• 19 Maggio 2024
Editoriale

Parole dimenticate che avrebbero lasciato il segno. Parole che ritornano e commuovono. Parole che mettono fine a tante incomprensioni rilette oggi alla luce di quanto sta accadendo nella Chiesa. Eccole. “L’Africa è la nuova patria di Cristo”, disse Paolo VI approdando nel Continente africano il 29 luglio 1969. E Papa Benedetto XVI l’ha ribadito nel viaggio in quella stessa martoriata terra. Con spirito ed intendo analogo il regnante Pontefice Francesco ha aperto la prima Porta Santa a Bangui, estrema periferia del mondo, capitale della Repubblica Centroafricana. E che sia Nova Patria Christi, ce lo ricordano i presuli africani in prima linea nel difendere il diritto della Chiesa ad esistere, testimoniando, spesso in maniera drammatica, l’evangelizzazione dell’Africa sempre spiritualmente più viva, nonostante povertà, privazioni, persecuzioni la tengano in ostaggio. E quanto sia dinamica la pastorale in quelle terre lo ha sottolineato Papa Bergoglio al quale hanno fatto eco  dodici vescovi e cardinali africani che in un libro collettaneo, Africa (Cantagalli), ci immettono nella vitalità del cattolicesimo africano segnato dalla fedeltà alla dottrina della Chiesa come raramente è dato riscontrare in Europa e nelle Americhe.

Il volume è stato curato, qualche anno fa,  dal cardinale Robert Sarah, già prefetto della Congregazione del Culto Divino, riferimento indiscusso dell’ortodossia e spiritualmente apprezzato anche da chi ha avuto un altro percorso formativo rispetto al suo. Tra “corvi” e “gufi” in Vaticano, è stato detto negli ultimi anni  che volasse sempre più in alto Sarah, le cui riconosciute doti di evangelizzatore lo hanno posto  in posizione eminente nel collegio cardinalizio.  Ora, per volere di Papa Francesco, non “vola” più. Il Pontefice ha infatti accettato la rinuncia all’incarico di prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti presentata dal porporato. Ma non per questo la Chiesa della Tradizione perde un riferimento saldo. Il cardinale Sarah ha ribadito, congro chi ha speculato sulla inesistente contrapposizione con Francesco, la sua lealtà e fedeltà al Papa. E la sua vita continua tra la preghiera e gli studi.

Guineano, Sarah ha compiuto 76 anni il 15 giugno scorso. Ordinato sacerdote il 20 luglio 1969, è stato nominato da Giovanni Paolo II arcivescovo di Conakry nel 1979, all’età di 34 anni. Nominato nel 2001 segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, nel 2010 Benedetto XVI lo eleva a  presidente del Pontificio Consiglio «Cor Unum» e lo crea cardinale della Diaconia di San Giovanni Bosco in via Tuscolana. Il 23 novembre 2014 Papa Francesco lo nomina Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Ha partecipato al conclave del marzo 2013 che ha eletto Papa Francesco.

La sua storia, tutt’altro che banale come potrebbe essere quella di un qualsiasi ecclesiastico che ascende alla porpora secondo un percorso lineare, è narrata da lui stesso in una lunga conversazione sulla fede con lo studioso francese Nicolas Diat. Dio o niente (Cantagalli), è una memoria sulla conquista della fede e la pratica di un cattolicesimo a dir poco eroico da quando Sarah fu nominato arcivescovo di Conakry e cominciò il suo lungo braccio di ferro con il regime comunista del sanguinario Sékou Touré il quale dispose per lui l’arresto e la condanna a morte: entrambe, fortunatamente,  disattese per la scomparsa del tiranno. Un miracolo? Nell’ottica di Sarah senz’altro. Ma anche nella percezione di chi gli era accanto e con lui proseguì la lotta per il riconoscimento dei diritti umani e della salvaguardia della dignità della persona in una regione afflitta dal tribalismo elevato a forma di potere.

