Il calcio è uno sport che unisce nella passione qualsiasi sia il ceto sociale, il grado di istruzione, la posizione economica, il lavoro svolto; purtuttavia resta lo sport popolare per eccellenza, l’evento principale di quella che una volta era la domenica della buona gente. I club più importanti hanno sede nelle grandi città per ovvi motivi, ma il calcio si pratica soprattutto in provincia, nelle zone spesso più povere da dove solitamente provengono la maggior parte dei giocatori. Non è mai stato uno sport per snob ed è perciò strano che all’inizio degli anni sessanta un giovane calciatore venisse deriso e quasi rifiutato con arroganza dai compagni di squadra per la sua provenienza da una umile e povera famiglia di provincia e per il suo basso grado di istruzione. Ma quel ragazzo timido e impacciato seppe conquistarsi la stima e il rispetto di tutti diventando l’idolo delle folle, tanto da essere soprannominato Bomber der Nation, il cannoniere nazionale, per le sue eccezionali doti di goleador.
Gerhard Müller, detto Gerd (Nördlingen, 3 novembre 1945 – Wolfratshausen, 15 agosto 2021), è stato uno dei più forti centravanti di tutti i tempi, sicuramente quello con il maggior istinto da killer dell’area di rigore. E’ collocato al 13° posto nella classifica dei migliori giocatori del ventesimo secolo stilata dall’IFFHS. Con il Bayern Monaco vinse 4 campionati tedeschi, 4 coppe nazionali, 1 Coppa delle Coppe, 3 Coppe dei Campioni e una Coppa Intercontinentale. Con la nazionale della Germania Ovest è stato Campione d’Europa nel 1972 e Campione del Mondo nel 1974, segnando i gol decisivi in entrambe le finali. Con Valentin Koz’mič Ivanov, Dražan Jerković e David Villa è uno dei quattro calciatori ad avere vinto sia la classifica dei cannonieri dei Mondiali (1970) che degli Europei (1972). Vincitore del Pallone d’Oro nel 1970 e di due Scarpe d’oro nel 1970 e 1972, è stato uno dei cannonieri più prolifici della storia del calcio avendo realizzato 732 reti in 790 incontri –con la eccezionale media realizzativa di 0,93 reti a partita- delle quali 68 in 62 presenze con la nazionale della Germania Ovest. Con 365 gol realizzati è ancora oggi il miglior marcatore nella storia della Bundesliga; il secondo, Robert Lewandowski, ne ha segnati 88 di meno.
Aveva un modo di giocare tutto suo; era come se in campo non ci fosse, forse nemmeno ci si accorgeva di lui fino a quando il pallone finiva in rete ed era quello che esultava con le braccia alzate per aver segnato. Udo Lattek, il suo allenatore al Bayern Monaco, diede di lui la migliore definizione: “Giochiamo in dieci uomini e Gerd. Lui si batte per la squadra ma è oltre la squadra. Nel calcio si dice che i gol degli attaccanti sono la conseguenza della costruzione del gioco della squadra, beh…non so mica se è proprio sempre così. Gerd è rapido ma non rapidissimo, c’è di meglio. E’ ben piazzato, certo, ma la forza non è la sua caratteristica principale. Ha un buon tiro, ma in giro c’è gente molto più brava. Ha un dribbling elementare anche se preciso, ma è ininfluente per il suo gioco, può benissimo non utilizzarlo. Nel gioco aereo non è male, ma non è una torre. Tecnicamente se la cava, ma non è la sua dote. Eppure non troverete un attaccante migliore di lui, né ora né probabilmente mai. Gerd vede le cose prima che si materializzino, non ha un sesto senso per il gol, lui è il sesto senso del gol”.
