
Siamo in un’epoca paradossale, dove la politica internazionale crea incertezza, con una ingerenza notevole nell’ambito economico, nello Stato di diritto, suscitando preoccupazioni e problemi di natura finanziaria e fiscale, in una sorta di bolla disfunzionale, dove l’immaginario collettivo non riesce a trovare un appiglio di legittima difesa, per liberarsi dalle oppressioni di un capitalismo finanziario imperante, ma esso stesso non più libero.
Una sorta di incertezza che annebbia la speranza dei semplici risparmiatori, umili accumulatori e grandi investitori che cercano in una disfunzione economica che aleggia nella globalità planetaria dove gli economisti cercano di spiegare e porre nuove prospettive e alimentare nuove responsabilità inversamente proporzionali alle politiche monetarie sovrane sia oltre oceano che nell’ambito europeo.
Con l’era trumpiana, impatta uno stravolgimento di percorso, dove l’era industriale cede il passo a quella finanziaria, creando margini di solitudine nei mercati, a causa di una politica fortemente ingerente, che si sta sempre più insinuando nel mercato globale, rubando lo scettro all’economia e all’azione pragmatica delle multinazionali. La fragilità dei mercati, gli stati d’animo che pervadono gli attori primari, ne sono l’esempio più eclatante, la politica e suoi imperativi ormai striscia, nelle varie classi di investimento sottraendo potere decisionale all’economia, sottraendole sovranità, che fu tipica del Mercato Comune Europeo, nel suo massimo splendore, quando paradossalmente si scivolò nella moneta unica e si declinò il massimo potere alla Banca Centrale. Un cambio di scettro che resta inconfutabile.
Ma questa disfunzionalità sebbene di natura scientifica, derivante dagli Stati Uniti, oggi, e dalla Crisi Ucraina ieri, riduce l’incertezza diffusa, verso un marginalismo politico, che si nutre di un allarmismo ricco del rischio che le super potenze in campo dovranno allocare, in termini monetari, nel breve le loro decisioni, rinunciando ai nazionalismi perseguiti, perché il loro futuro finanziario, non potrà cannibalizzare, l’Europa, isolandola sempre più, anche perché l’UE, non suole essere una Nazione emergente, e nemmeno un mercato emergente, dove la politica radicalizzata nelle diversità sovrane, subisce una mera instabilità di attuazione, anzi in mancanza di incertezze istituzionali, si forgia in una competizione economica sempre più preponderante, in un antagonismo interno delle parti, dove sebbene manca una coesione, si tenta di restare uniti e cooperare.

Tuttavia le diversità nazionali, sovrane, nel gioco delle parti politiche, hanno sviluppato un ingerenza anch’ella disfunzionale, venuta fuori, dalle varie elezioni politiche europee degli ultimi anni, che a causa di inattesi ma predetti risultati, talvolta, hanno sviluppato ed implementato relazioni commerciali indubbie, che hanno fatto vacillare lo stato di diritto, e anche la fiscalità in essere, in altre parole l’ingerenza della politica anche in Europa e non solo in America sta rischiando di deviare il mercato globale, creando risacche di solitudine, e di marginalizzazione economica nell’intera area euro.
La politica estrema americana del 2025, si riconosce antieconomica, per un futuro di liberazione, la cui narrazione trumpiana, scende in una retorica imperialista e poco globale, dove l’isolazionismo che sta preannunciando, non riuscirà nel breve periodo a risanare le sorti finanziarie degli Usa.
Il legame tra finanza ed economia resta imprescindibile e la capitalizzazione di mercato di molte multinazionali, sta purtroppo subendo le ingerenze di una politica, troppo imperante e dogmatica, un esempio è l’involuzione della Tesla, Brand di spicco di Elon Musk, che subisce a causa di ciò una discesa miliardaria inimmaginabile.
L’Europa inversamente nella sua solitudine, lasciata ad una governance poco pubblica ma molto finanziaria, recupera margini di isolazionismo politico e cresce in competitività economica, abbandonando gli ostacoli normativi, legati ad un sistema di asset macroeconomico troppo ecologista.
I drastici contrasti, e cambiamenti, suggeriscono che siamo in preda ad un delirio o meglio ad una schizofrenia politica di oltreoceano, e che la politica europea non può che aggirar negli effetti, evitando di assumere un atteggiamento da semplice mercato emergente, come stanno facendo gli Stati Uniti, infatti la politologia recente più accreditata, suggerisce concretezza economica e politica, attraverso una leadership pragmatica non prona ad un decisionismo disfunzionale, impattante e rivolto ad un mercato che di base spoliticizzato come quello finanziario, ma che sta subendo sbornie politiche troppo minacciose.
