degli stessi – senza altre finalità in qualche modo “concrete” – sembra ormai una onirica chimera sulle ali dell’effimero.
Siamo quindi effettivamente pervenuti alla dilagante “solitudine dell’effimero mordi e fuggi 2.0”?
In me, in tal senso, sta regnando purtroppo sovrano il pessimismo della ragione…
Ma il mio auspicio (temerario?) è che possa nel prossimo futuro finalmente verificarsi – da codesta e siffatta “tipologia” di 2.0 – un punto nuovo.
Di inversione di rotta.
