• 7 Novembre 2024
Editoriale

Molti hanno connesso il concetto di sovranismo con “le barbarie della storia” (Bill Mitchellin economista in “sovranità e barbarie. Il ritorno della questione nazionale” Meltemi 2018), dimenticando la sovranità dei popoli e in chiave retrograda hanno moltiplicato il concetto di idea di nazionalismo e deriva fascista.

In realtà taluna nomenclatura, politica moderna conferisce al “sovranismo” l’ipotesi di un’idea, profondamente inclusiva che se osservata invece in chiave rivendicativa è strumentale alla “sovranità” stessa, affonda le radici in una democrazia estesa, non solo esclusivamente nazionale ma anzi perentoriamente sovrannazionale. Per approdare ad uno Stato esteso, ampio che integra ogni diversità.

Infatti, abbandonando i vecchi nazionalismi, la sovranità riemerge da un’idea profonda di un europeismo riconquistato, di una democrazia delle diversità condivise in una Europa che vuole riqualificarsi, anche sotto il punto di vista di una riforma conservatrice, foriera di un rinnovato progresso di pensiero di destra, rivolta ad una autodeterminazione dei Popoli e delle loro Nazioni, per una tutela delle politiche economiche più sociali, al fine di una sovranità di coscienza civile e sociale del cittadino europeo.

Secondo una impostazione assolutamente scientifica, il sovranismo rivela dal profondo di una visione politica, quella “necessità” di assorbire ulteriori spazzi di sovranità democratica- popolare sovrannazionale, cedendo alcuni spazi di sovranità democratica-popolare nazionale, per cooperare in un ambito di governance pubblica, condivisa, determinando e autodeterminando con regolari elezioni europee, un processo di indirizzo politico ed economico, a partecipazione democratica- popolare, con l’intento di esplicitare i programmi elettorali di riferimento, di ogni gruppo politico.

In altre parole siamo ormai di fronte ad una sovranità nello Stato di rifermento, estesa dai cittadini della nazione con delega alla sovranità dello Stato, una primogenitura democratica che poi si allarga sino alla sovranazionalità dell’Unione Europea, dove l’attuale carenza di uno Stato centrale di diritto di riferimento sovrannazionale, comunque richiede maggiore partecipazione sociale e maggiore unità di programmazione, per il raggiungimento degli impegni programmatici elettorali della governance europea.

Con lo scopo di recuperare le numerose critiche, si evidenzia che da brevi disamine, fioriscono e riportano il “sovranismo” come un fenomeno o meglio come un’idea di destra, senza esclusione, della perdita non recente della “sovranità monetaria” attraverso l’ausilio strumentale della BCE, proprio l’uso della moneta unica consente secondo alcuni di capitalizzare forme e dinamiche estreme di euroscetticismo dilagante, per alimentare politiche poco integranti e acquisire consensi di partito, quando si marginalizzano e si rifiutano categorie sociali come gli immigrati, schiacciando un principio democratico di integrazione democratica europea, ma non è così, visto che l’Europa sfida senza indugio il fenomeno della clandestinità.

La verità economica monetaria europea infrange, comunque ogni dubbio, senza sovranità monetaria, gli Stati membri devono ricorrere alla banca centrale, che può si ridurci ad uno status di “ente locale o paese colonia “ (economista britannico Wynne Godley), ma che comunque tenendo conto di ogni aspettativa di crescita, l’Europa sta formalizzando un moltiplicatore di aggregazione di domanda interna, ben lungi da continuare a sottostare alla sovranità nazionale perduta, ma implementativo di una “unità europea” che comunque vuole attualizzare, una politica unica sia nell’ambito della difesa, nell’ambito fiscale, più propensa ad un regionalismo diffuso differenziato, che annovererà ulteriori perdite di sovranità nazionali, ma amplierà un maggiore discernimento verso l’abbandono di un neo-atlantismo soggiogato al fenomeno Nato e la sua sovranità mondiale.

Vero è che la modernità contemporanea deriva da una globalizzazione repentina, e l’internazionalizzazione economica ineluttabilmente ci ha catapultato verso un fenomeno e dinamiche di volontà politica che ci hanno destinato ad assorbire la sovranità economica e a cederla piano piano con forme di erosione sempre più speculative di mercati sempre meno sociali e reali e sempre più finanziari, assorbendo bolle speculative che ci hanno indotto ad abbandonare le politiche “keynesiane”, legittimando un potere ideologicamente monetario sempre più ordoliberale, innescando sempre più un processo di sovranità sovrannazionale a favore di una governance meno pubblica e più monetaria e comunitaria.

