Il piccolo Libano torna protagonista della cronaca internazionale. Tutta colpa dell’esercito israeliano (IDF) risoluto a farla finita con i guerriglieri di Hezbollah che da anni lanciano missili sul territorio israeliano. Ma non c’era l’ONU che doveva sorvegliare? Il Libano suscita in me vecchi ricordi, almeno fino agli anni ’90 quando nel mio piccolo cercavo di sostenere le lotte, le battaglie politiche e militari dei cristiani libanesi, ma anche dei musulmani. La battaglia per l’indipendenza del Libano attirava tutto il mio apprezzamento. Ci sono le immagini che testimoniano il mio impegno volontario di sensibilizzazione a favore del piccolo Paese mediorientale. Dopo decenni di silenzi ora ci si ricorda che esiste anche il Libano. Un Paese con un governo debole, ostaggio per troppi anni di una organizzazione terroristica filo-iraniana come Hezbollah, che spadroneggia in buona parte del Paese a cominciare dalla capitale Beirut. Andiamo all’attualità. “L’operazione militare appena lanciata dall’IDF, le forze armate israeliane, nel sud del Libano ha svelato una rete di tunnel e depositi di armi nonché dispiegamenti tattici di mezzi e risorse, dimostrando come Hezbollah fosse in procinto di replicare il massacro del 7 ottobre su larga scala. Grazie a raid segreti, Israele è riuscito a colpire circa 1.000 siti strategici, prevenendo un attacco che avrebbe destabilizzato l’intera regione mediorientale”.(Bepi Pezzulli, Unifil è più di un fallimento: ecco come ha rafforzato Hezbollah, 3.10.24, atlanticoquotidiano.it) In pratica, sia il governo libanese impotente o connivente, sia l’Onu, non sono riusciti a far cessare le provocazioni dei miliziani di Hezbollah sul territorio israeliano. Così Israele ha pensato di risolvere l’annosa questione al confine col Libano. “Il Capo di Stato Maggiore Herzi Halevi ha aggiunto che l’incursione ha rivelato i meticolosi preparativi militari di Hezbollah per un’invasione di Israele con 7.000 terroristi e ha evidenziato come l’IDF abbia neutralizzato le infrastrutture militari di prossimità del gruppo terrorista sciita, senza dover ingaggiare un confronto militare diretto”. Ma giustamente emerge una domanda inquietante: come mai l’UNIFIL, la forza di pace delle Nazioni Unite presente sul confine tra Israele e Libano da ben 46 anni, non è riuscita a neutralizzare il terrorismo di Hezbollah? Infatti, Tunnel, armi e mezzi di Hezbollah non avrebbero dovuto trovarsi lì, a poche centinaia di metri dal confine.
Istituita nel 1978, UNIFIL aveva il compito di monitorare il cessate il fuoco e prevenire una escalation tra Israele e le fazioni libanesi, un ruolo ampliato con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu 1701, adottata il 12 agosto 2006, al termine della guerra tra Israele e Hezbollah in Libano. Essa richiedeva il cessate il fuoco immediato, la fine delle ostilità da entrambe le parti e il ritiro delle forze israeliane dal Libano meridionale. Ma uno degli elementi chiave della risoluzione era la creazione di una zona smilitarizzata a sud del fiume Litani, vietando lo stoccaggio di armamenti non autorizzati, ad eccezione delle forze armate regolari libanesi e UNIFIL. Il documento prevedeva anche il rafforzamento della missione UNIFIL, affidandole il compito di monitorare l’area e prevenire nuove escalation militari. Dunque è evidente il fallimento di UNIFIL. Ha fallito nel suo obiettivo principale. Hezbollah ha continuato a operare senza interdizione, costruendo infrastrutture militari clandestine e preparando nuovi attacchi contro Israele. Le forze di pace hanno fatto poco più che documentare queste violazioni. Addirittura secondo il governo israeliano UNIFIL per la sua inefficacia, ha favorito e agevolato involontariamente (?) il rafforzamento di Hezbollah. Le violazioni della risoluzione 1701 sono divenute la norma, e la presenza di UNIFIL non è riuscita a fermare l’espansione politica della milizia terrorista. Le truppe dell’Onu, spesso limitate al ruolo di semplici osservatori, hanno fallito nel favorire una pace duratura, lasciando l’area nel limbo di una guerra fredda e sempre più vicina a un nuovo conflitto di terra.
“Attraverso la sua stessa inazione, UNIFIL è diventata un complice dello status quo che minaccia la stabilità regionale. La riluttanza dei caschi blu a smantellare le operazioni di Hezbollah, in violazione della risoluzione 1701, rivela una ingiustificabile disconnessione tra la missione dichiarata e le azioni effettive. Invece di garantire sicurezza, UNIFIL funge da cuscinetto che offre a Hezbollah lo spazio necessario per riorganizzarsi, riarmarsi e operare con impunità”. Pertanto, secondo Pezzulli ora La comunità internazionale deve riflettere sul futuro di UNIFIL. Il sud del Libano è diventato un pericoloso terreno di preparazione per Hezbollah, e Israele non poteva più attendere di lasciare ai terroristi la prima mossa. L’illusione di un intervento pacifico e imparziale si è ormai sgretolata. Forse è giunto il momento di riconoscere che, in un contesto così volatile, indossare il casco blu non basta a proteggere la pace. Per spegnere un incendio, non basta soffiarci sopra.
