• 18 Novembre 2025
Profili

Una filosofia della singolarità

È nelle librerie, per InSchibboleth editore, l’ultima fatica di Massimo Donà, Una certa idea dell’idea (per ordini:info@inschibbolethedizioni.com). Un volume che, fin dal titolo, immette nel cuore delle problematiche teoretiche che stanno al centro della filosofia donaiana. Libro agile, che crediamo di poter definire, sommario e summa della visione del mondo del pensatore veneziano.   Abbiamo scritto, in altro contesto, essere il pensiero di Donà,  filosofia ritmica della singolarità. In queste pagine, l’autore immette il lettore nelle complesse problematiche che il testo discute, con prosa coinvolgente, strutturata in domande e risposte, che egli pone, innanzitutto, a se stesso e, di rimando, al possibile interlocutore. Non si tratta dell’ennesima applicazione del metodo dia-logico, ma esempio di civiltà del conversare: un con-versare corale che non mira a con-vincere, ma a rendere persuasi (Michelstaedter) i partecipanti alla cerca. Non poteva essere diversamente: a venir messo in questione è il primato dell’idea, del concetto, dell’universale, insomma del lógos come si è affermato a muovere dalla filosofia classica per giungere a Hegel.

Oltre gli universali

Allo scopo il filosofo-muicista (è jazzista) recupera il valore della fantasia, servendosi degli studi prodotti in tale ambito, tra gli altri da Ernesto Grassi e Gianni Celati. La via teoretica cui guardò Grassi non era: «fondata tanto sul lógos universalizzante e incontrovertibile, quanto piuttosto su una giusta mistura di individualità e universalità» (p. 12), come nelle corde della “ragione poetica” del dimenticato Gaetano Chiavacci. Un via che “salva” il singolare, l’individuale, di fronte al quale perpetuamente sorge la domanda filosofica. Una  posizione che guarda al “poetico” e al “fantastico”, esperiti come originari. La fantasia, infatti, non è da intendersi quale negazione del lógos, ma come suo presupposto. Il fantastico restituisce: «la vera complicazione che caratterizza l’umana esistenza, le mille sfumature di cui la medesima è fatta […] i suoi mille modi d’essere – e non solo quelli riconducibili alla regolarità» (p. 14) Insomma, è necessario porsi oltre gli universali, in quanto dell’unicità di ogni vita: «il linguaggio razionale non può dire e non dice nulla» (p. 14). L’individuale testimonia: «l’originaria manifestatività di quel che sorge libero da ogni vocazione destinale […] punto di partenza di un percorso del tutto imprevedibile» (p. 15). La filosofia della singolarità procede verso l’abisso che anima ogni “esser-qui”, “evento”  sempre esposto al novum, alla dissonanza nei confronti della regolarità previsionale della scienza.

Linguaggio e immagine

Tale “vedere”, si serve del linguaggio in modalità indicativa, non dimostrativa, si affida a una scrittura immediata che si dà: «nella forma di un semplice linguaggio immaginale» (p. 18). Le immagini riflettono il flusso, la continua metamorfosi della dynamis, ben oltre la quiete apparente imposta dai concetti. Non si tratta di una realtà illusoria, al contrario: l’illusione è quella indotta dalle staticizzazioni degli universali: «Realissima è […] proprio la molteplicità […] dove ogni individuo si costituisce come unico ed irripetibile» (p. 21). Si tratta, in fondo, non tanto di conoscere ma di capire, scardinando il dualismo che vige in ogni rappresentazione, in cui il soggetto è distinto dall’oggetto. La realtà della vita sempre all’opera nega le significazioni, le distinzioni escludenti prodotte dalla logica identitaria: «l’unicità conviene a tutto ciò che non si lascia accomunare a nulla» (pp. 23-24). Essa è tacitata nell’esperire il mondo in termini di oggettualità. È necessario, pertanto, porsi alla cerca del “chi” non del “che cosa”  degli essenti. In tal caso, si scopre l’ incondizionatezza pura. L’ente è colto nella sua irriducibilità al mondo che, comunque: «non sarà mai qualcosa d’altro rispetto ad esso» (p. 27).

