• 27 Luglio 2024
Editoriale

Ogni mattina, davanti all’edicola dove compro i giornali, c’è una piccola donna che aspetta. Non ne conosco la nazionalità, e del resto poco mi importa. Ha uno sguardo triste e forse un po’ si vergogna a chiedere qualcosa per mangiare, come dice nel suo stentato italiano. Da me si aspetta i pochi spiccioli di resto che mi dà l’edicolante. Abitudine consolidata. Lo faccio con piacere, ma anche con disagio. 

Per quanto ignobile, l’accattonaggio è pur sempre l’estrema risorsa per sopravvivere. E ho smesso di chiedermi, davanti a un simile quotidiano spettacolo, cosa fa la società opulenta, grassa e tronfia, per ovviare ad una indecenza ordinaria riscontrabile in tutti gli angoli delle grandi città. Poi, non di rado, nelle mie passeggiate mattutine, mi accade di imbattermi in esseri malconci che rovistano nei cassonetti della spazzatura. E le considerazioni sono analoghe a quelle appena riferite. Cercano cibo, qualche vestito dismesso ma ancora buono per coprirsi, forse dei gadget gettati via per far posto a più sofisticati meccani. Chissà. La miseria ce l’abbiamo in casa e non è quella che affiora nelle riunioni conviviali discutendo della fatica di arrivare a fine mese, del mutuo da pagare, delle banche che ti prendono alla gola, del costo della vita. La miseria è la fame.

Ed è inspiegabile come si possa addirittura morire per denutrizione in un mondo che offre tutte le possibilità alimentari atte a soddisfare i bisogni più elementari. Squilibri, si dice. Ma non basta a mettersi l’anima in pace. Soprattutto quando le cifre parlano chiaro e dicono che oggi si produce in tutto il mondo più cibo di quanto sia mai accaduto nella storia dell’umanità. Nonostante questo più di un essere umano su dieci ha fame. 

Un miliardo di persone, dunque, sono affamate e spesso muoiono di inedia. Poi si scopre che un altro miliardo di abitanti del Pianeta è in sovrappeso: l’obesità è divenuta una malattia sociale. Da un lato non si trovano le risorse per sfamare popolazioni indigenti, dall’altro ne occorrono altrettante per curare coloro che si nutrono in eccesso. 

Squilibri? Perversioni, piuttosto, di un sistema globale che non è in grado di governare le contraddizioni e mettere riparo a situazioni che sono paradossali sotto tutti i punti di vista. 

Se a tanto si aggiunge poi che nel consumistico Occidente sono ingenti le quantità di cibo che vengono quotidianamente gettate nell’immondezzaio, per i motivi più vari, si ha un quadro pressoché completo di una vera e propria catastrofe umanitaria che coinvolge tutti, nessuno escluso ai quattro angoli della Terra.

La fame, dunque, sta dilatandosi come una sorta di pandemia. Milioni di bambini e famiglie non sanno come  sfamarsi, in Italia e nel mondo per quanto enorme sia la produzione  di cibo ovunque. 

Secondo le statistiche più recenti, se entro il 2080 non interverranno cambiamenti radicali, 600 milioni di persone si aggiungeranno a quelle che già oggi soffrono la fame. In particolare le  donne e i bambini sotto i 5 anni sono i più  colpiti dalla fame, specialmente  se appartenenti alle aree rurali. È pertanto indispensabile, se si vuole bloccare questa calamità assurda nella nostra epoca segnata dal benessere,  garantire un mondo sostenibile per tutti raggiungendo gli obiettiva di crescita e di distribuzione come auspicato dalle agenzie delle Nazioni Unite. Con la  consapevolezza che le  cause principali della fame nel mondo  sono i conflitti, le disuguaglianze e i cambiamenti climatici, flagelli interconnessi che rendono la vita invivibile a milioni di esseri umani.

In particolare, i Paesi dove le guerre ed i conflitti tribali rendono più aggressiva la fame sono, fino a colpire i due terzi delle loro popolazioni , l’Afghanistan, la Repubblica Democratica del Congo, l’Etiopia, la Nigeria, il Sudan del Sud, il Sudan, la Siria e lo Yemen. 

La maggior parte di queste nazioni vivono  attualmente in una situazione di  guerra permanente oppure subiscono  le conseguenze dei conflitti passati. E la fame è utilizzata come arma di aggressione e sottomissione  in molti Paesi con tecniche barbare come affamare sistematicamente le popolazioni, avvelenare i pozzi, bruciare i campi: un modo per cancellare libertà e dignità. La  donne, poi, non hanno in tutti i paesi citati ed in molti altri, soprattutto nelle aree arabo-islamiche ed in Africa,  un congruo  accesso alla terra e agli strumenti finanziari per affermarsi.

