• 9 Ottobre 2024
La mente, il corpo

Si può scrivere un’ode in prosa? E se ne può dedicare una al letto, questa fondamentale componente dell’arredamento di una casa? Mi rispondo: perché no, se qualcuno, ben più autorevole di me – Pablo Neruda, sì, proprio lui – ne ha dedicata una al pomodoro e un’altra al carciofo? Quanto alla versione in prosa, quest’ultima, nei casi migliori, ha in comune con la poesia il culto della parola e perfino una certa musicalità. Ritengo poi che il letto meriti una simile attenzione: nel nostro immaginario e nella nostra cultura, affonda letteralmente le radici in profondità, nella terra di Itaca e nell’Odissea, dove Ulisse proprio sul tronco mozzo di un ulivo secolare costruì il suo talamo nuziale… E allora, ode al letto!

Se ne potrebbe scrivere attraversando tutti i generi letterari, dalla storia dell’arredamento alla poesia, dalla psicanalisi al cinema, dalla pittura alla narrativa e via elencando. Qui voglio limitarmi a qualche suggestione proprio come gli antichi rapsodi, saltando qua e là, senza alcun ordine temporale o, appunto, di genere (anche se, nelle sue differenti funzioni, il letto segna le tappe della nostra vita, dalla nascita all’infanzia e all’adolescenza, dalla maturità alla vecchiaia, fino alla morte).

Per la mia generazione, la storia incomincia dal letto dove ci partorì nostra madre, magari nella casa dei nonni, ma di questo non possiamo avere memoria. E allora passiamo a quello dell’infanzia, il “lettone” di tutte le mamme e i papà, quello in cui saltare le mattine dei giorni di festa, dalla culla o dal lettino, per giocare alla lotta o per godersi qualche coccola in più. Inutile dire che all’epoca noi piccoli non ci curavamo dello stile del mobilio: soltanto negli anni, avremmo ricordato quel legno di faggio e mogano racchiuso in linee ispirate all’architettura razionalista nella camera dei genitori o l’arzigogolato rococò di quella dei nonni.

Nelle rare gite o nella villeggiatura, anche il letto aveva la sua parte: quanto erano alti quelli dei parenti di campagna, con i materassi di crine vegetale, che frusciavano e scricchiolavano quando ti rigiravi, nella difficoltà di prendere sonno, ancora eccitato dalle piccole avventure di ragazzino di città non certo abituato a giocare a nascondino nel vigneto o nella soffitta odorosa di mele o ad acchiapparella in mezzo ai peschi e ai susini… E poi c’era il frinire delle cicale, e il sentore forte della stalla, con gli animali che a casa o a scuola potevamo vedere soltanto in fotografia (e, più tardi, in televisione) e ora erano a portata di mano… E che vuoi dormire, in quel lettone fresco d’estate e gelido d’inverno, quando non bastava la borsa d’acqua calda, che pure a casa riscaldava solamente quella piccola superficie del lenzuolo dove poggiava, lasciando al freddo il resto del letto, sotto la pesante trapunta.

Già, i materassi: anche per questo importante accessorio ci sarebbe da scrivere una storia. Del crine abbiamo detto, ma nei materassi di città c’era la lana, silenziosa e dura, anche dopo l’opera del cardatore, che una volta all’anno s’impadroniva della camera da letto per fare il suo lavoro.  Spargeva candidi fiocchi sul pavimento, sotto lo sguardo intermittente della mamma, tra una faccenda e l’altra, e quello nostro – quello mio… – incantati dalla magia di quei gesti… Era di là da venire il tempo del materasso di gommapiuma, e ancor più lontano quello del materasso a molle (per non dire di quelli anatomici, in lattice e in “memory”).

