• 9 Febbraio 2025
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Il Calcio moderno ha meno di un secolo e mezzo di vita. La sua nascita avvenne formalmente nel 1848, quando un gruppo di studenti si riunirono presso il Trinity College di Cambridge e stilarono il primo Regolamento del Calcio conosciuto anche come le “Regole di Cambridge”. Meno di dieci anni dopo, il 24 ottobre 1857, venne fondata la prima squadra di calcio della storia, lo Sheffield Football Club. Oramai la strada era tracciata; il 26 ottobre 1863, presso la Freemasons’ Tavern di Londra, prese vita la Football Association, la più antica Federazione Calcistica che nel 1888 organizzò il primo Campionato Nazionale. C’è però un fatto curioso che oggi potrebbe stupire, ma che all’epoca era in armonia col contesto sociale elitario in cui si praticava il Calcio: per circa un quarto di secolo le partite si disputarono senza l’arbitro, una figura considerata inconcepibile per dei gentlemen inglesi che mai avrebbero negato di aver commesso un infrazione alla regola per sfavorire gli avversari. Le squadre avevano l’Umpire, una specie di consigliere esperto del regolamento che in caso di contrasto interpretativo si consultava col suo omologo dell’altra squadra per prendere la comune decisione. Ma con la rapida diffusione e popolarità del gioco crebbero gli interessi economici e si svilupparono le inevitabili quanto accese rivalità campanilistiche tra le tifoserie. A quel punto fu necessario trovare qualcuno su cui poter scaricare la colpa per un risultato sfavorevole e soprattutto renderlo il bersaglio preferito dell’ira dei tifosi. E’ così  che il 2 giugno 1891, nella stessa riunione in cui venne introdotto il calcio di rigore, l’International Board accolse la proposta della Football Association e creò il perfetto capro espiatorio: il Referee, l’Arbitro.

Potremmo parlare di tanti arbitri protagonisti di altrettanti episodi famosi; ne prenderemo in considerazione uno per tutti, seppure troppo sia stata amplificata negli anni la sua responsabilità in quella partita rimasta negli annali del Calcio. E’ mia personale opinione che generalmente l’arbitro sia il meno colpevole di ciò che succede in campo; tra l’altro, è quello che economicamente raccoglie solo poche briciole della grande torta che le altre componenti si dividono. Nel variegato mondo del Calcio attuale, soprattutto italiano, si giustifica tutto: la “papera” imbarazzante del portiere, la sequela di giocate sbagliate e le lacune tecniche dei giocatori in mezzo al campo, la punta che non realizza quel gol che anche sua nonna avrebbe segnato, l’allenatore in totale confusione tattica, tutti fattori che realmente determinano la sconfitta. Si giustificano tutti ad eccezione dell’arbitro e i suoi assistenti. Noi siamo gli inventori della polemica a prescindere e per questo contestiamo anche la  tecnologia attuale perché partiamo dal presupposto della mala fede nel suo uso. In Gran Bretagna, dove il Calcio è nato, non sopportano il Var perché il gioco è tale anche per gli errori, chiunque li commetta. Da noi la cosa più semplice e conveniente da fare è il solito Jaccuse contro il direttore di gara; di solito serve per nascondere le colpe di quelli che percepiscono una quantità ingiustificata di danaro a fronte dei loro scarsi risultati se non del loro fallimento.

