• 18 Novembre 2025
Editoriale

Il Partito Democratico Europeo, passa dai diktat burocratici ad un tentativo di sostanza riformista, in commissione degli Affari costituzionali europei, proponendo un rapporto volto a riformare l’Unione europea per unirla sotto una formula assolutamente federale, appellandosi alla necessità di un indipendentismo globale dove il vecchio continente assuma una sua leadership politica competitiva a garanzia anche di una sicurezza e solidità  che liberi l’Europa ufficialmente da una morsa imperialistica di origine filo israeliana di stampo trumpista, e da una alleanza strategica tra Russia e Cina, al fine di affrontare virtuosamente le nuove sfide geopolitiche.

Rapporto copioso sostenuto da una larga maggioranza europeista, Ppe, S&, Renew Europe, e Verdi, che comunque sembra passare in sordina anche alla stampa ufficiale. Un rapporto dove si preannuncia un allargamento dei Paesi europei, per estensione a tutti coloro che fanno parte dell’integrazione dell’Unione Europea, definendo il processo di attuazione “Unificazione Continentale”. Una sfida rivoluzionaria capeggiata dalla Ursola von der Leyen, protesa alla riforma della governance europea, e si spera che si passi da una governance finanziaria e bancaria a una governance pubblica in senso stretto, per porre basi nel lungo periodo per la realizzazione di uno Stato unico centrale a cui ancorare la moneta a prescindere dalla sovranità della Bce.

Ma siamo agli albori di un processo ancora relegato al dibattito che va aperto, per coinvolgere tutte le famiglie politiche europee anche quelle conservatrici, al fine di passare da una maggioranza semplice ad una estesa ed efficace per riformare realmente l’Europa, verso una unificazione efficiente.

Un processo aperto, dove le varie identità sovrane europee dovranno confrontarsi su argomentazioni costituzionali sovranazionali , di non facile riforma, dove il principio di integrazione sarà esteso senza veto anche alle nazioni che stanno in attesa di integrazione e consenso di adesione all’Unione, al fine di eliminare dissensi ma anche di accelerare consensi e facilitare la riforma, che deve camminare velocemente per inseguire un asset geopolitico globale con mutazioni giornaliere improvvise e non reversibili come le sfide critiche non solo belliche ed energetiche derivanti dalle prime che si devono affrontare, così si pensa che molti blocchi e posizionamenti contrari saranno elusi applicando un principio di efficacia fondato sulla pluralità delle adesioni al processo di riforma, superando lo stesso principio scontato di maggioranza qualificata a tutt’oggi vigente.

Il rapporto punta secondo la volontà politica di maggioranza a creare o trovare nuove risorse per aumentare la ricchezza europea o meglio il tetto massimo di risorse finanziare di bilancio da sfruttare in una strutturazione cooperativista che diverrebbe formalmente imprescindibile, e al contempo vincolante, per implementare la materia militare di difesa europea, e qui la Francia di Macron docet, spingendo volenterosamente in sintonia con  Friedrich Merz, Cancelliere federale della Germania, verso un economia di conversione bellica, che possa dichiarare l’Europa una potenza. E ci risiamo, stiamo ristrutturando lo scenario inverosimile della Seconda guerra mondiale, passando per poteri forti avallati questa volta non da un solo Stato di riferimento quale era la Germania, ma da una maggioranza di Stati che della cooperazione esistente, vogliono tradurla in una federazione al fine di potenziare il settore bellico, a causa delle presunte verosimili minacce putiniane.

Ma dimentichiamo che la vera sfida democratica non è poi una riforma elettorale federale che possa conformarsi ad un principio transnazionale, al fine di potenziare il parlamento europeo, che legittimi il rafforzamento della incrementata potenza militare, in altre parole non sarà necessario aumentare i numeri di parlamentari in funzione dei più, paesi partecipanti, ma anche in funzione della maggiore partecipazione al potere declinato a Federazione di Stati. Ovvero ci sarà bisogno di una nuova istituzione pubblica, dove le commissioni non restino il centro del potere, ma solo il supporto ad una governance meno monetaria e più sovra costituzionale.

Qui si rischia di fare pesi ponderati diversi sulla potenza delle sovranità partecipanti che sembrano cedere la loro reale potenza ma ne acquisiscono una nuova in funzione della forza militare che apportano. Un po’ come l’azionariato di potere aziendale, che ti preclude di accedere ai dividenti in funzione della tua partecipazione in termini percentuali.

A oggi non esiste una vera cooperazione di Stati strutturata per una difesa unica europea, e nemmeno per una strategia di difesa, perché si era infatti pensato di passare da un mercato comune europeo basato sulla liberalizzazione degli scambi, alla ristrutturazione permanente in materia militare dove la semplice cooperazione diviene semplicistica e inefficiente. Certamente la crisi Ucraina e quella in Medio Oriente hanno alzato i toni delle necessità e dell’urgenza militare e paramilitare, e hanno liberalizzato il concetto di difesa sdoganando e accelerando i termini della questione, non più in termini e modi di coesione e condivisione, ma sviluppando un paracetamolo politico, che non sfiamma gli animi più accesi e innesca la necessità per un futuro che sembra essere solo bellico.

