• 11 Luglio 2025
Itinerari

Esistono in Italia due località chiamate Altilia: una in Molise, un’area archeologica romana conosciuta anche come Saepinum, nel comune di Sepino in provincia di Campobasso di cui è stato già trattato all’interno di Sannio Matese Magazine; ed un’altra in Calabria, un comune in provincia di Cosenza ed è da qui che parte il mio viaggio.

“In questo angolo di Calabria dove il tempo non si misura in ore, ma in silenzi ascoltati. Altilia è un paese che non si visita: si abita interiormente. Le sue pietre non raccontano solo architettura; conservano memoria, respiro, destino.

Chi vi arriva col passo lento e lo sguardo attento scopre un borgo che si offre per stratificazioni: chiese antiche, portali scolpiti in tufo rosso, grotte affrescate, scorci che si aprono sulla valle come finestre emotive. È un luogo dove la fede ha lasciato tracce visibili, e dove anche l’arte rupestre e i vicoli narrano una spiritualità che precede i confini.

Questo racconto nasce da un viaggio vissuto con cura, durante il quale l’incontro con il sindaco Pasqualino De Rose, la guida attenta del vigile Enrico Ferrari, e il dialogo con i volontari del Servizio Civile hanno svelato non solo un patrimonio, ma una comunità che crede nel valore della propria eredità.

Da quell’esperienza è nato un legame: Altilia entra a far parte della rete “Borghi da Ri..Vivere”, aderendo a un progetto di rete condivisa di valorizzazione territoriale. Perché in certi luoghi la bellezza non è da fotografare, ma da sentire. E in certi borghi, l’anima è ovunque — nelle pietre, nei nomi, nella luce”.

Non avevo un programma preciso. Solo il desiderio di incontrare un luogo che sapesse ancora raccontare senza alzare la voce. Così, in un giorno di luce gentile, arrivai ad Altilia(CS), nel cuore della Valle del Savuto, con l’animo aperto e il passo lento.

Mi accolse il vigile comunale Enrico Ferrari, che, su disposizione del sindaco, mi avrebbe accompagnato alla scoperta del paese. Con passo calmo e tono gentile, Enrico mi guidò tra le vie antiche, raccontandomi ciò che le pietre non dicono ma custodiscono.

Entrammo nella Chiesa di Santa Maria Assunta, cuore spirituale e architettonico del borgo. La facciata in pietra locale, in stile tardo-romanico, è un capolavoro di sobrietà e maestria. Ma fu il campanile a colpirmi: una torre quadrata in tufo, risalente al XV secolo, con rifacimenti barocchi che ne hanno arricchito la cuspide. Un tempo torre d’avvistamento, oggi è sentinella silenziosa della valle.

Proseguimmo verso il Convento di Santa Maria delle Grazie, oggi restaurato e trasformato in una “sala polivalente”. Un luogo vivo, che ospita eventi culturali, incontri, laboratori. Un esempio concreto di come la memoria possa diventare futuro.

Fu lì, tra le mura del convento, che incontrai il sindaco Pasqualino De Rose. Mi accolse con calore e visione. Parlammo a lungo. Mi raccontò del suo impegno per il borgo, della volontà di valorizzare ogni angolo, ogni storia, ogni possibilità. Mi disse:

“Nei nostri borghi, la storia non è finita. È solo in attesa di essere continuata.”

E fu proprio da lì che il viaggio prese un respiro più profondo.

Visitai le “grotte affrescate”, dove si conserva la memoria della presenza di San Francesco di Paola. In una delle cavità, un affresco lo raffigura senza aureola, segno che fu dipinto quando il Santo era ancora in vita. Quel luogo, immerso nel silenzio e nella roccia, fu per lui rifugio e preghiera. Altri affreschi riconoscibili sono quelle della Santissima Trinità, affiancate dalle tracce di Sant’Antonio da Padova e San Sebastiano. Per me, fu rivelazione.

