• 27 Luglio 2024
La mente, il corpo

I tempi moderni dei Social Media hanno fatto cambiare il nostro modo di mostrarci agli altri. I tentativi di imitazione di personaggi noti e meno noti alimentano un certo tipo di dinamiche nei confronti dell’accettazione del proprio aspetto fisico. Nel corso di questi anni e attualmente, mi sono occupata di scovare tutta quella comunicazione non verbale dei tatuaggi di ragazzi che appartengono ad una specifica “Gang”, ma spesso mi sono ritrovata a dover fare i conti con un fenomeno che intralcia il nostro lavoro di decodifica: la moda del tatuaggio.

Vi sembra facile? Non lo è, ma mi ha permesso di fare alcune considerazioni sulle manifestazioni in rete di persone apparentemente “sane” in termini di legalità. E come la chiusura di un cerchio, si arriva sempre sull’importanza dell’aspetto che si vuole mostrare: più belli, più giovani, più “fighi”.

Da quando si è cambiati e si arrivati a questo punto? Il viaggio è lungo e passa attraverso degli stereotipi, dalle star di Hollywood ai giocattoli con cui siamo cresciuti, per considerarne alcuni.

Era il 9 maggio del 1959 quando in un anonimo garage di Los Angeles nacque una signorina chiamata “Barbie” che imitava le dive di quegli anni.

E già, nata con un fisico mozzafiato e tutti gli indicatori per diventare un “esempio” da cui trarre ispirazione e da imitare. Che dire del suo super fidanzato “Ken”? Uomo ideale, moderno Principe Azzurro con tanto di auto sportiva, aereo, camper super accessoriato, un semidio. Sono cresciute generazioni di bambine degli ultimi 60 anni giocando con la bambola più famosa al mondo e con l’idea che per avere un fidanzato così devi essere come lei: bionda, occhi azzurri, vitino da vespa, gambe chilometriche e, soprattutto, essere di plastica.

E che dire del fenomeno esploso poco più di vent’anni fa? La trasformazione contaminata da altri tipi di bambole, Le Bratz, acerrime nemiche di Barbie, ognuna di loro con caratteristiche ed interessi ben precisi, ma che sono state più imitate perché più vicine alla realtà: zatteroni, abbigliamento alla moda, corpi sproporzionati, teste grandi e, soprattutto, bocche gonfiate. E quest’ultimo dettaglio riconduce alle foto, purtroppo non ritoccate, di alcune utenti dei Social, unite a vistosi tatuaggi al posto delle sopracciglia, metodi moderni per nascondere i difetti. Succede che molte ragazze e ragazzi, ma anche uomini e donne di generazioni precedenti, sembra abbiano preso alla lettera quell’essere di plastica, quell’apparire senza neanche un difetto e con quel sentimento di immortalità che il tempo non darà loro la giusta direzione, rischiano di essere pronti a tutto per quel sogno da realizzare.

Questa mania della perfezione mi fa venire in mente una piccola storia dietro il significato dell’avverbio “sinceramente” e che ci riporta ai fenomeni moderni di rifiuto per le cose e le persone con i difetti.

Cito espressamente dal web: “Nell’antica Roma la scultura era una professione molto popolare. Basti pensare che ogni cittadino romano era solito decorare la propria casa e il giardino con statue raffiguranti varie divinità o che avevano le sembianze di personaggi dei miti e leggende dell’epoca. Per questo motivo, molte persone sceglievano di diventare scultori. Ovviamente, non tutti quanti erano capaci a scolpire la pietra, perciò, molte delle loro opere erano fatte male. Per rimediare ai loro errori, gli artisti meno qualificati usavano versare della cera nelle crepe del marmo da loro lavorato per nascondere le imperfezioni. Gli ignari clienti che compravano le statue, di solito non si accorgevano di nulla e finivano per acquistare a caro prezzo un’opera mediocre, se non addirittura scadente. Gli artisti più abili non avevano bisogno di ricorrere a questo tipo di stratagemma, così, per assicurarsi che in giro si sapesse che le loro statue erano il frutto della loro bravura, contrassegnavano le loro opere con la dicitura “sine cera”, che, per l’appunto, significa “senza cera”.

Non vi sembra attuale? Quell’uso spropositato di silicone e inchiostro, che hanno sostituito la cera delle statue romane. Il problema è che non tutte possono diventare Barbie, a meno di sacrifici mostruosi come Valeria Lukyanova, la “Barbie umana”, che mette i brividi solo a guardarla, e le tristi trasformazioni mal riuscite rischiano di mettere in ridicolo chi vuole per forza attuarle mettendo in pericolo la propria sanità mentale. La sindrome di Barbie e Ken esiste ed è un grave disturbo mentale da non sottovalutare.

In questi ultimi anni in cui la plastica è bandita, ragazzi per favore svegliatevi, altrimenti finirete per galleggiare da soli, ingialliti dal tempo, in uno spazio dimenticato da tutti. Amatevi con tutti i vostri difetti perché sono loro a tirare fuori la bellezza che avete dentro di voi. Buona estate.

Autore

Criminologa e scrittrice. Esperta di Street Gang (Diploma presso Gang Academy) e Crimemapping. Attualmente impegnata nell'analisi delle Street Gang americane e la loro influenza in Italia come fenomeno migratorio di importazione. In particolare Analisi di Intelligence e crimini legati alle bande giovanili e legami con Crimine Organizzato fino ai reati di Terrorismo legati all’ISIS. Tra le sue pubblicazioni: “Street Gang – Terre di Confine”; Journal of Biourbanism Forensic Architecture. (2011–2015). Guatemala: Operación Sofía; “La Bicicletta di Sam. Una storia siciliana di amore e di emigrazione”; “Gente di Passaggio” dal Brigantaggio alla criminalità organizzata pugliese; “Dal Pane e Pomodoro alla Zuppa di Pesce Ciambotto; video documento e saggio breve in Inglese “O briganti o Emigranti”; "Brigantaggio, Un viaggio Attraverso Il Presente", nel saggio di Vittorio Aimati , Il paese maledetto, ovvero Un Paese di delinquenti nati?; “Either Brigands or Emigrants” – Video e pubblicazione per il Queens College New York; testo per il teatro "Il Burattinaio della Luna”.