• 27 Luglio 2024
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Sono passati sessantuno anni da quando il suo sorriso e le notizie sulla sua magica esistenza hanno lasciato il posto a ricordi mai sbiaditi. I moderni Social Media le riservano pagine colme di aneddoti, aforismi, video e tante fotografie. A New York agenzie specializzate in tour per turisti, organizzano visite guidate nei luoghi iconici in cui la “Diva” ha passeggiato, cantato e girato scene di film che l’hanno resa un sex symbol eterno, copiato dalle generazioni di dive dopo la sua che mai l’hanno conosciuta. È diventata un idolo da imitare per le nuove Kim Kardashian e Bella Hadid, per citarne qualcuna, dive in controtendenza alle anoressiche mazze di scopa che girano in rete e nei luoghi iconici del cinema e dello spettacolo mondiale in cerca di approvazione. Marilyn, femmina fino al midollo, che ha saputo ostentare con grazia le sue curve mozzafiato, facendo sognare uomini di ogni età e di ogni estrazione sociale, senza mai sconfinare nel volgare, tanto che la scoperta di quella ragazza fu fatta grazie a un calendario con le sue foto senza veli, in un periodo in cui bacchettonicamente si rifiutavano corpi nudi messi in mostra. Marilyn non era nuda neanche quando lo era. A cominciare dal suo sguardo profondo, indagatore e curioso, e dalle movenze che parlavano senza usare parole, dialogava Marilyn con sé stessa, per darsi coraggio e convincersi sempre di più del suo valore, e con chi la ammirava, regalando speranze di gioia, di qualunque natura fossero le aspettative dell’interlocutore.

Quello che affascina della donna che è diventata è il mistero dietro a tanti camaleontici atteggiamenti. Su di lei si continuano a far scorrere fiumi di inchiostro che tra le righe fanno emergere una donna intelligente, artefice di quei cambiamenti da sogno che hanno caratterizzato la sua vita, capace di discernere la sua immagine iconica e la sua identità di donna. Intelligente prima di tutto e nella sua esperienza ne ha dimostrato ampiamente di averne.

E poi un sogno lo definiremmo in breve, sì, ma di quelli lucidi che vivi mentre si srotolano a occhi aperti. Non sono una leggenda le sue origini e la vita affannata di bambina sfortunata, nata in un anonimo reparto indigenti di un ospedale di Los Angeles, con una madre affetta da una malattia psichiatrica e un padre di cui lei è andata sempre alla ricerca disperata. Sembra, con il senno di poi, che tutto quello che le è stato avverso, per certi versi, è stata la sua fortuna condizionando le scelte in fatto di uomini, di lavoro e indirizzandola a prendere le giuste distanze da una vita che non aveva nessun futuro roseo, nessuna promessa per lei. Quelle che hanno contato, però, sono state le promesse che ha fatto a sé stessa e che ha saputo mantenere. E non è stato davvero poco. È passata da essere odiata come bambina che nessuno voleva, è noto che sua nonna Della tentò anche di soffocarla con un cuscino e subì violenze sessuali in ambito familiare, a donna desiderata fino allo spasimo. Di uomini che l’hanno corteggiata, voluta a ogni costo come compagna di vita o come attrice di punta, o modella, ce ne sono stati tantissimi, ma la sua scelta, le sue scelte, hanno fatto la differenza, anche nell’ammettere sconfitte ed errori di valutazione.

In un’intervista del 1958 raccontò di essere stata portata in un orfanotrofio e di fronte a quell’edificio in mattoni rossi pianse pregando di non essere lasciata: “Quando una bambina si sente sola e perduta e pensa che nessuno la voglia, è qualcosa che non dimenticherà per il resto dei suoi giorni. Ciò che desideravo più al mondo, credo, era di essere amata. Oggi e allora per me amore significa sentirmi desiderata, e quando zia Grace mi portò in quel posto, tutto il mio mondo andò in pezzi. Sembrava che nessuno mi volesse con sé…”. 

