• 18 Novembre 2025
Editoriale

Gli economisti più accreditati, in particolare Draghi, spingono verso un modello di governance diverso da quello esistente, ormai ancorato ad una scelta decisionista che prescinde da una corporazione semplice dove la sovranità dei singoli Stati membri pur condividendo e rispettando le diversità culturali e il principio di sussidiarietà tendono irreversibilmente verso una illiberale governance dell’Unione europea nell’ambito della sua crescita. 

Tuttavia, il modello di crescita europeo a oggi è da ritenersi obsoleto perché presenta una evidente disfunzione diseconomica in ogni ambito a causa di una pluralità di dipendenze strategiche che avviliscono una uniformità di applicazione, sebbene dovuta ad una crisi generalizzata sia bellica che finanziaria, che  limitano risposte assolutamente concrete e pragmatiche nell’ambito dell’operatività dell’Unione stessa.

Siamo in un momento storico dove l’asset economico e il sistema economico evidenziano una coesione o condivisione corporativistica che ha realmente bisogno di uno scossone, di un rafforzamento non più intergovernativo o sovranazionale, ma di un primo passo, flebile verso il tentativo di una Federazione di Stati, che benché sovrani, possano godere di una sovranità più ampia di Stato, senza sopprimere la propria, dove la coesione e la condivisione possa cedere il passo verso, progetti comuni, impregnati di risorse comuni, volti ad una sicurezza e  un benessere comune, e che abbia come propedeuticità la eliminazione del debito sovrano di ciascuno.

Mentre il mondo è sgomento difronte ad un ulteriore assassinio politico, commesso violentemente per abbattere le ideologie e la profusione della libertà di pensiero, con Kirk, muore non solo l’idea libera,  ma anche l’antitesi di un mondo libero,  un mondo che non si libera dei fantasmi ideologici del passato, e trae un vantaggio strumentale aggrappandosi alla diffusione dell’odio, proclama ancora un eufemismo sociologico, anacronistico ai tempi, l’esistenza di un’identità estrema, che poco ha a che vedere con il neoconservatorismo moderno e le sue fondamenta riformiste, e che certamente non è simile ai valori di una destra identitaria moderna e per niente reazionaria.

L’indipendentizzazione politica europea di sinistra, nell’accadimento di questo assassinio atroce suscita ed evoca una carica ideologica, fonte di un illiberalismo di potere,  in parole, gioca un ruolo semantico nella politica di potere e sposta l’attenzione, e la propaganda sull’antifascismo, che sfugge dalla necessità sistemica di riformare la nostra vecchia Europa, ciò rende l’europeismo più fragile e meno appetibile rispetto ad una politica più attiva essendo meno pragmatico e concreto e sempre meno evoluzionista , calato in una dimensione esterna dove si suole trovare l’impedimento ad agire e al benessere di un’azione europeista più concentrata in una logica visione proiettata nel lungo periodo.

Il blocco ideologico che si vuole infliggere ad una visione conservatrice è evidente, e raccoglierne il gioco provocatorio strategico serve a chi dell’Europa non vuole fare una nuova identità di governance, a chi non vuole realmente una nuova Unione non solo di mercato e sovranazionale.

Seminare la paura tra i leaders politici è un gioco troppo prevedibile, nemmeno il timore di una terza guerra mondiale sembra far scivolare la preoccupazione degli stessi nel baratro di un escalation che fonda la sua posizione su supposizioni e minacce, avvalorate da un accelerazionismo della guerra russo -ucraina, consapevoli che la pace non si fa con la forza ma con una difesa resiliente, anche le idee non muoiono con la forza o la violenza di un omicidio, perché sopravvivono agli uomini stessi e spesso si rafforzano in taluni casi.

La montatura di scenari ormai diffusi nei mass media e nelle propagande meno pluraliste, non faranno scivolare l’Europa in un baratro di catastrofismo di maniera, o in tifoserie di partito, una leadership europea necessita di saggezza e pragmatismo, ed è volta al superamento di un vaniloquio eloquentemente dialettico, che fomenta l’odio e la divisione, resta una distopia di facciata che porta a capire dove volgere la rotta.

