Quando parliamo del territorio di Gioia in epoca antica, come più volte detto si deve pensare ad un territorio diverso da quello attuale, in particolare esistevano altre entità territoriali distinte che in qualche caso non avevano legami con l’antico Castro ubicato a Caselle. Una importante realtà per l’epoca medievale relativo al territorio è la presenza di proprietà fondiarie dell’ordine benedettino. La proprietà fondiaria più importante è quella relativa alla donazione del 1134 di Ruggero D’Altavilla Re di Sicilia e cognato del conte di Alife Rainulfo Drengot, che in quel frangente è ospite presso l’abbazia di San Salvatore Telesino e qui concede all’Abate Alessandro il privilegio feudale sul territorio di Carattano, che diviene feudo ecclesiastico pertinente dunque al monastero di San Vincenzo al Volturno da cui dipendeva San Salvatore. Ma nel territorio non vi sono solo concessioni fondiarie dei benedettini Volturnensi, poiché donazioni vengono fatte anche a favore del monastero di Santa Croce in Sepino. Nel 1229 feudatario di Gioia è Tommaso de Rocca il quale conferma al priore di Santa Croce una proprietà fondiaria “Tommaso de Rocca signore del Castrum di Gioia e di altre terre concede e conferma a Roberto priore del monastero di Santa Croce di Sepino una terra con ulivi ed alberi”. Ma non è la sola delle proprietà in possesso del monastero di Santa Croce, tra il 1143 ed il 1155 lo stesso monastero ottiene delle donazioni nel territorio di Gioia da parte dei conti De Molisio in un particolare momento di transizione del monastero che si avvicina all’ordine cistercense. E presumibilmente proprio su una di tali proprietà fondiarie tra il 1225 ed il 1226 viene a nominarsi per la prima volta il luogo dove sorgerà la chiesa oggi denominata della Madonna del Bagno. Nel 1226 è menzionata per la prima volta la costruzione della chiesa di Madonna del Bagno che la si voleva in onore della Beata Vergine e contemporaneamente la località di Tora ove la stessa doveva ubicarsi. Si tratta di un documento (perduto) con il quale il pontefice Onorio III° incaricava l’Abate di Montecassino di risolvere una controversia tra l’allora Vescovo di Alife ed il Frate Iacopo Fortunato, ove il vescovo si opponeva alla costruzione di una chiesa di cui la prima pietra era stata benedetta dal Pontefice mentre l’imperatore Federico II° l’aveva dotata di ampi possedimenti:
“Quum Alliphanus episcopus frati Iacobo Sancti Fortunati se opponat ad costructionem ecclesia in honorem Beata Viginis Ordinis Cistercensis in silva quae vocantur Thorae Alifanae diocesis cui frati Pontifex primarium lapidem benedictum concessit et Fridericus Romanorum imperator et rex Siciliae amplas possesiones”.

La particolarità non è tanto la vicenda dell’impedimento alla costruzione e quindi della controversia tra il vescovo di Alife ed il frate Iacopo Fortunato ma la motivazione e gli attori principali. Iacopo Fortunato era evidentemente un frate Cistercense e lo stesso si era rivolto a Papa Onorio III° per ottenere la benedizione per la costruzione di una chiesa, da costruirsi su un terreno di proprietà dell’ordine cistercense. In effetti è la denominazione della chiesa che chiaramente si riferisce all’ordine Cistercense volendola dedicare alla “Beata Virginis Ordinis Cistercensis” ovvero Beata Vergine dell’ordine Cistercense. Oltretutto in quell’anno era già in corso una divergenza con il vescovo di Alife il quale voleva impedire anche la costruzione di un monastero dello stesso ordine in località Fabbrica in Alife, dipendente dall’Abbazia della Ferrara (Onorio incaricò della controversia anche in questo caso l’Abate di Montecassino). Ma la particolarità della vicenda sta nell’importanza dei personaggi ovvero Onorio III° e Federico II° di Svevia detto lo Stupor Mundi. Onorio III° al secolo Cencio Savelli era stato dal 1197 fino alla sua elezione precettore di Federico II°. Dunque tra i due vi era un rapporto di stima e fiducia. Onorio III° ottiene proprio da Federico II° per questa chiesa nella Selva di Tora ampi possedimenti. E dunque l’importanza è proprio in questo particolare, che fa della piccola struttura un unicum nella Media Valle del Volturno ovvero una struttura ecclesiastica con beni elargiti dall’imperatore in persona. Oltretutto bisogna dire che il Vescovo del tempo (il quale è rimasto anonimo) riuscì ad impedire la costruzione del monastero Cistercense ad Alife ma non riuscì ad impedire la costruzione della piccola chiesa di Madonna del Bagno proprio perché il donatore fondiario era Federico II°. Concludendo, è vero che tra le righe della storia abbiamo inserito la presumibilità di alcune vicende, ma all’analisi dei fatti resta l’antichità e la certezza della data di posa della prima pietra (1226 ) ed il collegamento della piccola chiesa con Federico II° di Svevia. Oggi è probabile che le stesse proprietà fondiarie in uso alla piccola chiesa siano parte di quella elargizione di grande importanza morale, che Federico II° di Svevia, detto lo Stupor Mundi, l’uomo che unificò sotto la sua corona il Regno di Napoli, l’uomo che più di ogni altri del suo tempo fu emblema ed esempio di immensa cultura e grande integratore di culture. E concludendo non bisogna dimenticare che la piccola chiesa del nostro territorio ha nella sua fondazione il nome dell’Imperatore Federico II° di Svevia, lo stesso fondatore dell’Università di Napoli.
