• 27 Luglio 2024
Profili

“Uno dei figli più brillanti della spesso bistrattata working class”: questo era Enoch Powell, prima di tutto.

Nato nel 1912, appassionato di studi classici, sommo estimatore del latino e del greco e profondissimo interprete della cultura politica dalle forti tensioni etiche, Powell fu eletto deputato nel collegio di Wolverhampton, nelle West Midlands, vicino a Birmingham (zona di fabbriche e città operaie) e a livello parlamentare si schierò da subito coi conservatori. Imperterrito difensore dell’identità nazionale, vedeva “nella politica l’idea religiosa del bene da difendere contro l’altrui complotto”. Tale bene “era naturalmente l’Inghilterra”.

Tracciarne un identikit, oggi, non attiene ad una contestualizzazione dotta dei fatti inglesi e di chi ne abbia prodotto gli sviluppi, ma attiene ad una urgenza di rispolvero dei suoi moniti e delle sue battaglie. Prima tra tutte, quella contro l’immigrazione di massa, di cui Powell denunciò con veemenza i pericoli e le contraddizioni nel celeberrimo “Discorso dei fiumi di sangue”, tenuto il 20 Aprile 1968 alla ATV di Birmingham. Il discorso, disponibile in italiano e in inglese nell’omonimo volumetto curato da Andrea Lombardi per ITALIAStorica,  contenente contributi di Davide Olla e Maurizio Serra, rappresentò una denuncia e presa di posizione contro la legge anti-discriminatoria varata dal governo labour: il “Race relaction act”.

Nonostante il Partito conservatore criticò aspramente Powell e i suoi toni, il discorso infiammò la folla e fu accolto e condiviso da lavoratori, operai e sindacati.

La ragione fu molto semplice: il Rivers of Blood Speech era l’emblema di quel sentimento di “britishness” che attraversava i britannici nel profondo e che era altamente minacciata a causa della reindustrializzazione e del conseguente arrivo di migliaia di immigrati soprattutto dalle ex colonie (West Indies, cioè Giamaica e dintorni, India e Pakistan), nonché a causa dell’economia sempre più improntata ad un liberismo incontrastato con relativo detrimento dei diritti e della qualità di vita della già nominata working class, della quale Powell era originario.

In un’Inghilterra ormai sull’orlo della commistione razziale, in cui i bianchi erano sulla difensiva di fronte all’immigrazione dilagante, dice l’autore che “la discriminazione e la privazione, il senso di allarme e di risentimento non appartengono alla popolazione immigrata ma alla popolazione autoctona della nazione”.

Riportiamo di seguito un breve estratto che aiuta a risalire alle cause profonde che muovevano gli Inglesi in tale atteggiamento di sospetto nei confronti degli immigrati e di percepita lesione delle proprie garanzie.

Scrive Powell che “gli immigrati del Commonwealth sono arrivati già come cittadini, in una nazione che non ha mai conosciuto la discriminazione fra un cittadino ed un altro, e sono entrati immediatamente in possesso dei diritti di ogni altro cittadino, dal diritto di voto al diritto di cure a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Quali che fossero le difficoltà affrontate dagli immigrati, esse non erano causate né dalla legge, né dall’ordine pubblico né dall’amministrazione; erano causate da circostanze personali e malintesi che causano e causeranno sempre le sorti e le esperienze di un uomo che è diverso da un altro. Ma mentre per gli immigrati l’ingresso in questa nazione significava essere ammessi a privilegi ed opportunità che hanno cercato, l’impatto nei confronti della popolazione preesistente è stato molto diverso. A causa di motivi che non potevano comprendere, di decisioni prese senza chiedere la loro opinione, si sono ritrovati stranieri nella propria terra. Essi hanno visto le loro mogli che non riuscivano ad avere letti negli ospedali per le nascite, i loro figli che non riuscivano ad avere posti nella scuola, le loro case e i loro quartieri radicalmente cambiati, i loro progetti per il futuro andare a rotoli; al lavoro vedono che i datori di lavoro non sono propensi ad applicare ai lavoratori immigrati gli stessi criteri di disciplina e competenza che sono richiesti ai lavoratori autoctoni; iniziano a sentire, con il passare del tempo, sempre più voci che dicono che sono loro a non essere più i benvenuti. Ora apprendono che un atto del parlamento stabilirà un privilegio a senso unico; una legge che non può e non è pensata per proteggerli né per dare ascolto alle loro rimostranze; una legge emanata per dare allo straniero, allo scontento e all’agente provocatore il potere di perseguitarli per le loro azioni private”.