Camminando per il centro storico, Enrico mi mostrò “portali scolpiti” con maestria, realizzati con la pietra tufacea estratta dalle cave delle “Parrere”, poco fuori dal paese. Quelle cave, oggi raggiungibili tramite sentieri naturalistici, furono la culla della celebre scuola degli scalpellini altiliesi, che ha lasciato tracce in tutta la Calabria, dal Duomo di Cosenza alle chiese di Rogliano e Malito.

Tra i palazzi nobiliari, mi soffermai davanti al Palazzo Federici, dimora storica di Vincenzo Federici, detto “Capobianco”, fondatore della prima vendita carbonara in Calabria nel 1811. Le sue mura raccontano di rivoluzioni, ideali e sacrifici. È un luogo che non si visita: si ascolta.

Poi arrivammo al “Ponte di Annibale”, che si distende con eleganza sopra le acque del fiume Savuto. Si tratta di un antico ponte romano risalente al II secolo a.C., costruito interamente in blocchi di tufo calcareo rosso, materiale tipico della zona. La struttura, composta da due archi concentrici a tutto sesto, rappresenta uno straordinario esempio di ingegneria antica, realizzata per resistere alle piene del fiume e ai secoli.

Il ponte, lungo circa ventuno metri e largo tre e mezzo, conserva ancora oggi il suo selciato originale, in parte coperto da un leggero strato erboso, e può essere attraversato a piedi. È legato alla storica Via Popilia, l’antica strada romana che collegava Capua a Reggio Calabria, e che passava proprio da queste vallate.

Osservandolo da vicino, si distinguono le fondazioni profonde e le linee solide che testimoniano la precisione con cui fu realizzato. Ai lati si notano resti di strutture di controllo, forse torrette di sorveglianza, utilizzate per presidiare il passaggio nei tempi antichi.

La tradizione orale attribuisce il passaggio su questo ponte al generale cartaginese Annibale durante la sua discesa in Italia. Sebbene questa ipotesi non sia storicamente confermata, il ponte ne ha ereditato il nome e il fascino leggendario.

Ogni anno, nel mese di settembre, il borgo celebra questo legame con una rievocazione storica che coinvolge figuranti in costume, narrazioni animate e momenti di teatro all’aperto.

È un’occasione per rivivere l’epopea antica, ma anche per rinsaldare il legame tra la comunità e la propria memoria.

Attraversare il ponte è un gesto semplice ma solenne: in pochi passi si percorrono più di duemila anni di storia, sentendo sotto i piedi la resistenza della pietra e, tutt’intorno, il respiro antico della valle.

  • MAIONE: LA FRAZIONE CHE CONSERVA

Nel pomeriggio raggiungemmo la frazione di Maione, dove il tempo sembra ancora più lento. Visitai la “Chiesa di San Giovanni Battista”, sobria e raccolta, e poi la “Chiesa di Santa Francesca Cabrini”, detta “La Cona”, situata fuori dal centro abitato, in un’area silenziosa e aperta. Un luogo di devozione semplice, ma profonda.

Poco distante, nella Villa Comunale intitolata ad Antonio Pagliuso, sorge il Monumento all’Emigrante, realizzato nel 1988 dallo scultore Mario Montalto. Una figura in bronzo, con la valigia in mano e lo sguardo rivolto lontano. Un omaggio a chi ha lasciato, ma non ha mai dimenticato.

Tornando verso il centro, mi persi — volutamente — nei vicoli storici di Altilia. Via Oreste Rigio, via Caserta, piazza Castello. Ogni angolo un dettaglio, ogni scorcio un invito a rallentare. Le pietre parlavano piano, ma dicevano tutto.

E fu proprio da piazza Castello, che gli altiliesi chiamano “U Chijanu e Don Mpeppe”, che mi fermai a guardare. Davanti a me, la Valle del Savuto si apriva come un respiro profondo. Le colline si rincorrevano in una danza antica, vestite di vigneti ordinati, uliveti secolari e boschi che sfumavano verso l’orizzonte. In fondo, il fiume Savuto serpeggiava tra le pieghe della terra, con il suo corso limpido e irrequieto, come se cercasse ancora la strada verso il mare.