Gerd Müller proveniva da una famiglia di umili origini; i suoi genitori riuscivano appena ad assicurare l’indispensabile ai cinque figli e lui riuscì a conseguire solo il diploma di scuola elementare. Iniziò a lavorare come saldatore nell’azienda Bremshey, pur giocando nelle giovanili della squadra della sua città, il TSV 1961 Nördlingen dove ebbe la fortuna di avere due allenatori che credettero nelle sue potenzialità, i croati Čajkovski e Zebec. Il primo lo scoprì e lo lanciò in prima squadra, il secondo ne affinò le caratteristiche tecniche e tattiche. Nel 1964, quando aveva diciannove anni, il Bayern Monaco ebbe la grande intuizione di acquistarlo avendone valutato le grandi potenzialità. A quell’epoca il club bavarese aveva già in organico Sepp Maier e Franz Beckenbauer e cercava di fare il salto dalla Regionalliga Süd (la Serie B tedesca) alla Bundesliga; vi riuscì nel 1965 e Müller sarà uno degli artefici principali dei successi futuri del Bayern che diverrà una grande del calcio europeo e mondiale.
La carriera di Müller con la Nazionale della Germania Ovest fu relativamente breve -otto anni-, ma ricca di soddisfazioni. È uno tra i pochi calciatori con più di 50 presenze in Nazionale a vantare più gol segnati che gettoni di presenza, 68 gol in 62 partite. Con la nazionale Müller esordì in un’amichevole contro la Turchia nel 1966; già l’anno dopo si rese protagonista con una quaterna (la prima di quattro) all’Albania nelle qualificazioni per il campionato europeo del 1968. Due anni dopo prese parte ai Mondiali messicani del ‘70 e si laureò capocannoniere con 10 gol; nella leggendaria semifinale a Città del Messico contro l’Italia segnò due delle tre reti tedesche. Con la Germania Ovest divenne Campione d’Europa nel 1972 segnando due dei tre gol con i quali la Germania Ovest sconfisse l’Unione Sovietica nella finale di Bruxelles. Vinse il Campionato del Mondo del 1974 segnando, tra gli altri, il gol che decise la finale a Monaco di Baviera contro l’Olanda. A soli 28 anni decise di non giocare più in Nazionale.
Anche Müller si cimentò con il calcio statunitense che Pelè stava riorganizzando reclutando i grandi calciatori a fine carriera. Quando nel 1979 lasciò il Bayern Monaco fu ingaggiato dai Fort Lauderdale Strikers, squadra della Florida militante nella North American Soccer League. In tre stagioni segnò 40 gol, riuscendo anche a raggiungere la finale nel 1980. Nel 1982 si ritirò dal calcio giocato.
La sua vita personale fuori dal campo di gioco fu comune a quella di tanti altri, con una sola quanto particolare eccezione di natura sentimentale. Nell’ottobre 1965 conobbe la sua futura moglie Ursula Ebenböck mentre beveva un caffè alla stazione di Monaco di Baviera. All’epoca lei aveva 16 anni e Müller venti. La coppia si sposò nel 1967 e sua moglie divenne anche sua manager; ebbero una figlia nel 1971 che diede loro un nipote. Ma gli accadde una cosa davvero particolare, una storia dove la realtà e la sola immaginazione si mescolano fino a confondersi. Noi giovani degli anni ’50 ascoltavamo i vecchi nati alla fine dell’800 che spesso ci ripetevano una loro massima: “Nella vita di un uomo ci sono due donne: quella che lo aspetta a casa e quella che porterà nel cuore per tutta la vita”. E’ ovvio che la frase va contestualizzata nel modo di vivere e di pensare di quell’epoca tanto distante dal mondo attuale, ma a volte sembra davvero che certe dicerie diventino realtà.
Nel dicembre del 1967 la nazionale della Germania Ovest si recò in Albania per una partita di qualificazione agli Europei e tra i convocati c’era Gerd Müller. La delegazione tedesca alloggiava all’Hotel Dajti, il migliore che l’Albania potesse offrire all’epoca. Fu qui che il destino fece incontrare Gerd con una giovane cameriera albanese conosciuta solo con il nome di Hojna. A quei tempi l’Albania era uno dei paesi più poveri, totalmente isolato dal mondo esterno e governato da un regime comunista feroce e oppressivo che aveva rotto i rapporti persino con i maggiori paesi comunisti come Russia, Cina e Jugoslavia. Sotto la dittatura di Enver Hoxha il paese viveva in uno stato di paranoia costante, controllato dalla Sigurimi, la polizia segreta che nulla aveva da invidiare alla Stasi tedesco orientale. In questo clima di terrore ogni contatto con stranieri era visto con sospetto e i cittadini albanesi rischiavano l’arresto e la detenzione, persino la pena di morte, per il semplice fatto di parlare con uno straniero. La follia del regime era tale che persino possedere una radio che potesse captare le frequenze estere era considerato un crimine.