Ma anche al neo-colonialismo, all’occidentalizzazione forzata, alla miseria sulla quale prosperavano i nuovi potenti, l’arcivescovo Sarah si è opposto fermamente rischiando la vita, fino a quando non fu creato cardinale da Giovanni Paolo II che  lo chiamò a Roma. È  la liturgia il campo a lui più congeniale nel quale si cimenta con uno spirito davvero “guerriero” per contrastare le derive eterodosse che ne stanno minando le fondamenta. La liturgia, sostiene, “è un momento in cui Dio desidera essere, per amore, in profonda unione con gli uomini…Non bisogna cadere nel trabocchetto che vorrebbe ridurre la liturgia a un semplice luogo di convivialità fraterna…La Messa non è uno spazio in cui gli uomini si ritrovano in un banale spirito di festa”. E perciò la dignità degli abiti e degli arredi liturgici, la bellezza del raccoglimento sottolineato da canti e preghiere fanno parte di una Chiesa che voglia trasmettere l’idea del sacro. Oggi malauguratamente constatiamo l’impoverimento di tutto ciò e la liturgia è diventata uno “spazio profano”.

Il bambino povero del villaggio di Ourous, divenuto principe della Chiesa, dalla vicinanza alle pratiche liturgiche benedettine, inculcatagli dai missionari spiritiani, ha tratto la convinzione che “il silenzio di Dio dovrebbe insegnarci quando si deve parlare e quando è meglio tacere”. Oggi la Chiesa è chiassosa, fa intendere il porporato, e c’è bisogno di recuperare quella dimensione sacrale sulla quale si sono sovrapposte mode che hanno snaturato la stessa liturgia come strumento di comunicazione con Dio.

Sarà per questo che i modernisti che popolano la Chiesa guardano a Sarah come ad un nemico della secolarizzazione. Ma il misticismo e la dottrina del cardinale guineano hanno finora avuto ragione di coloro che con approssimazione si sono confrontati con lui uscendone piuttosto malconci. Se davvero l’Africa diventerà Nova Patria Christi, secondo l’auspicio di alcuni degli ultimi Pontefici, sarà anche merito di presuli ed evangelizzatori come il cardinale Robert Sarah la cui visione del cattolicesimo non si discosta dalla Tradizione che vivifica attraverso un’opera di rimessa a posto delle idee lottando, con tenacia e sempre avendo presente il piano misericordioso di Dio, contro il “fumo di Satana”. E’ un uomo nuovo eppure antico il porporato che ha raggiunto l’Europa dalla Guinea assecondando un disegno più che umano.

“È necessario per tutti noi coltivare il silenzio e circondarlo di una diga interiore. Nella mia preghiera e nella mia vita interiore, ho sempre sperimentato il bisogno di un silenzio più profondo, più completo. Si tratta di quella sobrietà che conduce a non pensare neppure a me stesso, ma a volgere il mio sguardo, il mio essere e la mia anima verso Dio”. Queste parole sono il cuore della riflessione che il cardinale Robert Sarah  affida al suo  libro, La forza del silenzio. Contro la dittatura del rumore (Cantagalli), scritto, come il precedente (Dio o niente), con la stimolante collaborazione di Nicolas Diat e prefato da Benedetto XVI, “maestro dello spirito”, “maestro del silenzio e della preghiera”. Il porporato guineano si conferma anche in questo scritto uno dei più alti spiriti della cristianità contemporanea ed autentico riferimento nella Chiesa cattolica per coloro che non intendono sottomettersi allo “spirito del tempo” immergendosi, appunto, nel rumore che soffoca l’anima.