Dobbiamo in Europa e nel mondo essere resilienti per evitare baratri,  generati da mosse omicide o da droni che sconfinano nel territorio europeo, così dobbiamo porci l’obiettivo dell’unità europea, messo a repentaglio da un protezionismo atlantico e sottoposto ad un dominio commerciale cinese.

Ciò non è retorica e né ideologia di prima maniera, fare ponte tra l’Occidente e l’Oriente è compito di un Europa ristrutturata, che tende a crescere verso una visione di benessere complessivo e globale, per divenire una potenza senza eguali, proteggendo la sua territorialità e la sua identità.

Le minacce verso una competitività economica non sono poche e non solo strutturali ma anche sociali e politiche, restare inerti verso una crescita energetica, commerciale, industriale e digitale è pericoloso perché gli Usa filtrano il tutto con capitali,  azionari notevoli, con alleanze multiple per concepire una nuova idea di crescita, mentre l’Europa arranca visibilmente verso un instabilità di bilancio univoca, divisoria e separazionista dove i debiti pubblici mai uniformati, restano sovrani e in capo ad ogni Stato membro.   

Inoltre rincorrere le ideologie sistemiche, si affonda in una ulteriore minaccia di sovranità, e se questo avviene l’Unione europea rischia lo sgretolamento, rafforzare la nostra identità tecnologica, energetica e di sicurezza economica vuol dire riemergere verso un cambiamento controrivoluzionario, dove le violenze e le forze possono essere arginate da un neodemocrazia europea sovrana, da un neo modello di benessere economico dove i limiti di una forzata immigrazione siano arginati non solo da un integrazione di sussistenza e di assistenzialismo ma da accordi bilaterali voluminosi per creare un Europa estesa nel Mediterraneo, un Europa, centralizzata in tutti gli Stati del Mediterraneo, dove le presenze russofone e americane possano essere controllate da un nuova Unità europea.

Un nuovo modello intermedio di civiltà pacifica e collaborativa , fondata sulla credibilità di una nuova era di pace, dove le religioni non siano il mezzo per creare casi bellici ma il mezzo di diffusione di un linguaggio di pace, dove le ideologie devono essere suffragate da leggi chiare e non oppressive o protezionistiche, con obbiettivi rendicontati, volti al benessere di ogni Nazione, senza una corsa verso il profitto solo capitalistico, ma verso un vantaggio economico per i popoli e la loro sovranità.

Non serve il rigore e i suoi effetti collaterali già misurati e lasciati mi auguro in un passato remoto, dobbiamo liberare i popoli dall’ignoranza digitale,  dalla povertà e dalla sussistenza garantita, creare una nuova politica di azione economica dove nessuno sia lasciato nel ghetto delle sue impossibilità, non dobbiamo pensare ad un economia di sopravvivenza o di concorrenza multilaterale, bisogna colmare quelle lagune, che pongono i cittadini europei, in condizioni di mancanza totale di potere di acquisto, abbandonare l’odio ci fa vedere l’essere umano e le sue necessità reali.

Il popolo ha bisogno di crescere, non sono le strutture che necessitano di crescita o per esempio i cambiamenti ideologici, ma anche i cambiamenti sociali, i supporti sociali. Liberiamo le scuole da un’istruzione obsoleta legata non alla crescita dello studente ma al risanamento dell’editoria scolastica, volta a ingerenze e a manipolazione ideologica. Implementiamo spazi per socializzare e studiare, dove creare nuove idee e nuove startup evolute, scientifiche e sociali, consapevoli che il futuro lo progettiamo nelle università, nello stesso luogo dove in America hanno distrutto la libertà di pensiero con l’assassinio di Kirk. In particolare, le università come la Sapienza hanno bisogno di spazzi maggiori per studiare ma anche per esplicitare maggiore libertà nel libero pensiero, per crescere in armonia con il sapere.                    

Non basta riconoscere uno Stato, come quello palestinese per fermare una furia massacrante la dignità di un popolo, in parole, lavarsene le mani è rappresentata dalla via retorica di un riconoscimento, che non è sufficiente ma divisivo tra due popoli israeliano e palestinese che senza l’integralismo terroristico di Hamas avevano ritrovato un’intesa.