L’esigenza di una permanenza strutturale, si vuol farla passare attraverso una nuova identità costituzionale sovranazionale, camuffando la presa di potere commerciale forse basata solo sul traffico di armi e su una potenziale conversione dell’economia europea. Ma allora dovremmo chiederci se è reale la crisi dell’identità dell’Occidente, non basta aver proclamato il giorno della shoah e aver profuso fiumi di parole in testi storici, per capire che la democrazia quella vera deve essere funzionale non solo al potere e alla sovranità del demos sia esso nazionale o europeo, ma deve fungere al benessere planetario, che non può virare ai primi venti di guerra.

Finora abbiamo strutturato l’Europa sul principio della sussidiarietà, sui trattati, ora l’accelerazionismo vigente induce ad infrastrutture che richiedono continuità ma che non hanno fondamenti pacifici, ma si svilupperanno pur sempre sulla coesione finanziaria, che è detenuta da una governance finanziaria, ovvero da una banca centrale benché europea.

 Si parla tanto, vista l’urgenza, della mancanza di un esercito europeo, ma questo era necessario prima dei droni, prima dell’offerta militare altamente tecnologica, dunque, le alleanze strategiche delle multinazionali europee in tema di materia di difesa militare sembra che stiano facendo scuola, allora perché insistiamo sull’implicazione di un esercito che sicuramente prevederebbe costi elevatissimi anche umani in tempo di guerra, e perché una neo federazione nascente dovrebbe fondarsi su questi propedeutici, ritenuti tali dalla sinistra, presupposti bellici e non su un sistema di pace diplomatico amplificato, che ridisegni la geografia e la geopolitica sulla volontà dei popoli e non sulla autodeterminazione dell’élite politica, e sui sostegni o foraggiamenti di un esercito.

Non serve fare referendum per capire l’opinione pubblica su ciò, basterebbe ascoltare il grido dei bambini uccisi, violentati e inviati in guerra, basterebbe capire che la deterrenza bellica è necessaria ma svilisce il benessere dei popoli, basterebbe rivolgere la pace in delegazioni ricche di buoni propositi, come avveniva nei tempi antichi, alle corti più potenti, abbassare le pretese non è sinonimo di debolezza ma è una virtù diplomatica.

Oggi invece in questo rapporto si pensa al Buy European Act, ovvero allo sviluppo di consorzi militari, aperti a produttori anche non europei, ma con basi europee, in parole si vuole spingere non più al commercio e alla produzione di grano come è avvenuto già forzosamente in Ucraina, definita un tempo granaio di Europa, con l’intento di impoverire o meglio indebolire i popoli europei, ridurli a dover acquistare le proprie derrate alimentari o derrate energetiche altrove.

Un sistema integrato della difesa è auspicabile in tempi brevi, ma senza allarmismi e accelerazionismi fuori misura, le riforme hanno bisogno di saggezza e competenza e richiedono l’uso di valori necessari per conservare la nostra identità europea e la nostra diversità unificante. L’Unificazione Continentale è un eufemismo prebellico, una chiamata alle armi troppo incentrata su una spesa di 150 miliardi euro, che sembra legittima, difronte a nazioni, che hanno sistemi pensionistici sproporzionati e mai riformati o sistemi sanitari obsoleti, dunque, il giustificazionismo non è conservativo ma reazionario, l’accelerazionismo troppo rivoluzionario.

Le Nazioni europee hanno faticato secoli per divenire Stati moderni, garantiti da democrazie costituzionali, ora un colpo di spugna deve essere calibrato e la nazione Europa sta faticando ancora per mantenere la sua coscienza collettiva e la sua identità diversificata, un’altra crisi potrebbe spogliarci dei nostri valori.

Il passaggio da Europa delle Nazioni, ad Europa di Stati non è ancora del tutto completato , la cessione di sovranità, ristretta al comparto monetario ci ha reso popoli sovrani coesi che condividono valori, interessi comuni, identità, il federalismo non può prescindere dal centralismo delle nostre sovranità già permanenti, ma deve integrare prima ogni principio comune, questo processo non è stato completato e tantomeno garantito a oggi, le istanze di una comunità europea è minata da un surplus di immigrazione che domina lo scenario anche politico e che non riesce a trovare la vera valvola di integrazione, gli stessi cittadini europei sono schiacciati, da politiche anti comunitarie, un vero federalismo riformista deve partire dalle istituzioni oltre che dai metodi di applicazione delle politiche di integrazioni che ancora oggi rasentano anti democraticità, la ghettizzazione è un esempio e le periferie urbane un arma politica di tutte le città europee. Non esiste una vera garanzia dei territori, derubati dalla loro identità da un green deal ideologico e poco pragmatico, quasi surreale e futuristico, in un Europa dal cuore antico, dove l’identità territoriale e l’appartenenza ad esso domina ogni scenario culturale e patrimoniale, pertanto una federazione, potere di una riforma seria deve ancorarsi a istanze valoriali conservatrici, puntare ad un tessuto sovranazionale costituzionale, che guardi ad un pragmatismo concreto e non opportunista del momento volto a interessi interventisti macroniani.  

Autore

Economista, Bio-economista, web master di eu-bioeconomia, ricercatrice Unicas, autrice e ideatrice di numerosi lavori scientifici in ambito internazionale. Esperta di marketing. Saggista, studiosa di geopolitica e di sociopolitica. È autrice dei saggi “Il paradosso della Monarchia” e di “Europa Nazione”, con prefazione curata da Gennaro Malgieri e autrice del libro di poesie "Un giardino d'estate".