• 16 Ottobre 2024
Diario

Quando qualcuno farà la storia, sine et ira ed studio,  della cultura italiana del   dopoguerra, inevitabilmente incrocerà la  figura e l’opera di Giovanni Volpe,  scomparso improvvisamente il 15 aprile 1984, mentre chiudeva i lavori del XII Incontro romano della Fondazione “Gioacchino Volpe”. Non è stato solo un editore anticonformista, orgoglioso del suo “isolamento” dalla cultura ufficiale, ma anche un intellettuale impegnato nella difesa dei valori della civiltà europea. Valori ai quali aveva improntato la propria esistenza nelle molteplici attività che ebbe modo di esplicare, offrendo soprattutto alle giovani generazioni un esempio di vita coerente in un mondo che pur non essendo il suo,  amava profondamente nella prospettiva di vederlo trasformato. I suoi pensieri, il suo lavoro, l’enorme passione civile che lo animava sono stati sempre rivolti alla Patria italiana la cui lacerazione lo faceva soffrire.

Giovanni Volpe aveva fatto della battaglia culturale l’attività primaria della sua esistenza, profondendo in essa le migliori energie nel tentativo, sempre perseguito anche a fronte di innumerevoli difficoltà ed incomprensioni, di dotare la Destra di un bagaglio di idee, di riferimenti storici e culturali tali da permetterle una maggiore consapevolezza della sua presenza nella società italiana e un’orgogliosa rivendicazione delle proprie radici. Ecco perché a Giovanni Volpe il fronte intellettuale “non conformista” deve molto. Ma c’è di più. L’ingegnere – come noi tutti lo chiamavamo – in poco più di un ventennio è stato un abile ed intelligente “scopritore” di talenti intellettuali. Attento  alle istanze delle giovani generazioni, ha inventato per esse convegni di studi, seminari, collane editoriali, fornendo, nel contempo, incoraggiamenti decisivi senza i quali probabilmente tanti giornalisti e scrittori avrebbero avuto un destino diverso.

A questo punto ricordare Volpe diventa difficile. La tentazione di cadere nell’“autobiografia” è forte. Ma chi scrive non può sottacere l’importanza dell’Ingegnere nelle proprie scelte culturali epolitiche. La sua presenza discreta, ma costante, il suo insegnamento lineare e corretto, i suoi incitamenti pressanti ela sua disponibilità come dimenticarli mentre, a distanza di quarant’anni da quella triste Domenica delle Palme, ho ancora davanti agli occhi la sua ultima smorfia di dolore, il suo saluto estremo a quanti erano intorno a lui e stavano ascoltando le sue conclusioni del convegno della Fondazione dedicato alla pace ed al pacifismo?

            Sottolineando l’importanza decisiva di Volpe nelle mie scelte culturali e politiche, non posso fare a meno di sottolineare che la stessa importanza l’ha avuta nelle esperienze intellettuali di una generazione i cui componenti, a prescindere dagli esiti successivi e dalle diverse strade intraprese, ebbero da Volpe i primi incoraggiamenti, gli strumenti operativi, la sua disponibilità a raccoglierne  le  idee,  gli entusiasmi, la “volontà di fare”.        A Volpe sono legati alcuni dei momenti più importanti della mia vita e di tanti miei compagni di vita proiettati nella “scoperta” dei fondamenti culturali che avrebbero dato il senso alla  nostra crescita culturale e civile ; momenti che indubbiamente hanno segnato l’ itinerario verso l’acquisizione di una visione del mondo e della vita che, probabilmente, senza di lui sarebbe stata diversa. Non posso fare a meno di confessare che Volpe, insieme con Julius Evola ed Adriano Romualdi, “fratello maggiore” della mia generazione  orfana di padri nobili, è stato per me e per quegli intellettuali nati fra la fine degli anni Quaranta e gli inizi dei Cinquanta, un uomo che ha contribuito a cambiare la nostra vita, dandole un indirizzo, delle “possibilità”.

            Questo non significa che sempre e comunque si andasse d’accordo con Volpe, tutt’altro. «Aveva, si dice – scrisse Alberto Giovannini, mio indimenticabile direttore, sul “Secolo d’Italia” all’indomani della sua morte – un cattivo carattere; e noi l’abbiamo spesso sperimentato. Ma il carattere quando si manifesta, nelle idee e nella politica delle cose è sempre “brutto”, tanto più che proprio il carattere differenzia i cavalli di razza dalle razze. E Giovanni era veramente un cavallo di razza».