L’autodeterminazione dei popoli non nasce dall’indipendentizzazione geopolitica di sinistra, ma dalla coesione e condivisione politica, culturale e dall’integrazione identitaria delle diversità, con apertura di relazioni, formali e diplomatiche, come possono essere ogni sorta di iniziativa bilaterale suffragata dall’esercizio di una dimensione esterna pacifica, volta al benessere di entrambi.

Sbandierare una sola bandiera è antidemocratico e divisivo, significa alimentare un clima di odio che deve essere sedato e ricondotto alla pacificazione delle pretese avanzate, per fermare la catastrofe omicida israeliana, ridimensionare Hamas doveroso, annientarlo utopistico, siamo alle soglie di un inferno bellico, ai confini della realtà politica, e posizioni pluralistiche troppo astringenti non inducono ad una pacificazione e ad una distensione degli animi. Cessare il fuoco necessario, salvare gli innocenti assolutamente doveroso per l’intera umanità.

Ma quando una certa stampa continua a parlare di fascismo moderno, non tiene conto che essa stessa strumentalizza la storia, e crea nuovi consensi fondati sull’odio e che l’odio non ha confini, si estende ovunque, quando, se ne simula l’idea. Quando certi personaggi, gridano alla strumentalizzazione di un omicidio come quello di Kirk, differenziandone la provenienza ideologica impongono essi stessi una pressione, perché il distinguo tra morti di serie A e serie B, spinge verso la blasfemia ideologica, verso un contorto umanesimo di pensiero.

Distinguere le persone differenziandole per orientamento sessuale, per colore della pelle è una ghettizzazione, come uccidere le persone per la loro diversità di pensiero, e affermare che ciò sia stato giusto e inevitabile, è pregiudizievole perché se Kirk si è esposto oltre l’ordine mondiale, quell’ordine che ci vuole divisi, e uniformati ed allineati ad una identità estrema ed imposta, è perché credeva nelle sue idee.

Non neghiamo che ci sono forme di potere autoritario e totalitario, autocrazie spietate, ma esprimere i nostri pensieri, le nostre idee, resta la forma di libertà sovrana nell’universo ideologico sia questo il più estremo e disparato, e nessuno può definire ciò che non condivide estremo e combatterlo con violenza, perché le idee non si uccidono mai.

La violenza contro Kirk, o contro il popolo palestinese, non è sostenibile con altra violenza, trascendendo dal dialogo, dal confronto, dalla diplomazia.

Oggi ile idee sono schiavizzate dai social in un neo-medioevo dove il profitto fertile da coltivare è quello digitale, esponendo la cultura classica, madre di ogni scientifico e filosofico pensiero moderno verso la fine dei suoi giorni. Siamo manipolati dal capitalismo digitale, dall’establishment radical chic, che si purifica con una sorta di catarsi del politicamente corretto verso un ordine dove solo le minoranze sociali hanno dei diritti pur non vantando nessun dovere, e così demonizzano le proprie responsabilità sociali, economiche, politiche e creano un’alleanza tra il potere finanziario e il potere politico globale, in una globalizzazione che ha annullato la classe operaia eleggendola a classe istruita, impoverendo il ceto medio, ma impoverendolo anche nel pensiero indipendente .

In questo scenario sociale si sta cercando di distruggere il pensiero libero, si sta cercando di inficiare la libertà di espressione, e l’autodeterminazione di popoli che non possono essere indipendenti perché manipolati da un’élite alleata con il potere economico finanziario divenendo essa stessa il potere. Si spinge la massa popolare a manifestare contro sé stessa, ha violare ogni sacro valore identitario, strumentalizzando ogni minoranza ogni suo sentire, pur di propagandare un odio di parte volto a destituire un sospettabile regime che non c’è.                                     

Autore

Economista, Bio-economista, web master di eu-bioeconomia, ricercatrice Unicas, autrice e ideatrice di numerosi lavori scientifici in ambito internazionale. Esperta di marketing. Saggista, studiosa di geopolitica e di sociopolitica. È autrice dei saggi “Il paradosso della Monarchia” e di “Europa Nazione”, con prefazione curata da Gennaro Malgieri e autrice del libro di poesie "Un giardino d'estate".