Il 10 ottobre del 1963 moriva Edith Piaf. Il giorno dopo, l’11 ottobre, Jean Cocteau. Insieme per amore eterno e per morte infinita tra storia e destino. Vissero per amarsi e morire insieme.
“… Ti sorseggio. Ti gusto. Mio solo mio. Tua solo tua”. Profondamente come nelle vite tragiche tra amore e destino.
“Ci incontreremo. Ancora. Lungo la vita delle rose. E il nostro sarà un incontro per sempre. Il sempre dei tuoi occhi dentro i miei occhi. Dei miei occhi dentro i tuoi occhi”. Alla fine ritornerò su questo concetto. Ma proprio alla fine.
E ora cominciamo, a scena aperta. Cosa si sarebbero detti ancora Jean Cocteau e Edith Piaf se non fossero morti lo stesso giorno, a distanza di poche ore, dopo che lo scrittore de “Les enfants terribles” si era dedicato a scrivere l’elogio funebre della cantante?
L’immaginazione è un cammino nei sogni delle parole e del tempo.
Era il 1963. Lui morto di infarto. Era nato nel 1889. Lei di polmonite. Era nata nel 1915.
Il ragazzo terribile che cammina lungo la vita delle rose e si inventa amori, vive amori, costruisce amori sulla scia della storia di Schéhérazade e del suo primo libro di poesie “La lampada di Aladino”.
La signora che canta: “Des yeux qui font baisser les miens/Un rire qui se perd sur sa bouche/Voilà le portrait sans retouche/De l’homme auquel j’appartiens” cosa avrebbe suggerito a Jean? Editih Piaf. Un mito! Il riso che si perde sulla sua bocca … E si raccontano avventure. Destini che restano e nella magia delle vite recitano appuntamenti.
Ho riletto Cocteau. Ho riascoltato Edith. In quella vita in rosa che traccia metafore ma anche un amore intenso in cui ci sono notti d’amore infinite che hanno la bellezza della pazzia nella sensualità. Mi hanno accompagnato. La sua scrittura. E l’ascoltare. Ancora quella vita in rosa si intreccia con la vibrazione del ragazzo terribile che sono stato e tutto ha un senso.
Anche oggi che viaggio cercandomi nel tempo che ha dipinto la mia vita. E i miei amori si sono cantati sulle parole dell’impossibile che è afferrabile e della noia che scompare nelle sere in cui l’amore fa vibrare l’anima e la geografia del corpo.
Mi ritornano come due viandanti tra le pieghe della mia anima e mi raccontano sempre che un amore non può essere un amore. Ma un amore è sempre l’amore. Io vivo di amori. Mai di amori smarriti. Mai di amori perduti. Gli amori accompagnano. Gli amori sono. Non sono stati. Ciò che è stato è soffitta e l’amore non conosce la soffitta ma la vita in rosa.
“Sei il mio canto di gioia! Dico ancora sì alla vita. Con te. La nostra unione. Corpo e anima. Il sì di noi che non abbiamo temuto”. Così mi ha scritto la donna con i riccioli biondi. L’altra sera un sms. E poi: “Io sono in te! Amore bello. Ti amo”. Ti ho sempre cercata. Con questi riccioli per cantarti tutto il mio immenso e per restare dentro di te sino a raccogliere il miele dei tuoi baci, sino a farti raccogliere l’acqua della mia vita.
E mi hai scritto ancora amore mio: “Cuore dolce. Un bacio sulla bocca. Un altro un po’ più giù. Oh sì! Oggi sei dolce. Lo so. Ti sorseggio. Ti gusto. Mio solo mio. Tua solo tua”.
È l’immenso in questo cielo che tocca le intermittenze e le vibrazioni dell’anima. Tutto è anima e tutto è corpo. E non smetto di ascoltare Edith Piaf. Come non smetto di leggere e di ritrovarmi nei terribili ragazzi. Ma la vita non è un incrocio di letteratura e storie. È piuttosto un intrecciare i “privilegi della bellezza” (Cocteau) perché “i privilegi della bellezza sono immensi. Essa agisce anche su coloro che non la constatano”. Mi ritrovano le parole di Jean. E la mia riccioli biondi ha il privilegio della bellezza. È la bellezza delle movenze quando mi raccoglie tra le sue braccia e penetrandomi con gli occhi io le penetro la vita.
Un bip. Un altro messaggio. “Ti ho sentito sempre vicino a me! Grandi intermittenze del cuore. Io e te. Noi sempre. Amore!”.
Cosa ancora si sarebbero detti lo scrittore e la cantante? Il mio è un pretesto. Ma mi aiuta a camminare tra i luoghi del mio cuore rintracciando le vie della mia donna amante riccioli biondi. Ci siamo trovati nelle estati di fuoco e negli inverni di neve a raccogliere petali di diamanti e custodirli per i giorni che verranno senza mai trascorre gli strazi dei ricordi.
L’amore è. L’amore che è stato è soltanto una fantasia nell’immaginario. Ho risposto: “Ti aspetto questa sera. Nel nostro appuntamento dove i raggi della luce tagliano il buio ed io e te faremo l’amore per segnare il tempo dell’infinito”. E gli echi mi riportano Edith Piaf: “C’est lui pour moi, moi pour lui dans la vie/Il me l’a dit, l’a juré pour la vie/Et dès que je l’aperçois/Alors je sens en moi/Mon coeur qui bat”.
