Il football è diventato un’altra cosa. Raccoglie comunque sterminate masse di appassionati, soprattutto fruitori di spettacoli televisivi finanziati da miliardari che segnano avventure e disavventure di società calcistiche, ma i giovanissimi non si formano più come possibili protagonisti in quelle palestre di spontaneità che erano rettangoli o quadrati sbilenchi, segnati da poche cose raccolte qua e là per delimitare le porte e talvolta gli angoli. Nell’improvvisazione nascevano gli “eroi” che occupavano le menti e i cuori di fanciulli e adulti.

Adesso le scuole di calcio impongono imperiosamente – a genitori perlopiù abbacinati dal mito di un successo a portata di mano per i propri figli – regole e comportamenti che il mondo dei bambini non capisce e mal sopporta. Si fa credere, dall’alto di un business inimmaginabile fino a pochi anni fa, che basta frequentare una di queste scuole, che spuntano come funghi soprattutto nelle grandi città, per avere concrete possibilità di affermazione, all’esoso prezzo della sottrazione della felicità a adolescenti che vorrebbero guadagnarsi il loro effimero, ma quanto radioso, momento di gloria, come accadeva prima che il calcio diventasse un’industria, divertendosi, dispiegando il loro naturale entusiasmo. Costretti, come fossero adulti in miniatura, a studiare schemi e tattiche, li si fa rinunciare alla gioia di rincorrere un pallone da mettere in rete perché prigionieri di regole che non formano, ma intristiscono. Osservateli nelle patetiche competizioni a cui danno vita: non hanno la gioia dipinta sui volti, lanciano sguardi preoccupati a manipolatori di coscienze, ma anche di membra in formazione, cercando approvazione o schivando plateali disapprovazioni che finiscono per condizionarli. Macchinette inceppate avvolte in improbabili divise copiate dai grandi club…

Non sembra che da quando le scuole di calcio spopolano siano venuti fuori campioni  quelli ricordati. Se avremo nuovi Maradona o “replicanti” di Falcao e Platini, quasi certamente non usciranno da lì. È quanto sostiene con convinzione ed argomentazioni assolutamente fondate un padre ravveduto, Stefano Benedetti, che in un libretto eloquentemente intitolato Sognando Messi. La verità sulle scuole di calcio (Edizioni Dissensi) ha messo il dito nella piaga dell’origine del malcostume calcistico, la cui dilatazione economico-politica è destinata a costruire leggendarie ambizioni nel governo calcistico e molte illusioni nelle squadrette che cercano di mantenersi in vita con poco o niente. Le scuole di calcio, segmento dello sport curiosamente poco indagato dai media, hanno pressoché gli stessi dominatori comuni: inadeguatezza del personale tecnico, improvvisazione nei metodi di allenamento quasi sempre copiati da quelli di allenatori affermati, il profitto economico quale fine da perseguire.

Criticare un metodo o uno strumento non vuol dire denigrare lo sport e segnatamente il calcio che, specie in Italia, è la passione nazionale primaria. Ci mancherebbe altro. Ma si dovrebbe aver riguardo di quelle che dovrebbero essere le aspettative comuni, non soltanto di chi se lo può permettere, nel favorire l’espansione del movimento calcistico: in questo senso, la funzione dello Stato dovrebbe essere centrale, mentre le società, di professionisti o dilettanti, si dovrebbero attrezzare per immettere nei loro ranghi ragazzi che dimostrano di avere attitudini e talenti da far valere. Come accadeva una volta, quando osservatori attenti li prelevavano dalla strada, dagli oratori o dalle palestre pubbliche e private per il classico “provino”. Nei lontani anni dei babyboomers, allorché nei paeselli del Mezzogiorno, ma anche nel Nord agricolo del Paese, qualcuno veniva adocchiato da società le cui squadre militavano in serie D o nell’Eccellenza o in Promozione, diventava un personaggio da imitare o invidiare.

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