Del Principio

Ma cosa anima gli essenti? Il principio. Esso non è un essente, ma non è posto, in alcun caso: «al di là dell’essente» (p. 30). Le cose portano alla presenza il medesimo, il non originario, non dicono nulla di determinato: «ma mostrano […] quel Principio il cui mostrarsi […] è identico al suo non mostrarsi mai» (p. 31). La vera filosofia ha, quale presupposto, la fede in questa “sacra negazione”.    Non può essere, sic et simpliciter, sapere acquisitivo, apodittico, affermativo. Guarda l’aporia custodita dalla vita, scopre che le cose, leopardianamente, non sono mai quel che dicono di essere. Il vero filosofare conduce oltre la permanenza e stabilità dell’idea, sospingendoci nell’ in-tra di essere e nulla, sulla soglia del tempo, oltre la quale vivono gli “opposti” assoluti. È via erratica in quanto, come colto da Abelardo (status), anche l’universale esiste: «ma senza mai essere ancora quel che è» (p. 47). La fantasia ha ruolo di primo piano perché destruttura le griglie del fenomenico empirico e lascia vedere: «quello che c’è», fenomeno e noumeno si danno in uno. Lo seppe Kandinsky: guardando il “movimento puro” si entra nel “cuore del reale”: «la vita è caratterizzata da una continua lotta, in virtù della quale gli opposti continuano a far emergere l’indisgiungibilità della luce e del buio di cui siamo tutti contraddittorie, ma divine manifestazioni» (p. 59).

Della fantasia e del gioco del mondo

Gianni Rodari ha insegnato che la fantasia immaginativa è: «alimentata da quei “binomi di concetti” che  ci consentono di rompere il rigido involucro che solitamente supporta le parole» (p. 63). I significati quotidiani vanno ricomposti, al fine di concedere loro la gratuita ludicità del linguaggio infantile: «il bambino comincia presto ad intravvedere questo più o meno sotterraneo commercio tra essere e non essere; e a “giocare”», rileva Donà. Il pensatore veneziano presenta, in una esegesi compiuta e con persuasività d’accenti interpretativi, quanto Aristotele e Platone, in particolare nel Parmenide e nel Sofista, sostennero in merito al rapporto Essere/Nulla. Coglie le   grandi intuizioni di questi pensatori, ma ne mostra, altresì, i limiti. Donà afferma che Platone ebbe ben chiara: «la co-originarietà dei due principi […] L’Uno e la Diade» (pp. 87-88), per la qual cosa, chiosa l’autore, l’idea non può esser posta in un altrove sovramondano. L’Ateniese non lesse il mito come ciò che, semplicemente, indica “un prima” del lógos, anzi esso rappresenta un’ ulteriorità teorica rispetto alla ragione discorsiva. Donà, infine, si confronta con lo statuto dell’immagine. Con Andrea Emo, nota: «Le immagini sono le metempsicosi dell’unica anima, dell’eterna unica fenice che si brucia e si consuma in un’immagine, e rinasce in un altro nido, altra e medesima, e con nuovi colori […] la sua sola giustificazione sono altre immagini» (p. 99).

Tutto ciò è testimoniato dall’arte che, quando è veramente tale, ha valenza filosofica, “capisce”  il mondo e riflette le “verità della natura”, abisso da cui tutto sorge e a cui tutto fa ritorno. Libro liberante, chiarificatore, Una certa idea dell’idea, in qualche modo nietzschiano, “per tutti e per nessuno”.

Massimo Donà, Una certa idea dell’idea, InSchibboleth, pp.120, euro 15,00.

Autore

Giovanni Sessa (Milano, 1957) vive a Frascati (RM). Suoi scritti sono comparsi su riviste, quotidiani, in volumi collettanei e Atti di Convegni di studio. Ha curato e prefato decine di volumi. Tra le ultime pubblicazioni, La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo, Milano 2014; Julius Evola e l’utopia della Tradizione, Sesto S. Giovanni (Mi) 2019; L’eco della Germania segreta. “Si fa di nuovo primavera”, Sesto S. Giovanni (Mi) 2021; Azzurre lontananze. Tradizione on the road, Sesto S. Giovanni (Mi) 2022; Icone del possibile. Giardino, bosco, montagna (Mi) 2023. E’ Segretario della Fondazione Evola.