L’incontro tra Gerd e Hojna dovette per forza di cose essere breve e furtivo; gli sguardi si incrociarono nei corridoi dell’hotel, forse ci furono parole sussurrate in lingue reciprocamente incomprensibili ma che esprimevano lo stesso universale sentimento. Fu il classico colpo di fulmine, ma per Hojna anche solo scambiare qualche parola con Müller rappresentava un rischio enorme. Per Gerd, abituato alla libertà dell’Occidente, dovette essere difficile comprendere la situazione e la cosa finì lì, come il fugace incontro tra due adolescenti il cui legame era inviso dalle rispettive famiglie. Il destino volle che le strade di Germania Ovest e Albania si incrociassero nuovamente nel 1971, questa volta per le qualificazioni agli Europei del 1972. La delegazione tedesca ritornò all’Hotel Dajti e per Müller dovette essere un momento di grande emozione. Non si seppe mai se i due si potettero parlare o quantomeno rivolgersi uno sguardo furtivo prima che la squadra tedesca ripartisse. La carriera di Müller proseguiva tra successi e gloria e nel 1967 sposò la sua fidanzata Uschi. Ma il pensiero di quella cameriera albanese, simbolo di un amore impossibile, non lo abbandonò mai. Per Hojna la situazione era ancora più difficile. Vivendo in un regime totalitario non aveva modo di cercare informazioni su Müller o di seguire la carriera; poteva solo sperare che un giorno, per qualche miracolo, il calciatore tedesco sarebbe tornato in Albania. La storia poteva finire qui, ma nel 1985, quattro anni dopo il ritiro di Müller dal calcio professionistico, si presentò un’opportunità inaspettata. Il Flamurtari FC, club albanese, si qualificò per la Coppa delle Coppe e fu sorteggiato per affrontare l’HJK Helsinki nel primo turno. Müller contattò l’HJK con una richiesta straordinaria: voleva un contratto per una singola partita, solo per poter viaggiare in Albania con la squadra e poter cercare di rivedere la ragazza. La posizione dell’HJK era difficile. Avere una leggenda come Müller, anche se a fine carriera, sarebbe stato un colpo mediatico senza precedenti, c’era però il timore di poter provocare un incidente diplomatico. Nonostante la recente morte di Enver Hoxha, l’Albania rimaneva pur sempre un paese chiuso e pericoloso. Alla fine, prevalse la cautela e l’HJK declinò la richiesta di Müller che subì una cocente delusione. Uno degli aspetti più misteriosi di questa storia degna della cinematografia di Hollywood è il mistero che avvolge Hojna, ammesso che questo fosse davvero il suo nome. Non si sa che cosa le sia accaduto dopo gli incontri con Müller; in un’Albania dove ogni contatto con gli stranieri poteva essere punito severamente, Hojna dovette correre rischi enormi anche solo parlando con Müller. La sua identità è rimasta nascosta fino ad oggi e non si sa se sia riuscita a mantenere il segreto sulla vicenda, portandosi dentro il ricordo di quell’incontro fugace e struggente con un giovane e affascinante straniero venuto da un mondo a lei sconosciuto. Davvero una storia d’altri tempi.
Dopo il ritiro dal calcio Müller dovette affrontare un lungo periodo di depressione che lo condusse anche all’alcolismo. Dopo la riabilitazione, nel 1992 i compagni di squadra del Bayern divenuti dirigenti del club lo ingaggiarono nello staff tecnico come allenatore delle squadre giovanili. Il 6 ottobre 2015 il Bayern Monaco comunicò che Müller era affetto dalla malattia di Alzheimer. Da quel momento l’ex attaccante visse in un centro medico specializzato fino alla morte avvenuta la mattina del 15 agosto 2021; aveva 75 anni.
La devastante patologia gli cancellò ogni ricordo; sarebbe però bello credere che almeno per pochi attimi riuscì a ricordarsi delle sue gesta sul campo di calcio e soprattutto di quell’amore impossibile restato per tutta la vita un sogno irrealizzato.