L’aria profumava di erbe selvatiche e terra calda. Il silenzio era rotto solo dal fruscio del vento e dal richiamo lontano di un falco. In quel momento, il paesaggio non era solo bellezza: era memoria geologica, storia agricola, respiro umano.

La valle, che un tempo fu via di transito per legioni romane e carovane silane, oggi si offre come un anfiteatro naturale dove il tempo si siede e osserva. Un panorama che non si guarda: si contempla. E che ti ricorda che la bellezza, quando è vera, non ha bisogno di parole. Solo di occhi che sappiano restare fermi abbastanza a lungo da accoglierla.

Fu proprio in quel contesto che nacque un dialogo sincero tra la mia associazione, “Borghi da Ri..Vivere”, e l’amministrazione comunale guidata dal sindaco Pasqualino De Rose. Le parole scambiate non furono protocolli, ma visioni condivise. Parlammo di radici e futuro, di identità e possibilità. E da quel confronto maturò una scelta consapevole: Altilia avrebbe fatto ingresso nella nostra rete, unendosi a quel tessuto vivo di borghi che meritano di essere abitati, custoditi, valorizzati.

Qualche giorno dopo, con deliberazione ufficiale della Giunta Comunale, l’adesione fu formalizzata. Un atto che non segnò solo un accordo, ma un impegno reciproco: preservare il patrimonio, accompagnare le comunità nel cambiamento, promuovere quella bellezza quotidiana che resiste nelle piccole cose.

Oggi Altilia è parte integrante del nostro cammino. Un nodo prezioso in una trama di luoghi che non si limitano a sopravvivere, ma scelgono di raccontarsi, di aprirsi, di rigenerarsi.

Quando ripartii, il sole stava calando lentamente dietro le colline. Non portavo con me delle risposte, ma qualcosa di più raro: avevo sentito una voce antica, ancora viva, ancora presente. Una voce che non tace, ma parla sottovoce — a chi ha il tempo di ascoltarla.

E io, quel giorno, avevo camminato abbastanza piano da sentirla.

Autore

Ingegnere e libero professionista da oltre 45 anni, ha conseguito la laurea al Politecnico di Torino nel 1978, distinguendosi nel campo dell’ingegneria. La sua carriera si è sviluppata parallelamente all’insegnamento di materie professionali e matematica nelle scuole superiori, dove ha contribuito alla formazione di generazioni di studenti con passione e dedizione. Dopo la conclusione della sua esperienza da insegnante, il suo amore per i borghi storici ha guidato la sua attività, portandolo a fondare nel 2015 l’associazione “Borghi da Ri…Vivere”, che unisce oltre 50 borghi in Calabria e non solo, con l’obiettivo di recuperare e valorizzare il patrimonio culturale e architettonico. Attraverso i suoi viaggi, Renda ha scoperto borghi straordinari, ricchi di storie e potenzialità ancora inesplorate. Queste esperienze hanno ispirato la sua carriera letteraria. Il suo primo libro, “Anacleto e il Paese degli Asini Volanti”, ha segnato l’inizio di un percorso di scrittura che prosegue con il suo secondo volume, “Il Silenzio della Bellezza”, dedicato alla scoperta di luoghi e atmosfere sospese tra memoria e presente. Ha inoltre scritto brevi racconti come “La solitudine di Berto” e “La storia di Manila”, inseriti in antologie, oltre a poesie che esplorano il tema della fragilità e della forza delle donne. Di recente, ha partecipato al contest letterario “Diventa Ciò che Sei”, presentando il racconto “Le Radici del Coraggio” e la poesia “Oltre le Maschere”, opere che riflettono la profondità del suo sguardo sull’animo umano. La sue più recenti pubblicazioni sono “Il mistero della Camicia insanguinata” inserita nell’antologia Indagine in Giallo e di recente “I Numeri Parlanti”, presentata in anteprima al Salone Internazionale del Libro di Torino 2025, un’opera che esplora il mondo dei numeri in modo innovativo e stimolante. Un percorso di vita e scrittura guidato dalla passione per la cultura, la bellezza e la scoperta!