Ma ritorniamo al nostro arbitro, a mister Kennet George Aston da Cholchester (Inghilterra) e della sua inadeguata direzione di gara del 2 giugno 1962 nella partita tra Cile e Italia al Mondiale di Calcio che si disputò proprio in Cile. E’ doveroso sottolineare che Aston ebbe un ruolo di primo piano nel mondo del calcio. Nel 1966 fu sua l’idea di adoperare i cartellini (giallo e rosso) per sanzionare i giocatori in campo e i cartellini vennero adoperati per la prima volta ai Mondiali del 1970. Nello stesso anno ebbe l’idea di far designare un arbitro aggiuntivo (il c.d. quarto uomo) che potesse sostituire il direttore di gara in caso di infortunio e nel 1974 fece introdurre la lavagna per indicare le sostituzioni in modo da renderle note a tutti e soprattutto velocizzarle; fu sempre lui a far uniformare e codificare la pressione del pallone di gara. Per i suoi meriti Aston ricoprì molti incarichi dirigenziali nel Calcio e venne insignito di diverse onorificenze. Prima di soffermarci su quella partita è però necessario ricordare gli antefatti che giocarono un ruolo importante sotto il profilo ambientale. Il 22 maggio 1960 si verificò in Cile la più violenta scossa di terremoto della storia, con una magnitudo di 9,5 gradi Richter! Al terremoto seguì uno spaventoso maremoto che raggiunse la maggior parte degli stati sul Pacifico; il fenomeno tellurico produsse anche l’eruzione del vulcano Puyehue. I morti furono circa tremila e gli sfollati oltre due milioni su una popolazione di circa sette milioni di abitanti; i danni prodotti all’epoca si potrebbero oggi quantificare in circa 8 miliardi di dollari. Il Cile, un paese già economicamente disagiato, venne praticamente messo in ginocchio. Alcune nazioni, tra cui l’Italia, ne approfittarono per cercare di farsi assegnare il Mondiale in sostituzione del Cile, ma fu deciso la competizione iridata restasse lì perché poteva rappresentare una grande occasione per risollevare, seppure in parte, le sorti economiche del Paese. Non fu solo quel maldestro tentativo a crearci delle inimicizie in Cile. Poco prima del Mondiale furono scritti due articoli con i quali i due inviati italiani parlarono del Cile in modo oltremodo offensivo. Il primo articolo uscì a firma di Corrado Pizzinelli, inviato del giornale La Nazione: “Denutrizione, prostituzione, analfabetismo, alcoolismo, miseria. Sotto questi aspetti il Cile è terribile e Santiago dolorosamente viva, e tanto viva da perdere persino le sue caratteristiche di città anonima. Interi quartieri della città praticano la prostituzione all’aria aperta… Il Cile, sul piano del sottosviluppo, deve essere messo alla pari di tanti paesi dell’Africa e dell’Asia: ma mentre gli abitanti di quei continenti sono dei non progrediti, questi sono dei regrediti”. A Questo si aggiunse il reportage di Antonio Ghirelli, inviato sportivo in Cile dal Corriere della Sera: “Il Cile è povero, piccolo, fiero. Ha accettato di organizzare questa edizione della Coppa Rimet come Mussolini accettò di mandare la sua aviazione a bombardare Londra. La capitale dispone di 700 posti letto. Il telefono non funziona. I taxi sono rari come i mariti fedeli. Un cablogramma per l’Europa costa un occhio della testa. Una lettera aerea impiega cinque giorni. Come metti piede a Santiago, ti rendi conto che l’isola di Robinson Crusoe galleggia tuttora a pochi passi da questa straordinaria striscia di terra lunga quattromila chilometri”. Diciamo che spesso alcuni giornalisti superano il limite della decenza e mostrano quanto sia sopravvalutata la loro intelligenza. Seppure fosse stato veritiero, un giudizio simile non solo fu inopportuno, ma non tenne conto che storicamente l’Italia era un paese di emigranti che a milioni erano sfuggiti alla più profonda miseria – la stessa che si imputava al Cile- trovando ospitalità e iniziando una nuova vita anche in Sud America. Certamente non ci facemmo degli amici in Cile, anzi ci aspettarono al varco per regolare i conti.

Nel primo turno del Gruppo 2 Italia e Germania Ovest avevano pareggiato 0 a 0 mentre il Cile aveva battuto la Svizzera per 3 a 1. La partita del secondo turno tra Cile e Italia si disputò allo Stadio Nazionale di Santiago davanti a 66.000 spettatori e fu subito chiaro quale sarebbe stato l’andazzo. Dopo 5 minuti David entrò piuttosto duramente sul numero undici cileno Leonel Sánchez; arrivò Jorge Toro che spinse platealmente l’azzurro che per tutta risposta assestò due calci al numero otto del Cile. Nel parapiglia che ne seguì il numero otto dell’Italia, l’oriundo Humberto Maschio colpì Sánchez con un pugno al volto, ma non fu visto dall’arbitro e dai suoi assistenti. Dopo soli due minuti un fallo di reazione di Giorgio Ferrini, per un intervento subito da tergo dal cileno Honorino Landa, provocò l’espulsione dell’italiano. Durante la discussione che ne seguì Maschio ricevette un pugno al volto da Sánchez. L’arbitro Aston, voltato e impegnato a discutere con Ferrini, non vide: Maschio si ritrovò con il naso fratturato e rimase in campo in precarie condizioni perché a quell’epoca le sostituzioni non erano ancora ammesse (nei campionati nazionali furono introdotte nella stagione 1965/66 e ai Mondiali a partire da quello del 1970). Nel frattempo, per far uscire dal campo Ferrini dovettero intervenire i Carabineros de Chile, la gendarmeria; il loro intervento fu necessario altre tre volte durante la partita! Al 38′ di gioco vi fu lo scontro peggiore della partita: Sánchez, finì a terra su un regolare contrasto di David, tant’è che il guardalinee messicano Buergo, distante qualche metro, non segnalò alcuna irregolarità facendo proseguire il gioco. Mentre il cileno era a terra David rientrò sulla palla e sullo slancio scalciò nuovamente l’avversario. Il guardialinee sbandierò l’irregolarità mentre Sánchez, dopo essersi rialzato, sferrò un pugno al volto di David; ciononostante non  ci fu sanzione e il gioco riprese con una punizione a favore del Cile. Pochi minuti dopo David entrò nuovamente su Sánchez in gioco pericoloso colpendolo con un calcio alla spalla e Aston lo espulse senza esitazione. L’Italia, in nove contro undici e con Maschio infortunato, non riuscì a evitare la sconfitta. Vinse il Cile 2-0 con le reti di Ramírez e Toro. Nella terza ultima partita del Gruppo il Cile fu sconfitto 2-0 dalla Germania Ovest mentre l’Italia, nonostante il successo contro la Svizzera per 3-0, venne eliminata proprio per la sconfitta subita contro il Cile.

