“La Bellezza è una specie di armonia visibile che penetra soavemente nei cuori umani”, scriveva  Ugo Foscolo. Oggi come potremmo definirla? Contro questo interrogativo s’infrangono tutte le possibili declinazioni che richiamano la formulazione breve e sublime del grande poeta. E se è vero che “la bellezza salverà il mondo”, secondo Fëdor Dostoevskij, forse è altrettanto vero che l’assunto dello scrittore russo sarebbe da abolire a fronte della Bellezza decaduta. Intorno a noi rovine moderne e antiche ci assediano e il contesto generale nel quale viviamo è connotato da una nauseante bruttezza, figlia della follia libertaria che ha sacrificato regole ed armonie davanti all’illusione di uno scellerato abominio chiamato razionalismo ed inveratosi in un utilitarismo finalizzato alla realizzazione del massimo profitto con il minimo delle risorse o anche senza risorse.

La Bellezza umana, come oggetto del desiderio; la Bellezza naturale, come oggetto di contemplazione; la Bellezza quotidiana, come oggetto della ragione pratica; la Bellezza artistica, come forma del significato e oggetto del gusto; la Bellezza erotica, come sublimazione del desiderio sessuale – secondo la classificazione di Roger Scruton – invitano nell’insieme a ricondurre il concetto stesso al sacro poiché tutto da esso discende. Ma se il sacro è respinto, vilipeso, negato come è possibile immaginare un’idea di Bellezza che sia universale e privata al tempo stesso? Infatti, nell’immaginario collettivo l’idea di  Bellezza  si è spenta quasi ovunque: rimangono oasi incontaminate tra gli attacchi brutali degli stili di vita e delle interpretazioni dell’arte, dell’erotismo divenuto pornografia, dei templi di Dio modellati secondo disgustose interpretazioni che rimandano a edifici profani oltretutto orrendi.

La Bellezza non esiste più? Essa è sotto tiro. E s’accompagna alla sporcizia perlopiù metropolitana segnata da indecenti graffiti che qualcuno vorrebbe far passare per opere d’arte.

La Bellezza, insomma, è un’idea inaridita. Su di essa si esercita la confusione concettuale e pedagogica prevalente nel nostro tempo. Non si viene sfiorati neppure dalla considerazione che la Bellezza non può essere rinchiusa nel recinto delle nozioni, ma deve volare nei cieli liberi del sentimento. Nell’unico spazio, cioè, dove l’intelligenza lascia il posto all’anima e questa guida e orienta le scelte umane. I ponti interrotti tra la razionalità e lo spirito hanno fatto cadere nel vuoto la Bellezza. E oggi la cerchiamo disperando di trovarla nelle ombre di un passato che esita a farsi storia a meno che non si sia disposti a riconoscere nelle forme (arte, parola, gesto) l’armonia che viene da un inconoscibile mondo, il mondo di Dio.

Pensavo al miracolo che accade in un essere umano quando riesce a trarsi dalla prigionia della Ragione e ad accostarsi alla conoscenza attraverso la regolarità che si esprime nell’ordine naturale che dovrebbe ispirare l’ordine umano: ha la possibilità di vedere la creazione nello splendore dell’anima che si serve dell’intelligenza per manifestarsi.

Qualche anno fa, il restaurato capolavoro di Raffaello Sanzio, La Madonna del cardellino, per dirne una, offrì una visione metafisica dell’armonia della Bellezza. E rimanda all’evocazione di un mondo perduto, una sorta di Eden artistico-esistenziale del quale la Bellezza era parte integrante. Si dirà che il Cinquecento è stato un secolo “umanissimo”, nel senso datogli dagli artisti che lo hanno caratterizzato. E perciò lo splendore della metafisica europea si è potuta esprimere nelle loro opere. Ma anche in seguito, prima della catastrofe razionalista, qualcosa del genere, sia pure in tono minore, si è manifestato nelle arti figurative. Restando, infatti, nel sistema delle forme non si negherà l’esaltazione della Bellezza del corpo, dell’erotismo, della passione. Insieme, il tutto si è tradotto in un canto d’amore. Struggente, esaltato, doloroso perfino, ma comunque un canto d’amore come lo è una nascita o una morte.

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