Vorrei stringerti ora e amarti per ore come l’immenso e il sogno in una “camera dalle tende tirate” (Cocteau) che ha l’ombra del rosso nei riflessi del blu.
Ti ho scritto amore riccioli biondi: “Sei splendida. Mia vibrazione di terra e di mare. Sei la donna che giunge all’alba sulle case di roccia. Osserva il mare e ha un sorriso nel silenzio. Tu sai che i marinai non temono il mare. So che mi ascolti e ascolti il vento che ti porta le mie parole. Sei grandezza. Sei dolcezza. Mio amore. Quando ti aggrappi alle mie spalle vorrei travolgerti di baci. Le tue labbra. E sì. Le tue labbra. Sei la mia amante. Che bellezza usare il termine amante”.
Cocteau ha sempre detto che la passione degli amanti non è soltanto amarsi. La passione dell’amore è nell’amante “che ritarda il proprio piacere per attendere quello dell’amato”. Ho scritto più volte questo concetto per ripetermelo sempre ogni qual volta, mia riccioli biondi, osservo i tuoi passi, il tuo ondeggiare con le gambe che hanno le movenze di una danza nelle tue scarpe di un verde smeraldo. Hai un passo leggero nel gioco del tuo passeggiare.
Ma di cosa sto parlando? Racconto? Mi serve un pretesto per raccontarmi o per inventarmi un amore. Dove sta la realtà? Dove stanno le finzioni. Vienimi incontro amore e cantami: “C’est toi pour moi, moi pour lui dans la vie/Il me l’a dit, l’a juré pour la vie”. Tutto può essere un’alchimia. Ma se l’alchimia mi scorre negli occhi il mistero non è insondabile. Basta ascoltarsi. In fondo cerchiamo sempre una via per ritrovare il senso.
“Tu sei il mio senso. Sei il mio orizzonte”. Così riccioli biondi.
Cosa ancora si sarebbero detti Jean ed Edith? Il mio raccontare non finisce qui. Continua dentro di me. Dentro il mio amore. Anche dentro di te mio caro lettore. Io non trovo una sintesi. Ma vive dentro di me. Se tu, lettore mio, dovessi trovarla, non aver timore e neppure pudore. Telefonami. Non scrivere. Devi ascoltare la mia voce come io voglio ascoltare la tua.
Ma c’è un accordo tra il mio io, riccioli biondi e la morte di Jean a distanza di poche ore di quella di Edtih? Non è possibile rispondere. Per Jean, Edith era “Un’onda altissima di velluto nero”. L’eleganza nello stile. Quella voce. La malinconia del suono. Quell’incorreggibile ragazzo terribile incontrandola aveva detto: “Edith, sono tanto felice di conoscerla. Lei è la poesia della strada, vedrà che c’intenderemo”. Erano gli anni Trenta del Novecento. E in un suo libro dedicatole aveva annotato: “E’ una donna geniale, è inimitabile. Non c’era mai stata una Edith Piaf per me. Non ve ne saranno mai più”.
Forse molti di noi, io certamente, avrebbero voluto incontrare quella voce calda e un po’ roca di Edith. Voce di poesia! Indimenticabile. Come sono indimenticabili gli amori nati tra le vie di Parigi. Una favola. Ma tutti gli amori, quando l’amore c’è, sono dipinti con la punta di una matita che disegna favole.
Favola è anche il nostro amore, mia riccioli biondi? Non dimentico le parole di una donna amata tanti anni fa che andando via mi ha lasciato scritto su un pezzo di carta: “Ti avevo semplicemente chiesto di vivere il nostro amore come una favola. Avrei voluto tanto la favola. Tu il mio principe. Avrei voluto trascorrere serate con te lungo le linee del mare e vivere di te. Ma tu ti sei lasciato prendere dal tuo lavoro, dai tuoi impegni ed hai mancato a tanti appuntamenti e non hai compreso che soltanto le favole hanno un senso. Ti amo. Ma tu non ti concedi alla favola ed io non sono per te la principessa. Tu non hai voluto vivere la favola che ti avevo offerto. Non sono io ad andar via. Sei tu che stai cancellando il sogno”.
Un pezzo di carta sbiadito lasciato tra le pagine di un libro di Pavese. E tutto finisce così. Con questo mezzo foglio ritrovato tra le poesie dell’amore tragico di Cesare e Constance.
Cocteau ha recita la vita dell’amore. Edith Piaf ha cantato le storie immense di questi amori.
Mia riccioli biondi non so se io sono il tuo principe, ma tu sei certamente la mia principessa dalle scarpe verde smeraldo e dagli occhi di azzurro indiano. Resto il ragazzo terribile ma tu cantami la vita in rosa.
E allora? Noi ci incontreremo sempre. Gli occhi dentro gli occhi. Non per una vita. Ma per tante vite ancora. Amore mio. E canteremo ancora insieme:
“Des yeux qui font baisser les miens
Un rire qui se perd sur sa bouche
Voilà le portrait sans retouche
De l’homme auquel j’appartiens”. L’amore si recita come nei destini dei cantastorie. Si amarono per sperare di vivere insieme ma morirono per retestare infinitamente