Dunque, per via di questa innata qualità, Volpe aveva la capacità di saper valutare sempre senza preconcetti. Ecco perché anche quando non s’andava d’accordo, alla fine si finiva per accettare noi le sue decisioni o, talvolta  lui le nostre. Da Volpe, dunque, apprendemmo anche l’arte di far convivere le molte inquietudini che ci agitavano con le sue certezze. Da Evola traemmo i succhi più “saporiti” del cosiddetto “mondo della Tradizione” ed imparammo da lui il gusto della rivolta contro il mondo moderno; da Adriano Romualdi apprendemmo uno stile di vita ed una concezione della milizia politica e culturale.Volpe ci conquistò con  la      generosa fatica di organizzazione culturale che seppe e volle mettere a nostra disposizione la sua casa editrice, le sue riviste, i suoi convegni perché potessimo maturare, avere degli strumenti attraverso i quali manifestare la nostra “rivolta”, la nostra presenza, il nostro disgusto nel vivere in un mondo che non ci apparteneva che non era il nostro, che era, anzi, la prigione della nostra anima.

            Nato a Milano l’ 8 dicembre 1906 da Gioacchino Volpe ed Elsa Serpieri, Giovanni, pur appassionato di storia per via soprattutto delle ascendenze paterne, divenne ingegnere ed agricoltore. L’amore per la terra – che in buona sostanza significava per lui un raccordo con le proprie radici – lo fece diventare esperto di agricoltura ed in tale veste durante il fascismo scrisse numerosi articoli su riviste e giornali di carattere agricolo. Giovanissimo collaborò con lo zio Arrigo Serpieri, ministro dell’Agricoltura di Mussolini. Nel dopoguerra diede vita all’impresa agricola ed edile che portò il suo nome.

Il lavoro, alacre e ricco  di soddisfazioni, non lo ha mai distratto dall’impegno e dalla passione politica e culturale. Alla fondazione del Msi, nel dicembre di settantacinque anni fa è tra i primi ad iscriversi al Movimento. Mi ricordava spesso che pochi giorni dopo il Natale del 1946  si recò, insieme con Carlo Costamagna, nella vecchia sede missina di Corso Vittorio Emanuele a Roma a sottoscrivere la sua adesione. La sua fede sarebbe stata sempre la stessa; Volpe non era di quelli che mutano bandiera ad ogni cambio di stagione. Critico spesso, fedele sempre.

Nel 1964 fonda la casa editrice che portava il suo nome: comincia per lui un capitolo nuovo dopo tante estemporanee esperienze culturali ed editoriali.

Aveva, infatti, già edito alcuni periodici come Totalità, diretto da Barna Occhini e, per un certo periodo, Pagine libere , la  straordinaria rivista fondata da Angelo Oliviero Olivetti nel 1906.

Una casa editrice sua gli avrebbe permesso di tirare fuori dalle nebbie dell’oblio autori e volumi che la democrazia italiana aveva senza seppellito. I “vinti” ebbero il loro pane intellettuale. Volpe cominciò a pubblicare Jünger e Salleron, Evola e Drieu La Rochelle, Ploncard d’ Assac e Josè Antonio Primo De Rivera, Maurras e Horia, Pensabene e Pettinato, ma anche “antifascisti” come Panfilo Gentile, Piero Operti, Mario Vinciguerra di orientamento conservatore.

Nel 1970 esce il primo numero de La Torre, rivista mensile diretta da lui, dal piglio polemico, assai incisiva soprattutto in quella parte, Il quartino dell’editore, in cui Volpe ogni trenta giorni proponeva le sue note di costume ad amici e avversari.  L’anno successivo nasce la rivista bimestrale  Intervento, diretta da Fausto Gianfranceschi, nella quale venivano ospitati saggi di vasto respiro. Nello stesso periodo diede vita alla “Fondazione Volpe”, omaggio al suo grande genitore, che in circa quindici anni ha organizzato convegni internazionali di altissimo livello.

 In vent’anni di attività editoriale ha anticipato opere ed autori che l’intellighentzia ufficiale soltanto negli anni successivi avrebbe riscoperto. In un momento, dunque, caratterizzato da un vasto interesse intorno a pensatori di orientamento “antiprogressista” in aree nelle quali  fino a poco tempo fa venivano denigrati aprioristicamente, l’azione culturale di Volpe appare quanto mai preveggente ed intelligente e ne fa uno dei precursori della cosiddetta “cultura di destra” della quale si discusse molto negli anni Settanta.

Volpe aveva la rara dote di saper vedere nel futuro. di precorrere i tempi: lo si sarebbe detto un conservatore illuminato, un reazionario intelligente. Quanti prestarono attenzione alla lezione jüngeriana allorché  contribuì alla conoscenza dello  scrittore tedesco in Italia editando Al muro del tempo ed il saggio di Evola L’ Operaio nel pensiero di Ernst Jünger? E che coraggio ci volle per rendere noto l’evoliano Gli uomini e le rovine! Nel trionfo del progressismo antifascista non fu forse un provocatorio atto d’accusa proporre Democrazie mafiose di Panfilo Gentile? Agli inizi degli anni Settanta pochi in Italia sapevano di Drieu La Rochelle: Volpe, molto opportunamente, pubblicò una silloge dei suoi scritti politici raccolti sotto l’attraente titolo di Socialismo, fascismo, Europa,un libro che per anni è stato il nutrimento della giovane Destra.