Così iniziò la sua vita da orfana-non orfana, l’ospite numero 3463 in un posto che, a dispetto dell’immaginario collettivo, era pulito e ordinato. Ma lei, Marilyn, si sentiva fuori posto, terrorizzata dal comunicare con i suoi coetanei per via della sua balbuzie, severa con sé stessa a tal punto di accettare i compiti che all’interno dell’orfanotrofio le venivano ordinati senza mai ribellarsi convinta che prima o poi la sua esistenza sarebbe cambiata. 

Il primo Natale trascorso in quella comunità la segnò profondamente. Intorno al grande albero luccicante, i suoi compagni avevano ricevuto dei doni, lei no. Uno di loro compassionevole le regalò un’arancia che andò a mangiare davanti alla finestra mentre piangeva. Da quella finestra si poteva vedere la torre idrica della RKO gli studi cinematografici dove aveva lavorato sua madre. “Fu allora”, ricordò Marilyn nell’intervista, “che decisi che un giorno avrei fatto l’attrice e magari sarei entrata anch’io nei teatri di posa.” 

E la sua promessa l’ha mantenuta eccome, lottando contro quel modo assurdo di essere posseduta da chiunque se ne innamorasse in maniera ossessiva, voleva dimostrare di essere padrona di sé stessa, del suo corpo, della sua immagine e della sua vita privata. 

Gli uomini potenti, ricchi e influenti dell’epoca che ha frequentato e amato, non sono stati uomini qualunque. Che fosse Joe Di Maggio, Arthur Miller o John Fitzgerald Kennedy, non si può immaginare una come lei soccombere a quel tipo di uomini che potevano avere tutto e molto di più, ma lei era quella perla unica che non dimentichi mai, tanto da permetterle di cantare per il Presidente davanti al mondo intero che ne conosceva esattamente il ruolo in quel momento senza condannarla. 

Era lei la First Lady d’America, un titolo che ha pagato a caro prezzo dietro false aspettative e immensi egoismi di qualcuno. Possiamo ancora pensare ai complotti che hanno circondato la sua figura, le chiacchiere inutili, le sue relazioni pericolose con gli uomini della famiglia Kennedy come avulse dal suo controllo? Forse la sua consapevolezza di molte cose accadute in quel periodo fu totale, il suo ruolo fondamentale, le cose che aveva potuto sentire pericolose, tanto da firmare la sua condanna a morte e questo davvero non è un segreto.

La paura dell’abbandono penso sia stata una delle sue più grandi debolezze, ma come condannarla per questo? Quando è morta non era infelice, forse era delusa e ancora in attesa che quel qualcuno mantenesse quelle promesse fatte, per chiudere quel cerchio che tante volte si era spezzato e lei aveva insistito per chiuderlo tante volte, ma così non è stato. Inconsapevolmente è stato proprio quel non chiudere il cerchio che ha suggellato la sua fortuna. La vita non l’ha vissuta fino in fondo, non le è stato permesso di invecchiare, di lasciare che il tempo rovinasse la sua incantevole bellezza rendendola così universalmente indimenticabile, bellissima Norma Jeane, in arte Marilyn Monroe.

Autore

Criminologa e scrittrice. Esperta di Street Gang (Diploma presso Gang Academy) e Crimemapping. Attualmente impegnata nell'analisi delle Street Gang americane e la loro influenza in Italia come fenomeno migratorio di importazione. In particolare Analisi di Intelligence e crimini legati alle bande giovanili e legami con Crimine Organizzato fino ai reati di Terrorismo legati all’ISIS. Tra le sue pubblicazioni: “Street Gang – Terre di Confine”; Journal of Biourbanism Forensic Architecture. (2011–2015). Guatemala: Operación Sofía; “La Bicicletta di Sam. Una storia siciliana di amore e di emigrazione”; “Gente di Passaggio” dal Brigantaggio alla criminalità organizzata pugliese; “Dal Pane e Pomodoro alla Zuppa di Pesce Ciambotto; video documento e saggio breve in Inglese “O briganti o Emigranti”; "Brigantaggio, Un viaggio Attraverso Il Presente", nel saggio di Vittorio Aimati , Il paese maledetto, ovvero Un Paese di delinquenti nati?; “Either Brigands or Emigrants” – Video e pubblicazione per il Queens College New York; testo per il teatro "Il Burattinaio della Luna”.