Per meglio comprendere che cosa fu quella partita è sufficiente riportare le parole del commentatore televisivo David Coleman; presentando per la BBC la telecronaca registrata della partita nel Regno Unito disse testualmente: ≪Buon pomeriggio. Lincontro a cui state per assistere è lesibizione di calcio più stupida, spaventosa, sgradevole e vergognosa nella storia di questo sport».

Per noi italiani la sconfitta col Cile fu esclusiva colpa dell’arbitro Aston, reo di aver espulso due nostri giocatori, ma di non aver sanzionato allo stesso modo i giocatori cileni per identici comportamenti. Probabilmente Aston non era mentalmente preparato per affrontare una cosa simile e ne fu frastornato, restando così incapace di tenere le redini della partita. Ma a questa generalizzata, semplicistica e soprattutto unica giustificazione preferisco l’analisi lucida e il giudizio tecnicamente corretto che della partita ne diede Maurizio Barendson, uno dei nostri più competenti ed equilibrati giornalisti sportivi che scrisse:Tre sono le cause principali alle quali si deve addebitare il risultato della nostra avventura in Sudamerica. Innanzitutto la eccessiva ipersensibilità dei nostri giocatori e la loro confermata incapacità a reagire ai colpi degli avversari con la freddezza, l’astuzia e la disinvoltura necessarie, specie di fronte alle provocazioni. In secondo luogo figura il prevenuto e insufficiente arbitraggio che ha ribadito la già eccessiva espulsione di Ferrini con quella inconcepibile di David autore di un fallo di gioco pericoloso ma non certo intenzionale. E ancor più grave la incapacità arbitrale è emersa nel caso della mancata espulsione del “pugilatore” Leonel Sanchez. Altra causa della sconfitta è da ricercarsi nell’eccessivo numero di sostituzioni effettuate nella nostra compagine e nello smembramento della squadra che aveva incontrato la Germania, collaudata almeno psicologicamente e che aveva rotto il ghiaccio. Errato il criterio della doppia squadra: è stato per lo meno presuntuoso da parte nostra considerare con indifferente tranquillità la possibilità di rendimento di due squadre, quando è risaputo che a stento ne possiamo mettere in campo una”.

Non c’è dubbio che Kennet George Aston ebbe le sue colpe, ma gli si devono concedere le attenuanti specifiche: pensava di dover arbitrare una partita di calcio ed invece si trovò a dover dirimine una rissa da saloon del Far West.

Mi torna perciò in mente uno splendido racconto scritto da Osvaldo Soriano di cui ne è protagonista William Brett Cassidy; si diceva che fosse figlio del leggendario bandito Butch Cassidy, quello magistralmente interpretato da Paul Newman nell’omonimo film. Più o meno dal 1940 e per oltre una decina d’anni William Brett Cassidy girovagò con ogni mezzo per il Sud America giungendo fino in Patagonia. Leggeva Hegel e Spinoza, rapinava banche e si batteva a duello per un nonnulla. Soprattutto si fermava nei posti più reconditi e spesso malfamati per arbitrare incredibili partite di calcio tra altrettanto mirabolanti protagonisti degni dei racconti del Barone di Münchhausen. Per arbitrare non usava il fischietto, scendeva in campo col cinturone allacciato in vita e la pistola nella fondina. Come tanti in quei luoghi e in quell’epoca portava la pistola per difesa, ma sul campo di calcio la usava sparando in aria per dividere i giocatori che si prendevano a botte o per convincere qualcuno ad accettare la sua decisione. Ancora oggi in qualche occasione avrebbe fatto comodo averlo come arbitro.

Autore

Nato a Napoli nella seconda metà degli anni cinquanta. Sportivo appassionato, calciatore in gioventù, dirigente sportivo di società del settore giovanile. Avvocato con molteplici hobby e scrittore a tempo perso, ha pubblicato due romanzi e una raccolta di racconti di Calcio.