Certamente l’Europa suole nel suo isolazionismo politico compiere veri progressi, come è noto da sempre nei momenti di maggiore crisi suole crescere e trovare soluzioni che conservano la sua identità e la pongono in avanguardia rispetto alle criticità future.
L’Europa in barba agli antieuropeisti, per antonomasia resta l’ultima speranza di democrazia politica dell’occidente, in antitesi ai trumpiani e ai putiniani, grazie al suo motore di integrazione politica, che resta solido in ogni coalizione emergente, in ogni elezione, per una crucialità conservativa del passato, per non incorrere in derive storiche, per sanare una politica troppo pronunciata in un progressismo sfrenato e poco favorevole ad un futuro di sostenibilità epocale.
L’inter-governo franco-tedesca, cede il passo ad un sistema antirusso, a sostegno di una Ucraina, emblema di un Europa, che vuole essere centrale, nella sua geopolitica, e anche qui l’ingerenza politica assume una connotazione antieconomica, ma di mantenimento della difesa europea a prescindere dai giochi puramente atlantici, un atlantismo di nuova maniera che sembra in disaccordo con le remore della guerra fredda, ma che concorre ad una rivisitazione del riarmo europeo.
Un Europa in cerca di un protagonismo, di una difesa unitaria che forse costituirà un progresso di azione verso una statuizione unica, che non indebolirà ne le questioni climatiche , ne i programmi immigratori, e il sostegno per l’ucraina, ma incentiverà una leadership sempre più a destra della politica europea, per una sovversione, dell’imperialismo, cercando di non isolarsi, senza creare altri vuoti di potere decisionali, e senza boicottare la politica estera, ma abbracciando un potere temporale, di superpotenza, dove l’integrazione politica non deve essere l’ingerenza paradossale dell’economia, dove il ritorno all’economia reale e sociale, passa attraverso la competitività e la sovranità dell’Europa oltre i confini del Mediterraneo , oltre i confini dei Balcani, oltre l’atlantico, ponendo un freno disinibitorio commerciale, che spiazzerà la Cina e l’esportazione della sua crisi.
Tuttavia le relazioni con la casa bianca e suoi successori non sono controvertibili, le relazioni transatlantiche, conducono i politici europei ad una maggiore responsabilizzazione dell’attuazione commerciale e politica senza subirne il fascino, tenendo conto dell’Elefante nella stanza prima e dopo Biden, forgiando un autonomia strategica nonostante i refusi e ritardi, che imporranno una visione politica meno ingerente di quella americana, ma più geopolitica e geoeconomica al fine di dissipare la guerra dei dazi, le crisi mediatiche e quelle belliche, con una maggiore marginalizzazione di profitto.
L’Europa riconosce la sua solitudine politica e sa curarla, nonostante le difficoltà globali, pertanto l’America sarà agli americani, come l’Europa sta oggi agli europei, in una sorta di convivenza euroatlantica, indipendentemente dalle decisioni di una dittatura commerciale cinese, da un trumpismo shoccante, nonostante le trattative con Putin, senza la presenza rilevante dell’Europa, in una umiliazione plateale senza precedenti, dove il riconoscimento delle singole leadership nazionali, confuta, ancora una volta l’esempio di una politica troppo ingerente nelle sorti geopolitiche europee e d ucraine, schierarsi palesemente con l’aggressore e ignorare le rivendicazioni europee, mette a rischio, l’alleanza ma pur sempre in un gioco ambiguo delle parti, a cui l’Europa non si presta restando ferma ad un pacificazione con una soluzione di continuità senza precedenti, optando per le garanzie di sicurezza, infatti percorrere una strada impossibile e risolutiva resta la politica di un Europa ora unita più che mai che non si piega all’ingerenza americana e che non declina ad un gioco divisorio.
L’Europa in questa narrativa di solitudine sta ritrovando la sua unità e autonomia, declinando dai nazionalismi esterni ma anche da quelli interni, in una coesione di intenti e in una leadership di altri tempi, l’interdipendenza e una rinnovata idea politica conduce dritto all’indipendenza, alla sovranità, alla sostenibilità e ad una prosperità sognata e concretizzata. Ad una competitività economica, libera da ingerenze politiche finanziarie, per assicurare il futuro verso una realtà meno futuribile, ma più a tutela del mercato unico, in ogni ambito in particolare quello energetico, non isolarsi, non è un mantra moderno, ma la nuova spinta per il futuro, verso un Europa unita, Nazione, Stato, democratica, e sempre più sicura e aperta alle istanze del mondo globale. La pace non è un eufemismo, la minaccia all’integrità territoriale europea non è da sottovalutare, ma da integrare politicamente in una geografia delle persone e delle famiglie politiche europee, pertanto, una pace senza Europa è un paradosso e un’ingerenza relazionale, di altri tempi, perché la libertà non è un’illusione storica.