Parlare di privilegi e opportunità degli immigrati a scapito dei cittadini autoctoni, di vera e propria invasione senza integrazione e soprattutto di criteri differenti di disciplina e competenza nella valutazione degli immigrati rispetto a quella dei cittadini britannici, significa penetrare nel vivo di una questione complessa poiché implicante i diritti sociali, le garanzie costituzionali, il sistema-lavoro e la problematica etnica che porta con sé la conflittualità e lo scontro.

Diversamente, oggi come allora, semplificare il fenomeno e rendere meno complessa la disamina è il punto di vista solamente di coloro che vivono fuori dallo scenario lavorativo e contributivo (magari perfettamente a loro agio nelle felici isole globalizzate e globaliste, ma certamente non supportando economicamente una famiglia e una Nazione!) oppure di coloro che dal fenomeno migratorio traggono vantaggio.

Lo stesso Powell scrisse che “la sensazione di essere una minoranza perseguitata sta crescendo fra gli inglesi medi nelle aree della nazione ad alta densità di immigrazione. Questa sensazione è un qualcosa difficilmente immaginabile da quelli che non ne hanno avuto diretta esperienza. […] Non potrebbe esserci equivoco più grossolano della realtà di quello che è nella testa di chi chiede con veemenza una legislazione cosiddetta anti-discriminazione; fra di essi ci sono quegli scribacchini fatti della stessa pasta, e a volte persino stipendiati dagli stessi giornali, di quelli che, anno dopo anno, negli anni ’30 cercarono di nascondere a questa nazione i pericoli crescenti che doveva fronteggiare; fra di essi ci sono quegli arcivescovi che vivono nei palazzi, al sicuro e protetti dalle loro lenzuola fin sopra le loro teste. Essi hanno dannatamente torto”.

Il discorso si aprì con le seguenti parole: “the supreme function of statesmanship is to provide against preventable evils”: la funzione principale delluomo politico è agire contro i mali che si possono prevenire. Tralasciando il fatto che ovviamente non si sia optato per la preventiva soluzione, la proposta di Powell era quella, nel 1968, di interrompere gli ulteriori afflussi e promuovere al massimo i rimpatri. Entrambi i punti d’azione non significavano solamente il fronteggiare l’ipotesi, peraltro verificatasi, che “in 15 o 20 anni, di questo passo, ci saranno in questa nazione 3,5 milioni di immigrati dai paesi del Commonwealth e loro discendenti”, ma significava offrire una visione di lungo periodo ad un fenomeno storico che, in Gran Bretagna come nel resto del mondo, svelava la sua violenza e i suoi inceppamenti già nel breve, brevissimo periodo.

Col suo, come da sottotitolo al volume, “più rovente atto d’accusa contro l’immigrazione di massa e la sostituzione dei popoli”, Enoch was right!

Autore

Abruzzese, classe 1994. Laureata in “Scienze politiche e relazioni internazionali” e in “Filosofia e scienze dell’educazione” con tesi, rispettivamente, sul misconoscimento giuridico e sul pensiero economico di Charles Péguy. Laureanda in “Innovazione educativa e apprendimento permanente nella formazione degli adulti in contesti nazionali e internazionali”. Studiosa di Charles Péguy, approfondisce le opere del pensatore orléanese attraverso la partecipazione a realtà accademiche e culturali, sia italiane sia francesi. Giornalista e vicedirettore di "Il Guastatore". Ha collaborato con "Il Giornale Off", "Cultura Identità", "Il Giornale" nella pagina del sabato, "Lacerba" e “La Regione-rivista del Centro Italia”. Membro del comitato redazionale dell'“Istituto Stato e Partecipazione", col quale, tra gli altri progetti, ha preso parte al volume “Borgo Italia” di Edizioni Eclettica. Autrice, assieme ad altre donne, del volume “Ignoto Militi” per Idrovolante Edizioni. Nonostante gli studi filosofico-politologici, ha interessi nel campo narrativo-poetico e ha già pubblicato una silloge dal titolo "Specchio" (2014).