• 19 Giugno 2025
Cultura

La presenza di una metropoli di taglia europea quale era Napoli nel XIX secolo all’interno di quello che era il territorio della Campania, si individua nelle coerenze e nella compattezza di alcuni territori a scala regionale che fungono da chiave di volta di taluni dei suoi favorevoli indici economici per quanto storiograficamente spesso si è guardato la negatività di alcuni elementi. Gli indici economici favorevoli, il reddito pro-capite, le infrastrutture, l’attivo delle casse dello stato, derivano in buona parte dai meccanismi di controllo, di prelievo che si attua attraverso il monopolio delle funzioni statali e dei servizi pubblici, l’attrazione delle rendite provinciali, la concentrazione dei traffici commerciali.

Il sistema produttivo ricalcava una sistemazione “Federiciana” la quale aveva ben conscia le capacità produttive dei territori rispetto all’ambiente geografico, tanto da restare comunque funzionale nel XIX secolo e creare un sistema di reddito per le aree più interne della regione, che riusciva a fornire un sufficiente tenore di vita. In effetti per quanto si possa dire il reddito pro-capite era tale da consentire attraverso un sistema produttivo multiplo, il costante incremento della popolazione e la mancanza di fenomeni migratori. Un sistema protezionistico delle produzioni cerealicole permetteva un’aggiunta del reddito, nel senso che una parte importante delle coltivazioni del grano, o meglio le eccedenze, venivano sistematicamente esportate all’estero.

La regione conosce relativamente tardi un vero e proprio sviluppo industriale, nei primi anni del XIX secolo si svolgono attività manifatturiere nei settori tessili, della carta e meccanici. Tali manifatture non sono però organizzate secondo il sistema della fabbrica accentrata, ma diversamente e soprattutto positivamente intrecciate con le attività agricole dando vita a differenziati sistemi di organizzazione del lavoro. Tali sistemi in una visione di coabitazione permettevano significativi incrementi di reddito come detto, riuscendo oltremodo ad avere un inserimento nell’ambiente circostante virtuoso, in particolar modo verso quegli elementi che oggi chiamiamo della salvaguardia della natura nel suo insieme. Il virtuoso esempio è riscontrabile nella lavorazione e produzione della canapa, del lino, della lana e poi del cotone dove si alternano e convivono pluriattività e proto industria. Un fenomeno assai diffuso di pluriattività è riscontrabile nel campo tessile che vede l’impiego prevalente di donnele quali con l’ausilio di utensili di loro proprietà, producono beni destinati in parte all’autoconsumo, in parte alla vendita attraverso i vaticali nelle fiere e nei mercati. Diversamente nel sistema protoindustriale risultano impiegati anche gli uomini, qui le macchine non sono proprietà del lavoratore, questi è un salariato ed il prodotto è destinato alla commercializzazione.

La pluriattività in Campania riguarda in modo particolare la lavorazione della canapa dove tale fibra è coltivata accanto ed in alternanza alle produzioni cerealicole ed in presenza di allevamenti bovini; un esempio presente in Terra di Lavoro è l’area compresa tra Trentola, Capua, Santa Maria, Caserta, Maddaloni, Marcianise, Acerra e Marigliano, nella provincia di Napoli a Frattamaggiore, Casoria, Cardito. In misura minore si lavora e si coltiva nei circondari di Fondi e San Germano (attuale Cassino) nelle terre di Serino, Forino, Avellino e Montella, nell’agro nocerino sarnese dove risulta più diffuso il Lino.

La protoindustria laniera si concentrava invece in otto zone, la valle dell’Iri, le valli della Melfa e del Rapido, i centri del Matese in particolare i beneventani Cusano, Morcone e Cerreto, Avellino ed i vicini centri di Forino e Atripalda, la valle dell’Irno e la zona dei monti Picentini, infine Caserta e Napoli. Tutti questi centri avevano in comune la presenza di importanti vie di comunicazione che rendevano il transito delle merci verso Napoli e Salerno, luoghi di imbarco per l’esportazione ma anche con i principali centri di consumo della regione stessa. Lana e canapa sono dunque le produzioni tessili principali ma in alcune zone è in uso la produzione del cotone e della seta, questt’ultima destinata alla lavorazione verso le fabbriche di San Leucio, di Sant’Agata dei Goti, di Marigliano e Formicola, che lavorano importanti quantità di seta prodotte nell’Aversano e nel Nolano. Per parte sua il cotone lavorato in molteplici manifatture tra cui quelle Egg di Piedimonte di Alife (oggi Matese), quelledi  Vonwiller-Wienner a Fratte, quelle di Mayer a Scafati per dire solo dei maggiori, è coltivato in grandi quantità nell’Agro Nocerino Sarnese e viene esportato verso la Francia, la Germania e la Svizzera.  

Avendo compreso la particolarità di un sistema pluriattivo lo stato si mosse anche con un sistema protezionistico, che era stato già adottato dai francesi durante il Regno Murattiano di Napoli. Nel 1824 il De Medici che era il ministro delle finanze del Regno di Napoli (tornato ai Borbone nel 1816), introdusse le tariffe di entrata sulle cotonate, un dazio di fatto piuttosto oneroso, ma con tale protezionismo si creavano interessanti condizioni per i produttori e le imprese del settore. Degli effetti delle tariffe ne beneficiavano anche la produzione laniera e la bachicoltura. In questo l’adozione della tariffa stimolò la produzione di materia prima; emblematico il caso della seta, quando nell’area del Matese occidentale nell’attuale Media Valle del Volturno tra l’alto casertano ed il Sannio beneventano, andò ad incrementarsi la produzione intensificando gli allevamenti del baco da seta, con una diffusa piantumazione di gelsi che servivano ad alimentare con le foglie le larve.

