• 13 Febbraio 2025

Mondiale di Calcio del 1966 in Inghilterra. Il 19 luglio, con calcio d’inizio alle 19,30 ora di Greenwich, allo Stadio Ayresome di Middlesbrough si giocò Italia – Corea del Nord, la partita che per sessant’anni sarà ricordata come la pagina più nera nella storia della nostra Nazionale. Per una debacle della stessa portata dovremo attendere il 13 novembre 2017: a San Siro l’Italia pareggiò per 0 a 0 con la Svezia e fu esclusa dal Mondiale in Russia dell’anno successivo. Peggio ancora, visto l’avversario,  accadde il 24 marzo 2022 quando a Palermo fummo sconfitti per 1 a 0 dalla Macedonia del Nord e non partecipammo nemmeno al Mondiale in Qatar giocato a fine anno.

Ma per i tifosi che oggi hanno i capelli  imbiancati dal tempo la partita giocata a Middlesbrough resterà per sempre la macchia indelebile sulla gloriosa storia della nostra Nazionale. Ci guidava Edmondo Fabbri; predicava e praticava un gioco più aperto e moderno che aveva portato il suo Mantova dalla Serie D alla A. Era il contraltare del c.d. “gioco all’italiana” che tanto aveva dato all’Inter di Helenio Herrera e che trovava uno dei suoi massimi sostenitori in un famoso giornalista “lumbard”, quello che considerava  l’Italia solo dalle Alpi alla “Linea Gotica” poco più a sud della quale riteneva che ci fossero già gli africani. E siccome (secondo lui) gli africani non giocavano ancora a calcio,  anche a sud della Linea Gotica il vero calcio non si praticava, quantomeno non aveva pari dignità con quello del nord. A suo dispetto tra i convocati di quella Nazionale c’era anche Antonio Juliano; il capitano del Napoli prese parte anche all’Europeo del ’68 e ai Mondiali del ’70 e del ‘74. Fabbri  non ebbe vita facile anche se nel ritiro di Durham non venne ammessa la stampa per disposizione del Presidente Federale, Giuseppe Pasquale. Certamente non eravamo attrezzati per la vincere il titolo. C’erano i padroni di casa dell’Inghilterra di Bobby Charlton, Moore e Hurst, il Portogallo di Eusebio, la Germania Ovest di Beckenbauer, Seeler e Haller, la Russia del leggendario Lev Jašin; ma un buon piazzamento finale era nelle aspettative generali.

Al netto delle polemiche, eravamo in un girone tutto sommato comodo, con l’Unione Sovietica netta favorita, il Cile e la Corea del Nord. Alla prima uscita avevamo battuto il Cile per 2 a 0, ma alla seconda perdemmo per 1 a 0 dall’Unione Sovietica anche per lo stravolgimento della formazione. La partita con la Corea del Nord, seppure decisiva per passare il turno, sulla carta non poteva costituire un ostacolo trattandosi di una squadra di dilettanti allenati con quella disciplina militare comune a molti di loro. Per quella partita ci fu la contro rivoluzione: in porta Albertosi della Fiorentina, poi Landini, Facchetti, Guarneri e Mazzola dell’Inter campione d’Italia; Janich Fogli, Perani e Bulgarelli del Bologna, Rivera del Milan e Barison della Roma. L’errore che pagammo a caro prezzo fu quello di far giocare Bulgarelli che aveva un ginocchio malandato. Della Nazionale  coreana e della stessa Corea del Nord poco o nulla si sapeva, come del resto accade ancora oggi. Qualche maligno disse che indossando le stesse maglie del primo tempo, nel secondo i coreani avrebbero potuto schierare un’altra squadra, tanto non se ne sarebbe accorto nessuno. Ma dalle facezie all’incubo il passo fu breve. In Italia guardammo la partita in televisione, ovviamente in bianco e nero e con immagini non proprio ad alta definizione; ci accompagnò la telecronaca dell’indimenticabile Nicolò Carosio.

Dopo tre grosse occasioni da gol sciupate con Perani e Barison accadde ciò che si temeva: Bulgarelli si fece di nuovo male al ginocchio già disastrato e perciò restammo in dieci (all’epoca non c’erano le sostituzioni che sarebbero state introdotte ai Mondiali del’70). Se giocare alla pari contro avversari che correvano il doppio era già difficile, figuriamoci con un uomo in meno. Fu il segno premonitore di quello che nessuno si sarebbe mai aspettato.  “Rete. Pak Doo Ik, Pak Doo Ik ha realizzato; siamo al quarantaduesimo del primo tempo”. Questo il commento di Carosio che scandì lentamente le parole con un tono pacato che però non nascondeva l’evidente sconcerto. A casa ci guardammo come se non fosse stato vero ciò che avevamo visto. Nel secondo tempo cercammo in tutti i modi di ribaltare il risultato; sprecammo una grossa occasione con Perani e una con Rivera anche per merito del sorprendente portiere Li Chan Myung, ma ci esponemmo in almeno due occasioni al pericolosissimo contropiede dei coreani salvandoci la prima volta con un uscita coraggiosa di Albertosi,  la seconda con un tiro finito fuori di poco. Ma non ci fu nulla da fare, il destino aveva già scritto il risultato e finì 1 a 0 per la Corea. Erano le 21,15 ora di Greenwich quando si udì il triplice fischio del francese Schwinte; su Middlesbrough erano già calate le ombre della sera, ma sull’Italia fu notte fonda.

Chiuse il collegamento la voce di Carosio con il suo laconico commento: “LItalia è eliminata dalla ottava edizione della Coppa Rimet”. Il resto è cronaca. All’aeroporto di Genova attendevano la squadra centinaia di tifosi inferociti che si produssero in un fitto lancio di pomodori e uova all’indirizzo di giocatori e dirigenti. Edmondo Fabbri dovette attendere quasi un’ora prima di poter scendere dall’aereo, sotto scorta. Fu lui il capro espiatorio della disfatta che segnò il resto della sua vita. Cercò di spiegare l’accaduto con una presunta “cospirazione” ai suoi danni. Accusò la Federcalcio di aver abbandonato la nazionale e di aver scaricato la responsabilità del fallimento su di lui; per questo ebbe sei mesi di squalifica. Del goleador di quella partita, Pak Doo Ik, si disse che in patria facesse il dentista, ma fu solo una diceria. Se in piena Guerra Fredda c’era la “Cortina di Ferro”, attorno alla Corea del Nord c’è n’era una d’acciaio e perciò tutto restò nel vago mondo delle ipotesi. In realtà era un caporale dell’esercito coreano; sapeva fare il tipografo e dopo la ferma militare divenne insegnante di educazione fisica. L’unica cosa certa fu il clamoroso esito di quella partita. Ma dal tonfo ci sapemmo rialzare presto: due anni dopo diventammo Campioni d’Europa battendo la Jugoslavia  nella doppia finale di Roma e quattro anni dopo, al Mondiale in Messico,  ci arrendemmo solo nella finale dell’Azteca a quello che forse fu il miglior Brasile di sempre. Ma dopo sessant’anni le tenebre di Middlesbrough sono ancora lì che incombono.

Autore

Nato a Napoli nella seconda metà degli anni cinquanta. Sportivo appassionato, calciatore in gioventù, dirigente sportivo di società del settore giovanile. Avvocato con molteplici hobby e scrittore a tempo perso, ha pubblicato due romanzi e una raccolta di racconti di Calcio.