La sinistra ha inteso irrecuperabile il ritorno ad una sovranità assolutamente ed esclusivamente nazionale ma non per mancanza di amor di patria, benché loro la Patria la chiamano “Paese” come una privazione della sua femminilità materna, ma perché ipotizzano che qualunque ipotesi di riformabilità in senso progressivo o progressista, è impossibile e non di destra.

La democratizzabilità dell’UE e pertanto dell’Unione monetaria così precostituita, è del tutto illogica e assurdamente irrealistica, perché, ritengono i più che non si può riformare uno spazio di “sovranità allargato” che nasce con lo spirito di primogenitura di desovranizzazione  democratica degli Stati sovrani. Ergo il riformismo diviene impossibile concettualmente.

Altri ritengono addirittura che l’Europa ha ormai maturato un livello strutturale tale della sua sovranità che definiscono postdemocratica, e per questo irriformabile, sicuramente questa non è una logica pragmatica ma ideologica che si confà ad una sinistra di stampo progressista che munge da una certa area ecologista green, di altrettanto stampo finanziario, assecondata da una desovranità impopolare europeista.

Uscire dall’euro, resta ed è la formula meno riformista e conservatrice possibile, una insufficienza di visione, che comporta l’isolamento (l’isolamento è una barbarie del nazionalismo), e la riduzione del ruolo dell’Italia nella sua dimensione globale, faticosamente riconquistato dal nostro Presidente del Consiglio dei Ministri.

La transizione dell’euro non resta che digitale, tuttavia il recupero delle nostre sovranità si possono ripristinare in una logica di affermazione europea sempre maggiormente attiva e condivisa. Possiamo in qualità di europei, riappropriarci della sovranità, come realisticamente possibile, confermando intese e una cooperazione concreta con le attuali politiche di integrazione europea, rispettandone e recependo quelli elementi attivi conformi che nel breve periodo consentono una politica economica sostenibile, conformemente alle esigenze e alle aspettative dei popoli.

L’autodeterminazione dei popoli, vede il continente uno spazio vitale, per uno europeismo diffuso, dove il dominio dei popoli sia democratico e mai totalitario, anzi sia basato su una scelta fondamentalistica, ovvero economica, ma il ruolo congenito strutturale delle ideologie pur non pressando il pragmatismo comunitario, lo influenzano talvolta egemonizzando scelte e sviluppando crisi di non poca volontà politica.

Lo stesso euro e la sua formazione congenita, ha subito non poche pressioni, a stampo sovrano e anche intergovernativo, con spinte tedesche di rilevanza notevole, di tipo prevalentemente economica, infatti il narcisismo economico del marco ha inteso manipolare l’Europa ingabbiandola in un’aria valutaria propria, evitando di restare economicamente in una “esclusività elitaria economica” senza forme di europeizzazioni di ripiego.

Si può dedurre che il sovranismo pur risentendo di una forma di nazionalismo, a strappo tedesco, prescinde da queste origini, e derive di ideologismo e può acquisire una riforma strutturale che può unire l’Europa verso un continente sempre più Stato, dove l’autodeterminazione dei popoli si fonde con il principio della Nazione e della Patria.

La sovranità della politica resta sempre sovrana, escludendo il globalismo e il sovranismo, come un puro marchio di deformazione della politica e della geopolitica, pertanto l’anti-sovranismo, è un ginepraio industriato dal panico liberale e socialista di perdere la propria sovranità difronte alle crisi della politica stessa, e di non avere la capacità di discernere e decidere per una democratizzazione di qualità e d’un controllo delle masse che legittima scelte avulse dalla realtà.

Infatti il sovranismo tecnologico ci spiega quanta strada dobbiamo ancora fare per rendere, gli europei cittadini industriosi e competenti in grado di decidere autonomamente la qualità dei sistemi educativi, al fine di formare risorse atte al mondo del lavoro con grandi capacità competitive, che implementano la nostra industrializzazione, e la sottraggono dalla morsa cinese e statunitense.

Autore

Economista, Bio-economista, web master di eu-bioeconomia, ricercatrice Unicas, autrice e ideatrice di numerosi lavori scientifici in ambito internazionale. Esperta di marketing. Saggista, studiosa di geopolitica e di sociopolitica. È autrice dei saggi “Il paradosso della Monarchia” e di “Europa Nazione”. Ha in preparazione altri due saggi sull’identità e sulla politica europee.