• 7 Novembre 2024
Politica

Oltre al marxismo-leninista e al marxismo-stalinista esiste il marxismo-gramsciano. Il primo prende il potere con la rivoluzione. Il secondo conserva il Palazzo d’Inverno con il terrore. Il terzo occupa le istituzioni con l’egemonia. Il caso del magistrato di Catania, Iolanda Apostolico, rientra nel terzo caso in modo esemplare: va in piazza con gli estremisti che gridano “assassini” ai poliziotti e poi, in qualità di magistrato dello Stato, giudica i fatti e i provvedimenti del governo al centro dello scontro tra governo e poliziotti da un lato e manifestanti dall’altro. In nome di cosa? Di una presunta idea superiore di giustizia che ha il compito di trasformare la società e renderla veramente giusta. La tradizione del comunismo italiano, che vien da molto lontano, la pensa sulla rivoluzione esattamente come Longanesi: “Gli italiani vogliono fare la rivoluzione con l’autorizzazione dei carabinieri”. Così quando, dopo Yalta, l’Italia rientra nel campo atlantico, Togliatti da bravo realista si adegua al verbo sovietico e la via italiana per arrivare a Mosca – “come fanno in Russia” – non passa per la rivoluzione ma per la presa delle casematte, come diceva Gramsci, delle istituzioni e della società civile. Insomma, occupare tutto l’occupabile un po’ con la spartizione e un po’ con la propaganda gridando al mondo intero che tutto ciò che è “borghese” – diritto, mercato, proprietà – è una “falsa coscienza” ossia una maschera che copre il potere.

In queste condizioni a chi tocca attuare la rivoluzione? Ai giudici. Il delicato rapporto tra giustizia e governo è assunto alla luce della celebre undicesima Tesi di Marx su Feuerbach (roba da teologia dell’Ottocento che, ahimè, è fin troppo attuale) che fa così: “I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; ora si tratta di trasformarlo”. La giustizia è piegata a fini politici e la politica è sottoposta alla giustizia: entrambe sono subordinate all’Ideologia. Non è un caso che all’inizio degli anni Novanta l’azione del pool di Milano – Mani Pulite – sarà vista come la “rivoluzione dei giudici” in cui gli ex e post comunisti, ormai senza più il peso né del Pci né di Mosca, potranno abbandonarsi senza più alcun freno al giustizialismo come la via più breve sia per esaltare la propria convinzione di superiorità morale, proveniente da Berlinguer, sia per andare al governo con la nuova e “gioiosa macchina da guerra”. Tutto perfettamente in linea con il marxismo-gramsciano che con “il moderno Principe” ha preso il posto nelle coscienze “della divinità o dell’imperativo categorico” ed espropriando gli espropriatori realizza finalmente il matrimonio tra verità e potere. Ma a rovinare la festa in quel tempo giunse Silvio Berlusconi il quale vinse le elezioni e da quel momento divenne il nemico politico numero 1 che andava eliminato per via giudiziaria.Prendete questa storia, giratela e rigiratela, aggiungetevi anche nuovi nomi e volti e perfino altri partiti o movimenti – il M5S, per capirci – e il risultato sarà sempre il medesimo: il giustizialismo italiano che affonda le profonde radici nella storia del comunismo italiano e nella sua impossibilità di fare la rivoluzione a viso aperto. Lo slogan del Manifesto di Marx ed Engels – “Proletari di tutto il mondo unitevi” – è stato tradotto in: giudici di tutto il mondo unitevi. Un inganno culturale con cui ancora si ubriacano i cosiddetti ceti riflessivi figli del benessere capitalista (che disprezzano nella teoria e apprezzano nella pratica).

Autore

Saggista e centrocampista, scrive per il Corriere della Sera, il Giornale e La Ragione. Studioso del pensiero di Benedetto Croce e creatore della filosofia del calcio.