A proposito di storia, anche il letto faceva registrare la sua evoluzione: dalle più semplici e modeste testiere sormontate da immagini sacre, attraverso gli stili di cui abbiamo detto (si possono aggiungere il chippendale e il veneziano e altri ancora), si doveva arrivare al minimalismo funzionale di oggi, con i “sistemi per dormire” – così oggi li chiama la pubblicità – e ai letti-contenitore, alle reti e alle doghe salutiste via via utilizzate al posto delle severe tavole sui cavalletti di una volta e delle stesse reti metalliche; per non dire delle brande in uso nelle spartane colonie estive o nelle camerate della naja, con i soldatini dormienti, ma pronti a scattare per la marcia notturna (le stesse brande dove potevi trovare temporaneo conforto dal febbrone conseguente alla temuta iniezione sul petto…).

Ma non dimentichiamo il letto e i suoi succedanei nelle arti figurative: qui ci limitiamo ai letti disfatti dipinti da Eugène Delacroix o a quelli degli americani John Singer Sargent, che ritrae un collega pittore nell’esercizio della sua arte o ancora quello di Elizabeth Okie Paxton, che con quelle scarpe col tacco giacenti sul pavimento e una ricca colazione sulla sedia accanto al letto lascia immaginare una notte d’amore… E che dire del frugale singolo di Van Gogh nella sua cameretta ad Arles?

Troppo numerosi sono poi i letti evocatori di giochi sessuali, di passioni travolgenti, d’incontri clandestini, per renderne conto anche in minima parte: qui ne scegliamo uno soltanto, che affronta l’alcova contemporanea sotto l’inusitato profilo della noia esistenziale; così può trarre in inganno la foto di una sorridente, giovanissima Catherine Spaak ricoperta di banconote nel letto del protagonista del moraviano “La noia”, nella trasposizione cinematografica di Damiano Damiani (e tralasciamo il tragico letto cinematografico di Nagisa Oshima, ne “L’impero dei sensi”).

Ma torniamo al sole, quello estivo filtrato attraverso le persiane socchiuse di una casetta al mare, col contrappunto sonoro delle cicale o a quello che irrompe trionfante dall’oblò di una cabina di quelle navi da crociera fatte apposta per coniugare il viaggio e il sogno; o ancora, torniamo alla luce di un tramonto che scivola veloce dal finestrino fin nelle cuccette di un Orient Express…

E a proposito di succedanei del letto, vi è quello letterario per antonomasia, il divano di Oblomov, simbolo dell’aristocratica rinuncia al mondo e alle sue frenesie, oggi democratizzato come metafora della nullafacenza e della passività televisiva.

Certo, non possiamo dimenticare il letto di dolore e quello dove consumavano – continuano a consumare – gli ultimi istanti i fortunati giusti, circondati dagli affetti familiari; ma non vogliamo concludere queste rapsodie con immagini tristi. Perciò, senza riandare a tutto un filone pecoreccio della commedia cinematografica italiana, dove il letto è protagonista, volgiamo il nostro sguardo verso quello non a caso definito “matrimoniale”, per esaltarne la funzione di simbolo non solo dell’amore, ma della stabilità, della fedeltà e, perché no?, della responsabilità. Anche se è quella stessa tipologia di letto che accoglieva i casti amplessi del principe di Salina e della di lui consorte, prima che lo stesso principe-gattopardo andasse a rallegrarsi in altri, più fantasiosi e gratificanti letti.

In ogni caso, viva il letto, che da sempre ci ospita nei nostri sogni e nei nostri sonni, nelle nostre angosce e nei nostri piaceri, nelle nostre case per la vita ordinaria e nei luoghi vicini o lontani che ci accolgono per un effimero viaggio.

Autore

Nato a Napoli, vive a Roma, dove svolge un’intensa attività pubblicistica. Ha collaborato e collabora con diversi quotidiani e riviste, alcune delle quali ha contribuito a fondare. Ha pubblicato romanzi, poesie e saggi, l’ultimo dei quali, “Giornale di un viaggiatore ordinario” è stato pubblicato da Tabula fati (Chieti 2022).