Lo stress può essere definito come una reazione emotiva a stimoli esterni che suscitano risposte fisiologiche e psicologiche di natura adattiva o disadattiva (Galimberti, 1999).
È possibile fare una distinzione tra:
· Sovrastress (iperstress): tensione che supera, per eccesso, la soglia ottimale del soggetto, in funzione dell’emissione di una risposta adeguata secondo le risorse personali
· Sottostress (ipostress): tensione sotto la soglia ottimale
· Stress positivo (eustress): tensione adeguata alla percezione delle proprie risorse, e che favorisce nel soggetto una risposta proattiva ed efficace in funzione del raggiungimento degli obiettivi
· Stress negativo (distress): tensione inadeguata, per eccesso o per difetto, alla percezione delle proprie risorse, e che ostacola, nel soggetto, una risposta proattiva ed efficace in funzione del raggiungimento degli obiettivi.
Tra i primi studiosi ad occuparsi del campo dello stress c’è Hans Selye, il quale mise a punto degli esperimenti su topi da laboratorio iniettando loro ormoni ovarici e individuando reazioni di tre tipi: ingrossamento delle ghiandole surrenali; rimpicciolimento del timo, della milza, dei gangli linfatici; ulcere gastriche e duodenali, a volte emorragiche e letali. In seguito lo studioso notò che queste reazioni si producevano anche quando venivano iniettati altri tipi di ormoni, come l’adrenalina e l’insulina, con agenti fisici come freddo, caldo, raggi X o incidenti meccanici, e inoltre con emorragie, dolori e attività fisica forzata. Di conseguenza, una prima descrizione dello stress lo definiva come stimolo nocivo, sottolineando come esperienze dannose (iniezioni di varie sostanze, scosse elettriche, stimoli dolorosi) potessero essere determinanti nell’insorgenza di disturbi somatici o di vere e proprie malattie.
A partire dal 1950, Selye cominciò ad usare il termine stress come risposta fisiologica e/o psicologica specifica dell’organismo ad ogni richiesta proveniente dall’ambiente, teorizzandolo come Sindrome Generale di Adattamento, G.A.S. (1976), strutturata in tre fasi tipiche:
1. Reazione di allarme: la reazione iniziale ad uno stress intenso ed improvviso può corrispondere ad una immobilizzazione, ovvero una riduzione dei normali livelli di attività del sistema nervoso autonomo. Immediatamente dopo cominciano ad essere mobilitate le difese fisiologiche dell’organismo contro gli agenti di stress; il sistema simpatico prende il sopravvento, con conseguente aumento della pressione cardiaca, la sudorazione si fa intensa, le pupille si dilatano, il respiro diviene più affannoso e meno regolare ed aumentano le secrezioni ormonali di adrenalina
2. Fase di resistenza con adattamento ottimale: se lo stress è intenso e prolungato, il sistema nervoso autonomo passa da uno stato di forte attivazione ad uno stadio di resistenza. Nello sforzo di resistere allo stress si consumano risorse fisiche ed emotive e l’organismo tenta di combattere e contrastare gli effetti negativi dell’affaticamento prolungato, producendo risposte ormonali specifiche da varie ghiandole (tra cui le ghiandole surrenali).
3. Fase di esaurimento: le misure di emergenza, richieste durante lo stadio di resistenza, finiscono per esaurirsi entro un certo periodo. Quando il sistema difensivo è spinto troppo oltre il suo livello normale di funzionamento, perde la sua efficacia e si esaurisce a tal punto da divenire incapace di rispondere persino ad uno stress moderato. Di conseguenza, dopo la rimozione dei fattori iniziali di stress, il sistema può non essere in grado di ritornare al suo stato normale, e nel caso in cui gli stressor continuano ad agire, il soggetto può venirne sopraffatto e possono prodursi effetti sfavorevoli permanenti a carico della struttura psichica e/o somatica.
In conclusione è possibile dire che, nel corso del ciclo di vita di ciascun individuo, lo stress rappresenta un fenomeno inevitabile e addirittura importante per la sopravvivenza quando è contenuto entro certi limiti. Diventa un fenomeno nocivo laddove risulti eccessivo o del tutto assente.