• 18 Novembre 2025
Editoriale

Il riordino del gioco fisico è sicuramente una delle questioni più importanti non solo per gli operatori del settore. L’attesa per una regolamentazione nazionale che metta fine al caos attuale dura da anni, ma la soluzione sembra ancora lontana, innanzitutto perché il settore continua a non avere parte attiva nella stesura del documento che dovrebbe essere la base per disegnare il nuovo modello del gioco fisico, poi, perché continuiamo ad assistere al rimpallarsi tra l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ed il MEF del documento di riordino, che viene trattato come fosse un segreto di Stato senza che si riesca a “salire” al livello politico. Ci vorrebbe infatti un rappresentante autorevole del Governo che intervenisse mettendo allo stesso tavolo se non tutte le regioni, quantomeno i rappresentanti di quelle di centro-destra, invitandole ad una soluzione condivisa. Sarebbe un salto di qualità decisivo.

Se cosi non si procedesse si rischierebbe di andare incontro a tempi lunghissimi avendo fissato il Parlamento come termine per i decreti applicativi a fine 2026, cioè pochi mesi prima delle elezioni. Ma chi la farà questa riforma cosi complessa, difficile, divisiva? Chi si prenderà l’onere per un tema così sensibile con il rischio di scontentare una parte dell’elettorato? Bisogna tenere conto della situazione politica attuale: i Cinque Stelle più una buona parte del PD sono contrari, tranne qualche persona preparata come Pier Paolo Baretta, Mauro Maria Marino, Giorgio Benvenuto e continuano a fare terrorismo sul gioco pubblico. Purtroppo però queste politiche miopi di tipo proibizionistico sono messe in atto spesso trasversalmente da tutti gli schieramenti, frutto di una mancata conoscenza del settore. Chi dovrebbe prendere queste decisioni ha paura, secondo me ingiustificata, di essere impopolare, poiché non ha mai letto e studiato i vari il documenti, come quello dell’Istituto Superiore di Sanità, della Corte dei Conti, del Censis, dell’Istat, dell’Eurispes, di varie Università.

Basterebbe solo informarsi per evitare politiche obsolete, superate, dannose e riportare la questione su binari di equilibrio e sostenibilità.

In questa “ignoranza” sul settore rientra in particolare le lettura dei dati. E si cita sempre la raccolta, cioè il giocato, per attaccare il gioco pubblico e si nasconde la spesa reale sostenute dal giocatore.

Uno degli intervenuti ai recenti Stati Generali del Gioco Pubblico, ad esempio, ha dichiarato che: Per il gioco gli italiani spendono più della sanità. Ma non è così. Alla raccolta di circa 150 miliardi di euro vanno tolti i 127 miliardi vinti da giocatori, quindi che tornano nelle tasche degli italiani, la spesa effettiva perciò è di 20,7 miliardi. Di questi, più della metà (11,6 miliardi) va all’Erario, cioè a favore della collettività, mentre solo la parte restante cioè 9,1 miliardi va come ricavo a tutta la filiera, cioè dalle grandi multinazionali, alle varie imprese ed al semplice tabaccaio o barista. Senza contare che con questa parte si dà vivere ad oltre 150.000 famiglie. Ma tutti questi ragionamenti non vengono fatti dalla gran parte della politica, che anzi quotidianamente aggredisce il settore con numeri campati in aria e fa un vero e pericoloso terrorismo che, purtroppo, non viene contrastato adeguatamente dallo schieramento del centro-destra che dovrebbe essere invece sensibile alle ragioni delle imprese e delle famiglie.

Tempo fa ho partecipato alla Camera dei Deputati agli Stati Generali sul Gioco Pubblico anche con l’intento di verificare se l’intergruppo parlamentare coinvolto avesse davvero la possibilità di incidere sul percorso che sta facendo la riforma. Purtroppo sono rimasto deluso perché ho dovuto constatare la grave assenza dei rappresentati del Governo, cioè dell’interlocutore principale del settore. E poi mancavano i grandi player che hanno un peso specifico importante. Con queste assenze ogni discorso lascia il tempo che trova.

In particolare l’assenza del Governo conferma il suo comportamento incomprensibile sul tema del gioco pubblico ed, in particolare, sul riordino del gioco fisico. Eppure l’esecutivo potrebbe trarre spunto da quanto di buono è stato fatto in alcune regioni, anche se governate dalla sinistra, come la Campania e la Puglia.

Secondo un’indagine Unioncamere-InfoCamere relativa al primo trimestre 2025, in Italia sono 8.289 le imprese iscritte alla Camera di Commercio attive nel comparto giochi e scommesse, che a fronte di regole stringenti e investimenti significativi nella formazione – come la piattaforma interna lanciata dal 2016 per la gestione dei giocatori problematici -, subiscono la concorrenza sleale dell’illegale e il peso di politiche inefficaci. Infatti, tanto per citare qualche problematicità, le restrizioni orarie e le distanze dai luoghi sensibili, non hanno affatto ridotto le dipendenze, ma solo favorito l’espansione dell’online e del gioco irregolare. Inoltre tra il 2019 e il 2024, la spesa complessiva per il gioco è aumentata di 2 miliardi di euro, ma il canale fisico è calato di 1,2 miliardi, mentre l’online è salito di 3,2. Il risultato è una riduzione delle entrate fiscali per lo Stato, una minore tutela per il giocatore e una maggiore esposizione al rischio di criminalità. Ancora tra i tanti problemi che impattano sul settore c’è quello delle competenze. Non è semplice fare sintesi tra quelle del Ministero delle Finanze, del Ministero degli Interni e del Ministero della Salute, senza parlare poi delle competenze confuse e sovrapponibili tra Stato, regioni, province e comuni. Insomma un puzzle difficile da comporre.

Resta da risolvere poi il problema sempre molto sentito della destinazione del gettito che il settore del gioco versa all’Erario.

Bisognerebbe seguire la strada che hanno intrapreso altri paesi importanti come Spagna (come l’associazione dei ciechi ONCE), Francia e Inghilterra, nei quali una  parte delle entrate derivanti dai giochi hanno finalizzazioni verso il mondo del sociale e della cultura. Anche in Italia bisognerebbe destinare questi fondi direttamente a cause socialmente importanti e non farli soltanto confluire nella fiscalità generale.

E sarebbe importante, infine, anche per accorciare le distanze tra le varie posizioni, una compartecipazione degli enti locali alla distribuzione delle entrate. Si tratterebbe di una soluzione, anche in base al principio di sussidiarietà, equilibrata, giusta, visto l’impegno degli enti locali nelle attività di controllo e gestione del territorio, oltre che di informazione, di contrasto e di assistenza circa il fenomeno della ludopatia.

Autore

Riccardo Pedrizzi già Senatore della Repubblica per tre legislature (trai vari incarichi: Presidente della Commissione Finanze e Tesoro del Senato) e Deputato alla Camera per una legislatura (Segretario della Commissione Finanze), attualmente cura le relazioni istituzionali per Associazioni Nazionali e grandi aziende. E' Presidente nazionale del Comitato tecnico scientifico dell'UCID (Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti). Ha svolto la professione legale ed è stato assistente universitario. E' stato dirigente di un istituto di credito. E' iscritto all'Albo dei Giornalisti. Editorialista di quotidiani e periodici, ha contribuito alla riscoperta ed alla diffusione della cultura tradizionale e conservatrice. E' direttore della rivista “Intervento nella Società”. Ha scritto libri sul pensiero cattolico e di economia e finanza.