• 27 Luglio 2024
Cultura

Celebreremo Eleonora Duse a cento anni dalla morte. La donna, l’attrice, l’amore e gli amori tra vita e letteratura, scena e ribalta. Fu la Francesca da Rimini di Gabriele D’Annunzio. Amori e passioni nella magia di un inizio secolo post romantico.

Dante e D’Annunzio per una Francesca da Rimini portata in teatro da una splendida Eleonora Duse. Eleonora si abita nel suo destino il tragico del canzoniere che sembra recitare la Laura di Petrarca nelle vesti di Francesca da Rimini. Francesca sarà nel suo viaggio e nella teatralità di amante dolorante. Penetra profondamente il personaggio dantesco riportato sulla scena dal suo Gabriele. 

La Francesca da Rimini sarà una interpretazione affascinante ma anche con velature mistiche. Cerca, in Francesca, il proprio volto. La propria lacerazione si trasferisce sulla scena. Vede in Paolo il suo amante Gabriele. Recita come sul teatro ci fossero solo due personaggi. 1901. Gabriele la dedica completamente alla sua Eleonora.

È il 9 dicembre al Teatro Costanzi di Roma. D’Annunzio vede in Eleonora l’impasto tra Beatrice, Francesca ed Eloisa. Una sensualità allo specchio nel quale la Divina riflette non solo la sua fisicità ma sente soprattutto anche il tremore dell’anima. È come se si ripetessero le antiche frasi che dicono: 

Lei: “Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto, perché ho amato”.

Lui, alla notizia della morte di lei: “E’ morta quella che non meritai”.

Un amore tutto carnale. La cui sensualità esplode in un lanciare di sguardi e di passione che Eleonora riesce a manifestare con una sorprendente e straordinaria interpretazione. Una superba interpretazione per una Divina che manifesta in teatro, direi pubblicamente, tutto il suo amore per Gabriele, che diventa Paolo. Una completa trasfigurazione in un immaginario che è manifestazione di una reale passione.

D’Annunzio diventa, così, Paolo e nel cuore di lei il fuoco divampa e si fa fiamma. Un trionfo e una morte in una Roma che ricorda quel V Canto di Dante in un infernale e invernale stagione in cui il tempo e la storia si intrecciano per tutta la città che sembra abbuiata dalle luci spente di una notte senza stelle e con un filo di falce di luna. La tragedia è composta in cinque atti in versi. Riccardo Zandonai successivamente la musicò nel 1914. A Torino si svolse la prima ed ebbe come ribalta il Teatro Regio.  La Francesca da Rimini segna il vero teatro della (di) poesia.

Paolo e Francesca: “Dammi la bocca. Ancora! Ancora! Ancora!”.

Siamo al colmo di una indefinibile passione. Prende il sopravvento su tutto. Come nel Canto di Dante anche in D’Annunzio l’amore non è più soltanto emozione. È oltre. Il fuoco immenso. Il fuoco che accende tutto e si aggrappa ad una carnalità morbosa.

Paolo:

“Francesca, io piango; io de’ mortali

Sono il più sventurato! Anche la pace

De’ lari miei non m’è concessa. Il core

Assai non era lacerato? assai

Non era il perder…. l’adorata donna?

Anche il fratello, anche la patria io perdo!”.

Francesca:

“Cagion mai non sarò ch’un fratel l’altro

Debba fuggir. Partir vogl’io; tu resta.

Uopo ha Lanciotto d’un amico”.

Paolo:

“Francesca,

Se tu m’abborri che mi cale? e il chiedi?

E l’odio tuo la mia vita non turba?

E questi tuoi detti funesti?… — Bella

Come un angel, che Dio crea nel più ardente

Suo trasporto d’amor…. cara ad ognuno….

Sposa felice… e osi parlar di morte?

A me s’aspetta, che per vani onori

Fui strascinato da mia patria lunge,

E perdei…. — Lasso! un genitor perdei.

Riabbracciarlo ognor sperava. Ei fatto

Non m’avrebbe infelice, ove il mio cuore

Discoperto gli avessi…. e colei data

M’avria…. colei, che per sempre ho perduta”.

Francesca:

“Cho vuoi tu dir? Della tua donna parli….

E senza lei si misero tu vivi?

Sì prepotente è nel tuo petto amore?

Unica fiamma esser non dee nel petto

Di valoroso cavaliero; amore.

Caro gli è il brando e la sua fama; egregi

Affetti son. Tu seguili; non fia

Che t’avvilisca amor”.

Ma questo è il grande amore inteso non solo di Paolo e Francesca, bensì di Gabriele e Eleonora. Si amarono con la tenerezza selvaggia e con la immensità fragile di un Dante e Beatrice. Un amore in versi che diventa un canto tra i Cantici del sublime e inebriante virgulto di un vento violento tra le imposte sul mare della Versilia e tra le strade di Toscana e di Roma. Cosa resterà? Non un ricordo. La trasparenza del velo che cade dal capo nel momento in cui Gabriele sente l’ora dell’immortalità. Una leggenda. Ma i miti hanno bisogno della griglia degli archetipi. In quel tempo con una favola bella che non illuse e con il ricordo in questo tempo in cui si va alla ricerca del tempo proustuano. Il 2024 cadrà il centenario.

Autore

nato in Calabria. Scrittore, poeta, italianista e critico letterario. Esperto di Letteratura dei Mediterranei. Vive la letteratura come modello di antropologia religiosa. Ha pubblicato diversi testi sulla cristianità in letteratura. Il suo stile analitico gli permette di fornire visioni sempre inedite su tematiche letterarie, filosofiche e metafisiche. Si è dedicato al legame tra letteratura e favola, letteratura e mondo sciamanico, linguaggi e alchimia. È presidente del Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi”.