• 27 Luglio 2024
Cultura

A più di centodieci anni dalla sua nascita  pare inesauribile la forza propulsiva del futurismo, ancora capace di “contaminare” i territori, facendone riemergere la memoria incorrotta.

A mettere in luce quanto il Movimento più rivoluzionario del Novecento sia stato segnato dalle influenze provenienti anche dal Meridione d’Italia, ci pensa ora la bella mostra inauguratasi il 20 ottobre scorso a Palazzo Lanfranchi di Matera, alla presenza del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, dal titolo “Futurismo italiano. I contributi del Mezzogiorno agli sviluppi del Movimento” (fino al 10 gennaio 2024).

L’esposizione è promossa e organizzata dal Museo Nazionale di Matera in collaborazione con la Direzione Regionale Musei Veneto. Ideata da Annamaria Mauro e Daniele Ferrara, è curata dal professor Massimo Duranti.

Ad emergere, accanto  ai nomi dei protagonisti Boccioni, nativo della Calabria, Balla, Severini, Carrà, Prampolini, Dottori, Benedetta, ci sono anche quelli di personaggi meno noti, ma non meno significativi come Roherssen, Bologna e Castellana. 

Significativa la pattuglia  degli aeropittori,  presenti con le opere di numerosi futuristi le cui peculiarità furono declinate da  Marinetti stesso nel 1939:  Prampolini e Crali inseriti nella “Aeropittura stratosferica cosmica biochimica”; Fillia e Diulgheroff nell’ “Aeropittura essenziale, mistica ascensionale simbolica”; Dottori, Benedetta, Bruschetti, Peruzzi, Tano e Angelucci in quella trasfiguratrice lirica spaziale; Tato nella “sintetica e documentaria”. Opere di Dottori, Fillia e Bruschetti rappresentano l’Arte Sacra Futurista, codificata dal manifesto del 1931. 

Oltre all’Aeropittura, negli sviluppi futuristi si manifesta la tendenza meccanicistica che viene rappresentata da opere di Depero, Pannaggi e Prampolini che manifesterà poi l’idealismo cosmico, presupposto dell’astrattismo. Particolare attenzione è riservata in mostra, guardando specificatamente al Meridione, ai “Circumvisionisti”, il gruppo dei futuristi campani attivi già dal 1914: pittori, poeti paroliberi, scrittori e intellettuali che animarono la presenza futurista a Capri e Napoli. Vengono così presentate opere dei fratelli Francesco e Pasqualino Cangiullo, Buccafusca, Cocchia, Peirce, Lepore, Maino protagonisti di un percorso culturale che dal Futurismo giunge al teatro napoletano di Antonio De Curtis.

Un focus è riservato al contributo al Futurismo della Lucania: ad essere esposte sono due rarissime opere di Joseph Stella, nativo di Muro Lucano, ma trasferitosi a 19 anni negli Stati Uniti, definito il primo futurista d’America.

Con la  mostra di Matera il Futurismo conferma il suo essere avanguardia totale, dinamica, in grado di attraversare tutta la Penisola, ivi compreso il Mezzogiorno d’Italia. Lo stesso Marinetti, giungendo a Catanzaro nel 1913, rimase piacevolmente sorpreso dalla partecipazione degli artisti e intellettuali del Meridione, propensi a ribellarsi al vecchiume di idee e comportamenti che ostacolavano il vero progresso e a intraprendere una azione di rottura contro il perbenismo imperante.

Una delle tappe più importanti del futurismo campano è la “Prima esposizione di Pittura futurista” organizzata da Cangiullo a Napoli il 14 maggio del 1914 alla galleria di Giuseppe Sprovieri in via dei Mille, con la nota performance di Cangiullo, in cui il “parolibero” scolpisce a suon di schiaffoni la “testa di Croce” in argilla e, con l’aiuto di Marinetti, inserisce dei bengala rossi al suo interno. In nome del “dinamismo plastico”.

Dell’identità  meridionalistica del futurismo è segno il Manifesto futurista ai pittori meridionali , pubblicato nel 1916, anno della morte di Boccioni, a firma dello stesso pittore, nel quale viene rivendicata la via della rigenerazione dell’arte italiana, contro i rimpianti sentimentalistici dei meridionali e gli eccessi del “commercialismo” artistico.

“Gli artisti napoletani, e comprendo fra questi gli abruzzesi, i pugliesi, i siciliani – scrive Boccioni – hanno vissuto fino ad oggi in un cieco feticismo per la commissione, sia essa privata o governativa. Basta osservare come i migliori artisti meridionali accettano di lavorare per Goupil e Reutlinger e altri… Nella nostra povera vita provinciale, lavorare pei negozianti d’arte di Parigi sembrava toccare le vette della gloria…”

Ad essere rivendicata quella che Boccioni definisce l’ “originalissima miseria aristocratica” incarnata da Napoli, una Napoli che “vive e si trasforma con tutte le sue forze, con tutte le sue originalità”;  la Napoli dei guappi e degli scugnizzi, del  “cafe chantant italiano, che noi futuristi crediamo superiore a qualsiasi forma di teatro moderno e il parossismo ciclonico di Piedigrotta”; macchiettista e fulminea con la propria potenza mimica, talmente capace nel colpire l’attualità della vita, “che le commedie e le satire di tutti i tempi diventano al confronto fredde esercitazioni morali”.

Su questi crinali molto c’è nuovamente da recuperare dell’esperienza futurista, particolarmente oggi in una fase di “ripensamento” dell’immaginario italiano. Non solo passato – sia chiaro  – che per il futurismo sarebbe un controsenso, né esclusivo culto del suo dinamismo estetico, ma vera e propria “aspettativa” nel segno di un “primato” italiano (e meridionale) tutto da ritrovare ed affermare – come ci insegnano  Marinetti e la sua effervescente armata di “creativi”.

Autore

Giornalista e scrittore, a partire dalla seconda metà degli Anni Settanta ha collaborato alle principali pubblicazioni dell’area anticonformista. Dal 1990 al 2000 ha fatto parte della redazione del mensile “Pagine Libere”, specializzandosi in tematiche economiche e sociali, con particolare attenzione alla dottrina partecipativa. Scrittore “eclettico” ha al suo attivo diversi saggi dedicati al sindacalismo rivoluzionario e al moderno movimento delle idee. Tra gli ultimi libri: L’Idea partecipativa dalla A alla Z. Principi, norme, protagonisti (2020), La Rivoluzione 4.0 (2022). E’ direttore responsabile del trimestrale “Partecipazione”. Dal 2017 al 2022 è stato componente del CdA della Fondazione Palazzo Ducale di Genova. Dal marzo 2023 fa parte del CdA del MEI (Museo dell’ Emigrazione Italiana).