Per quanto riguarda l’Iran, il colpevole numero uno dell’incendio terroristico del Medio Oriente, è interessante il messaggio del Primo ministro israeliano
Benjamin Netanyahu. “Un alleato migliore può arrivare… dall’Iran stesso. L’Iran è nemico di Israele, perché è ostaggio, dal 1979, di un regime oggettivamente criminale. Questo regime ha dirottato l’Iran e lo ha spinto alla guerra contro i suoi ex alleati di lunga data: Usa e Israele. Ma gli iraniani non sono il loro regime”.(Stefano Magni, I conti si chiudono a Teheran. E Israele ha un alleato: gli iraniani, 2.10.24, atlanticoquotidiano.it) Infatti, Netanyahu si è rivolto agli iraniani comuni. “Ogni giorno, vedete un regime che vi soggioga, fa discorsi infuocati sulla difesa del Libano, sulla difesa di Gaza. Eppure ogni giorno, quel regime fa sprofondare la nostra regione sempre più nell’oscurità e nella guerra. Ogni giorno, i loro burattini vengono eliminati. Chiedete a Mohammed Deif. Chiedete a Nasrallah”. Continua Netanyahu al popolo iraniano:“Immagina se tutti i soldi che il regime ha sprecato in armi nucleari e guerre straniere fossero investiti nell’istruzione dei tuoi figli, nel miglioramento della tua assistenza sanitaria, nella costruzione delle infrastrutture della tua nazione, acqua, fognature, tutte le altre cose di cui hai bisogno. Immaginalo”.Certo non sappiamo se e quando il popolo iraniano riuscirà a liberarsi del regime, tuttavia, ci sono diversi segnali di insofferenza nei confronti degli ayatollah. Stefano Magni ne elenca alcuni come le manifestazioni nate a seguito dell’uccisione di Mahsa Amini (ragazza uccisa dalla Polizia Morale solo perché portava il velo, ma in modo non appropriato), dopo due anni di repressione feroce, dopo il record mondiale di esecuzioni capitali raggiunto nel 2023, lo scollamento fra popolo e regime non è mai stato così grande. Nonostante gli iraniani sono bombardati tutti i giorni dalla propaganda islamica per la causa palestinese, “nel 2020 all’ingresso dell’università di Teheran, le autorità avevano steso una bandiera israeliana e una americana per terra, in modo da farle calpestare dagli studenti che entravano. Ebbene: tutti cercavano di aggirarle ma non calpestarle. Probabilmente, più che per amore di Israele o degli Usa, per disobbedire a chi ordinava loro di odiarli”. Il 9 ottobre 2023 (due giorni dopo il pogrom scatenato da Hamas) a una partita giocata nello stadio di Teheran, i tifosi hanno urlato slogan contro la bandiera palestinese issata dalle autorità. “Quella bandiera, ficcatevela…” si può capire dove, cantavano i tifosi, in coro. Altro episodio, le feste in piazza per la morte del presidente Ebrahim Raisi, detto “il boia di Teheran”, per aver condannato a morte decine di migliaia di dissidenti in veste di giudice e poi di dirigente politico. Al lutto ufficiale, gli iraniani comuni hanno risposto tirando i fuochi d’artificio la notte stessa in cui hanno ricevuto la notizia della morte di Raisi, deceduto in un incidente d’elicottero mentre tornava da una visita di Stato in Azerbaigian. Saranno piccoli episodi, “ma sono straordinari considerando che avvengono all’interno di un regime islamico. In tutti i Paesi musulmani, anche quelli laici, si fa a gara a calpestare o bruciare la bandiera di Israele, non si sono mai viste dimostrazioni di segno opposto, né si sono mai uditi cori di stadio contro la bandiera palestinese, un feticcio in tutto il mondo islamico”. Pertanto fa bene Netanyahu a rivolgersi al popolo iraniano: “Da Qom a Esfahan, da Shiraz a Tabriz, – afferma Netanyahu – ci sono decine di milioni di persone buone e perbene con migliaia di anni di storia alle spalle e un futuro brillante davanti a loro. Non lasciare che un piccolo gruppo di teocrati fanatici distrugga le tue speranze e i tuoi sogni”.
Allora, la soluzione è a Teheran. La chiave di volta di tutte le crisi in Medio Oriente è l’Iran. “Il governo Netanyahu lo ha capito da subito e lo aveva compreso molto bene anche l’amministrazione Trump che, nei quattro anni di governo, aveva isolato il regime islamico, lo aveva sanzionato e indebolito. Prima di Donald Trump, i neoconservatori avevano sempre individuato, in una potenziale rivoluzione anti-ayatollah in Iran, la possibile soluzione definitiva per la pace in Medio Oriente.
Hezbollah, Houthi, milizie siriane, milizie irachene, tutti gli agenti di destabilizzazione mediorientale, incluso Hamas, rispondono ormai solo al regime di Teheran. Rovesciarlo, possibilmente facendo leva sul popolo iraniano, sarebbe come tagliare la testa dell’idra”.