Ma ancora la coltivazione della Robbia dalle cui radici si otteneva il colore detto “Rosso di Adrianopoli” un importante pigmento rosso  usato tingere il cotone lavorato. Ne consegue a tutto ciò nel tempo un incremento della popolazione dettato dallo sviluppo manifatturiero, dal benessere economico e soprattutto nasce una struttura socio-professionale che non ha eguali nel Mezzogiorno, e che vede il 33% della popolazione attiva impegnato nella lavorazione della lana, l’8% in quello della carta ed il 4% nel settore metalmeccanico. Ma a tali manifatture vanno anche aggiunte altri settori produttivi regionali, nella valle del Liri erano concentrate alcune importanti cartiere mentre a Solofra si svolgeva una intensa attività conciaria, mentre nella capitale si concentrava la produzione di beni di consumo. Infatti in questa e nel suo circondario erano localizzate una miriade di attività produttive dalle caratteristiche prevalentemente artigianali che assorbivano per la lavorazione finale una parte importante dei prodotti realizzati in altre zone.

Era diffusissima la lavorazione  della pelle e dei guanti, delle scarpe, dei cappelli e dei cristalli. E non mancavano nella provincia di Napoli distillerie di alcolici e fra Gragnano e Torre Annunziata, oltre che a Benevento impianti per la produzione di pasta di alta qualità. Il tutto ha però un cambiamento a partire dall’Unità d’Italia. Il corso del nuovo  Stato non riesce a comprendere che quella antica strutturazione economica che favoriva la vita delle aree più distanti dai grandi centri, come ad esempio il Matese o l’alta Valle del Sele o l’Alto Volturno con vocazione produttiva decisamente agricola e boschiva e con colture di media attività, di antica e strutturazione nel tempo ed in modo positivo, non poteva essere trasformata in qualcosa di economicamente diverso che sarà poi inbuona parte visionaria ed utopistica. Quella collocazione geografica presente in molte aree del Regno di Napoli, che avevano la peculiarità di aree appartate con larga presenza del bosco e del pascolo naturale e la prevalenza del seminativo nudo avevano un equilibrio attraverso anche l’impegno dello stato che contribuiva a mantenere forme produttive di autoconsumo del prodotto locale. Le aperture ai mercati internazionali ed a forme che potremmo definire di proto-consumismo per orientarsi ad un mercato internazionale nuovo per il nuovo paese, andarono con il dismettere improvvisamente forme anche di protezionismo locale dei prezzi, creando uno squilibrio in aree delicate dal punto di vista economico. Le precarie e difficili condizioni dettate da un ventennio di lotta al brigantaggio senza alcun senso nei divieti e nelle argomentazioni legislative soppressive del fenomeno stesso, contribuirono ad alimentare un nuovo e fino ad allora sconosciuto flusso migratorio che fu ed è all’origine del progressivo abbandono e spopolarsi delle montagne. Ciò ha infine portato ad un territorio regionale spaccato in due, fortemente condizionato dai quadri naturali. A questo nel tempo a partire dal 1881, la crisi agraria, la svolta protezionistica, le emigrazioni transoceaniche, la grande guerra, la rincorsa all’industrializzazione pesante ha rappresentato un fortissimo mutamento per la popolazione delle aree interne della Campania e delle regioni che furono il Regno di Napoli, fenomeni che si sono protratti così a lungo ed in modo così destruente che oggi se ne vede l’apice peggiore, dello spopolamento, dell’abbandono dei centri, della perdita anche di forza politica ed istituzionale.

Autore

Figlio della migrazione italiana degli anni 60 del XX° secolo, nato in Gran Bretagna e tuttora cittadino britannico a voler ricordare il mio essere nato migrante ed ancora oggi migrante (Interno). Sono laureato in Lettere (Università di Roma “La Sapienza) ad indirizzo Archeologico-Preistorico per la precisione in Etnografia Preistorica dell’Africa, un Master di primo livello in “Interculturale per il Welfare, le migrazioni e la salute” ed uno di secondo livello in “Relazioni internazionali e studi strategici”. Sono Docente a contratto di Demoetnoantropologia presso l’Università di Parma e consulente per il Ministero della Cultura in ambito Demoetnoantropologico. Mi occupo di relazioni con le comunità di diversa cultura del territorio di Parma e Reggio Emilia scrivo di analisi geopolitiche e curo una rubrica (Mondo invisibile) sul disagio sociale. Nel tempo libero da decenni mi occupo di ricerca antropologica, archeologica e storica del territorio della mia terra, della terra delle mie radici, Gioia Sannitica. Collaboro con diverse realtà divulgative e scientifiche on line (archeomedia.net- paesenews.it-Geopolitica.info-lantidiplomatico.it) creo eventi culturali, cercando sempre di dare risalto alla mia terra non intesa solo come Gioia Sannitica ma di quella Media Valle del Volturno, che fu il Regno Normanno di Rainulfo II Drengot.