Non è una semplice accusa quella che il cardinale Sarah muove alla modernità, ma una circostanziata disamina della perdita del senso profondo della religiosità da parte dei fedeli che, forse incolpevolmente, sono incappati nelle mode più avvilenti che connotano la nostra epoca ed hanno finito per contaminare anche la Chiesa. Nella sua profonda e dettagliata analisi (ogni frase necessiterebbe di una sottolineature e di una adeguata esegesi), l’abbandono del silenzio è rappresentato come un ostacolo all’accoglimento di Dio attraverso la preghiera e l’origine dello  smarrimento della sacralità perfino tra coloro che dovrebbero condurre i cristiani verso una più alta considerazione della pratica religiosa finalizzata al ritrovamento di se stessi e, naturalmente, dell’Eternità. La tecnica, il consumismo, l’eudemonismo, l’ossessione dell’esteriorità, l’invadenza del dubbio, lo scetticismo e l’indifferentismo hanno minato gli spazi del silenzio. La follia del rumore, perfino nei templi dove lo spirito dovrebbe trovare ristoro, ha annullato quasi del tutto la possibilità dell’uomo di connettersi con il divino. Da qui la dimensione angosciante che l’umanità vive insidiata da innumerevoli incertezze che neppure nella Chiesa trovano risposte adeguate. L’abbandono del silenzio ha respinto la preghiera e dunque la conoscenza della verità, della bellezza e dell’amore.“Possiamo cercare Dio solo nei chiostri”, sostiene il cardinale Sarah. O, ci permettiamo di aggiungere, nelle nostre anime se siamo capaci di sottrarle ai condizionamenti che gli assordanti rumori provocano impedendo la possibilità di elevarci oltre le umane miserie, i desideri impossibili da soddisfare, le lusinghe del materialismo pratico, le giustificazioni del relativismo morale. “La vita monastica, la vita degli uomini di solitudine e di silenzio è un’ascensione verso le altezze e non un riposo sulle altezze. I monaci salgono ogni giorno più in alto perché Dio è sempre più grande. Su questa terra non potremo mai raggiungere Dio. Ma niente potrà accompagnare meglio il nostro viaggio terreno verso Dio della solitudine e del silenzio”, osserva il porporato che della vita monastica ha fatto il riferimento costante della sua esistenza ed in particolare dell’insegnamento benedettino filtrato dalla pratica cenobitica dei certosini la cui spiritualità, come scriveva Nathalie Nabert ne La Grande Chartreuse, au-delá du silence, “nasce dall’incontro di un’anima e di un luogo, dalla coincidenza tra un desiderio di vita ritirata in Dio e un paesaggio”. La “Cartusie solitudine”, insomma, come i testi antichi descrivevano la bellezza “naturale” dell’isolamento e che convinse, alla fine della sua carriera di letterato “decadente” e tuttavia non ‘rivo di fascino, Joris-Karl Huysmans, a farsi oblato, raccontando la sua esperienza di silenzioso frequentatore di monasteri nell’omonimo romanzo ora edito in Italia da D’Ettoris.

Il cardinale, affascinato dal mondo dei solitari di Dio, non manca di scorgere nel canto gregoriano una profondità ed una pietà dolce che esalta appunto il silenzio, quel canto che oggi manca nelle chiese disadorne simili a supermercati o a stazioni ferroviarie in omaggio ad una sorta di agorà nella quale tutto è permesso tranne il raccoglimento. “Le potenze mondane che cercano di plasmare l’uomo moderno rifuggono sistematicamente il silenzio. Non ho timore di affermare che i falsi sacerdoti della modernità, che dichiarano una specie di guerra al silenzio, hanno perduto la battaglia. Poiché possiamo restare silenziosi in mezzo alla più grande confusione, all’agitazione più abietta, in mezzo al chiasso e allo stridore di queste macchine infernali che spingono al funzionalismo, all’attivismo e che ci allontanano da ogni dimensione trascendente e da ogni forma di vita interiore”. Ma come? Soltanto convincendoci che “il silenzio non è un’assenza”, ma piuttosto  “la manifestazione di una presenza, più intensa si qualsiasi altra presenza”. E che soltanto nel silenzio si possono porre, con la speranza di riuscire ad ottenere soddisfacenti  risposte, le vere domande della vita. Scriveva Thomas Merton che il silenzio “è necessario per denunciare e riparare la distruzione e i danni provocati dal ‘peccato’ del rumore”. E tanto più nella Chiesa stessa, tra i cattolici che recitano l’ufficio divino “senza raccoglimento, senza entusiasmo né fervore, oppure in maniera irregolare e sporadica”, scrive il cardinale Sarah, con il tragico risultato di rendere tiepido il cuore e banale il rapporto con Dio.