Sono costrette a contrarre matrimoni combinati e, dunque  forzati e  si vedono fin troppo spesso negato l’accesso all’istruzione, come in Afghanistan dove viene interdetto loro l’ingresso nelle scuole e nelle università. Ma anche altrove, dove l’Islamismo radicale è più agguerrito e guardingo, le donne sono costrette a restare povere per l’inibizione ad accedere agli strumenti formativi che potrebbero emanciparle.

Secondo l’organizzazione non governativa “Azione contro la fame”, se donne e uomini avessero accesso equo alla terra, la fame potrebbe ridursi del 12-17%. Per di più le donne in ragione della loro struttura biologica sono più facilmente affette dai cambiamenti climatici, dalle migrazioni forzate e prede di schiavizzazione dove gli scontri interetnici e religiosi sono maggiormente cruenti. 

Negli ultimi 10 anni, i disastri climatici hanno colpito in media 16 milioni di persone. Tempeste, inondazioni, siccità: ogni anno, queste calamità riducono migliaia di persone alla vulnerabilità. Dopo aver subito un disastro naturale, uomini e donne  si vedono sottratte della propria terra, del proprio reddito e delle proprie abitazioni. I violenti cambiamenti climatici costringono le popolazioni a fuggire e cercare rifugio in altri Paesi, oppure a cercare altre risorse, il ché può portare a conflitti laddove l’accesso a tali risorse risulti insufficiente e debba essere condivisi. Secondo gli esperti la creazione di “orti giardino”, la promozione di  pratiche agricole come l’agro forestazione o l’agroecologia, l’incremento di banche dei semi formando le comunità o fornendo loro tutti i materiali necessari, potrebbero ridurre il flagello della fame.

La connessione tra fame  e obesità, cui si è fatto cenno, come è stato autorevolmente osservato, produce inoltre squilibri planetari rispetto ai quali i governi sono sostanzialmente insensibili. Esse sono le due facce dello stesso problema e c’è pertanto chi a ragione sostiene che dallo sradicamento della prima può derivare anche una lotta efficace a una epidemia globale le cui conseguenze più immediate, come tutti sanno, sono il diabete e le malattie cardiovascolari. Di fronte a questi inoppugnabili dati, forniti principalmente dalla Fao, le coscienze dovrebbero ribellarsi, la politica dovrebbe mettere in campo tutte le risorse disponibili per contrastare un fenomeno che offende l’umanità la quale, come si fa notare, non ha mai posseduto e goduto di tante risorse alimentari come oggi. Eppure oltre ottocento milioni di persone sono cronicamente sottoalimentate. Ed è più che scandaloso, è una bestemmia contro Dio che ogni anno circa quaranta milioni di esseri umani muoiano a causa della fame o di malnutrizione. Ciò vuol dire che ogni sette secondi, da qualche parte, un bambino muore di fame o per gli effetti di essa.

In un libro che consiglierei a tutti di leggere, ma soprattutto ai politici che si occupano del nulla, di George McGovern, The Third Freedom: Ending Hunger in Our Time, si coglie questa spaventosa analisi: «Tra le vittime della fame nel mondo, trecento milioni sono bambini in età scolare. Oltre a infliggere loro i tormenti della fame, la malnutrizione li priva di energie, li sprofonda nell’apatia e li espone a ogni genere di malattie. Un bambino che ha fame non lavora bene a scuola, sempre che sia in grado di frequentare una scuola. Soffrire la fame o la malnutrizione durante l’infanzia può compromettere lo sviluppo del corpo e dello spirito per il resto della vita. Nessuno può dire quanti sono gli adolescenti e gli adulti la cui esistenza è stata rovinata dal fatto di essere stati vittime di malnutrizione nel ventre della madre o durante la prima infanzia».

Questo è il mondo nel quale viviamo. Un mondo nel quale siamo estranei gli uni agli altri. E davanti a chi chiede di vivere rispondiamo con un assurdo, incivile, barbaro egoismo mentre riempiamo le nostre vite di inutili  gadget  che le ricche nazioni sfornano per celarci la realtà.

Autore

Giornalista, saggista e poeta. Ha diretto i quotidiani “Secolo d’Italia” e “L’Indipendente”. Ha pubblicato circa trenta volumi e migliaia di articoli. Ha collaborato con oltre settanta testate giornalistiche. Ha fondato e diretto la rivista di cultura politica “Percorsi”. Ha ottenuto diversi premi per la sua attività culturale. Per tre legislature è stato deputato al Parlamento, presidente del Comitato per i diritti umani e per oltre dieci anni ha fatto parte di organizzazioni parlamentari internazionali, tra le quali il Consiglio d’Europa e l’Assemblea parlamentare per l’Unione del Mediterraneo della quale ha presieduto la Commissione cultura. È stato membro del Consiglio d’amministrazione della Rai. Attualmente scrive per giornali, riviste e siti on line.