Accanto a Brasillach e Bonnard, Halèvy e De Corte, Poilet e Rougier, Haupt e Freund, Volpe ha fatto conoscere anche autori italiani alle prime prove come Adriano Romualdi che per Volpe ideò e diresse la splendida “Collezione Europa”, brevi testi della Destra culturale europea.

 Da molti atteggiamenti di Volpe emergeva una profonda sofferenza, forse una nostalgia nel constatare che gli eredi di una grande tradizione storica e civile erano diventati sordi al richiamo delle origini. In riferimento a questa constatazionemi tornano alla mente le parole che Volpe con struggente passione pronunciò il 17 maggio 1983 al teatro “Adriano” di Roma aprendo le celebrazioni del Centenario mussoliniano. Richiamando l’attenzione del pubblico, che per più di un’ora era rimasto letteralmente incantato dal suo discorso, sul mito di Roma inMussolini, Volpe concluse: «Cadde un giorno l’Imperium sine fine e da quindici secoli la storia parla con Roma e le chiede il perché della sua caduta; cadde a suo tempo il fascismo ed il mondo di oggi, inquieto e disorientato, chiede ad esso non l’ovvio perché della sua caduta, ma il perché della sua vita.

«Fu forse un ritorno al mito di Roma, intrapreso dal fascismo e poi interrotto? Fu forse il richiamo all’autorità, all’ordine, alla giustizia, il trinomio fatale della civiltà contemporanea, dominata dalla macchina e dal lavoro?

«Fu forse quel supplemento d‘anima che Mussolini, lettore di Bergson, volle dare all’uomo occidentale, perché meglio volesse fronteggiare il mondo nuovo, mutato e ingrandito?

«È forse altra cosa imprevedibile che germinerà dal vecchio fascismo e ne rianimerà il presente?

«Non lo sappiamo, ma crediamo fermamente che un perché al suo persistere come favola vera e severa, si dovrà pur trovare; e sarà esso il punto di fusione tra il nostro presente ed il nostro passato.

«Allora Mussolini sorriderà al suo popolo che in quella fusione avrà trovato la pace con sé stesso, come disse nel soliloquio sul lago di Garda, un mese prima della sua morte».

In questo passo c’è tutto Giovanni Volpe. La sua fede politica, la sua nostalgia, la sua concezione del mondo e della vita. C’è soprattutto la sua Italia, presente e passata, i valori che egli ha cercato di infondere soprattutto alle nuove generazioni. Considerando e ricordando tutto questo nell’anima si fa strada uno struggimento indicibile, una grande malinconia.

Penso alla sua ultima smorfia di dolore, allo stupore ed al silenzio di tutti noi che ne raccogliemmo l’ultimo respiro, al canto antico levatosi nella Chiesa di San Salvatore in Lauro che accompagnò Volpe nell’estremo viaggio…

                        Il destino del nostro  editore è stato quello di tutti coloro i quali, per dire la verità, diventano nemici oggettivi. Volpe non s’adontava tanto di questo curioso destino nel quale era incappato suo malgrado, lo offendeva profondamente l’incuranza e la negligenza di chi avrebbe dovuto dotare il mondo politico del quale era parte di un progetto complessivo, prima di ordine culturale e poi politico. Nella presentazione che nel 1974 scrisse per il catalogo della sua casa editrice è condensata la sua visione dell’impegno attuale oggi come ieri:  «La lotta difficile che la minoranza di destra è chiamata a condurre richiede coraggio, amore del rischio, entusiasmo, disinteresse; ma, altrettanto se non più, richiede, in chi si impegni nell’azione politica od anche non voglia pigramente estraniarsi dalla vicenda politica, una solida formazione dottrinaria fatta più di idee e convincimenti che di sentimenti e risentimenti, con cui controbattere, senza complessi di inferiorità, le opposte ideologie affermatesi negli ultimi due secoli ed ormai esauste, ed approfondire e definire quell’alternativa di destra che ancor rimane troppo nel vago e male appaga l’attesa in chi in essa confida».

Autore

Giornalista, saggista e poeta. Ha diretto i quotidiani “Secolo d’Italia” e “L’Indipendente”. Ha pubblicato circa trenta volumi e migliaia di articoli. Ha collaborato con oltre settanta testate giornalistiche. Ha fondato e diretto la rivista di cultura politica “Percorsi”. Ha ottenuto diversi premi per la sua attività culturale. Per tre legislature è stato deputato al Parlamento, presidente del Comitato per i diritti umani e per oltre dieci anni ha fatto parte di organizzazioni parlamentari internazionali, tra le quali il Consiglio d’Europa e l’Assemblea parlamentare per l’Unione del Mediterraneo della quale ha presieduto la Commissione cultura. È stato membro del Consiglio d’amministrazione della Rai. Attualmente scrive per giornali, riviste e siti on line.