Soltanto quando avremo acquisito il silenzio interiore, ammonisce il porporato, “potremo portarlo con noi nel mondo e pregare dovunque”. Insomma, “la vita del silenzio deve saper precedere la vita attiva”.  Oltretutto “il rumore non è mai sereno e non conduce mai alla comprensione dell’altro”. Ma i questo mondo, permeato di tecnologia, rumoroso per definizione, distratto e caotico al di là della nostra stessa consapevolezza, come si fa a trovare il silenzio? “L’umanità – spiega il cardinale Sarah – deve entrare in una forma di resistenza”. E la Chiesa deve condurre questo processo di razione alla modernità se vuole che che l’umanità di riappropri di Dio e lo riconosca. Duramente poi ammette: “Non mi stancherò mai di denunciare coloro che sono infedeli alle promesse della loro ordinazione. Non smettono mai di parlare poter far conoscere o per imporre la loro visione personale, tanto sul piano teologico che su quello personale… Non credo di poter affermare che siano abitati da Dio… continuano a parlare e ai media piace ascoltarli per diffondere le loro stupidaggini se si dichiarano a favore delle nuove ideologie post-umane, nel campo della sessualità, della famiglia, del matrimonio”.

Parole che non ammettono vane discussioni. La forza del silenzio per affrontare le aberrazioni della modernità. E’ questo il messaggio della lunga meditazione del cardinale Sarah che si conclude con l’ intenso colloquio con dom Dymas de Lassu, priore della Grande Chartreuse e ministro generale dei certosini, dal quale emerge il senso della vita monastica nel tempo del rumore,  vissuta con tenacia, sostenuta da una spiritualità purissima che sola può aprire al ritrovamento del sacro smarrito tra i rumori e le menzogne che ci assediano.

Già, il sacro. Quanto poco si riflette su di esso. La sua nozione, osserva il cardinale Sarah, “è particolarmente bistrattata in Occidente. In questi paesi che si dicono laici, affrancati dalla religione e da Dio, non ci sono più legami con il sacro. Una certa mentalità secolarizzata tenta di liberarsene.  Vi sono teologi che affermano che Cristo avrebbe messo fine, con l’Incarnazione, alla distinzione tra sacro e profano…  Così alcuni, nella Chiesa, non giungono mai a distaccarsi da una pastorale tutta orizzontale, centrata sul sociale e la politica”. Una tragica verità, purtroppo. La Cristianità s’indebolisce anche per questa via, complice un pensiero debole ed ingannatore. Ce lo ricordava Benedetto XVI nella sua omelia del Corpus Domini nel giugno 2012 affermando solennemente che  Cristo “non ha abolito il sacro, ma lo ha portato a compimento, inaugurando un nuovo culto, che è sì pienamente spirituale, ma che tuttavia, finché siamo in cammino nel tempo, si serve ancora di segni e di riti”.

Il sacro, la liturgia, la preghiera… Tutto nasce nel silenzio. Tutto nel rumore muore. Il cardinale Robert Sarah sta compiendo un pellegrinaggio sulla via della Verità. La sua testimonianza è un mirabile segno di sapienza che ci  conforta e ci aiuta. La forza del silenzio è una lunga meditazione che nasce in un monastero, dall’incontro con la sofferenza di un giovane monaco  particolarmente caro al porporato. Nelle sue piaghe corporali il cardinale ha visto la luce dell’Eternità promanare dagli occhi che si stavano per chiudere. Una luce accesasi nel silenzio e dal silenzio tenuta viva. Come ogni monaco sa bene. Come tutti i credenti dovrebbero riconoscere.

Autore

Giornalista, saggista e poeta. Ha diretto i quotidiani “Secolo d’Italia” e “L’Indipendente”. Ha pubblicato circa trenta volumi e migliaia di articoli. Ha collaborato con oltre settanta testate giornalistiche. Ha fondato e diretto la rivista di cultura politica “Percorsi”. Ha ottenuto diversi premi per la sua attività culturale. Per tre legislature è stato deputato al Parlamento, presidente del Comitato per i diritti umani e per oltre dieci anni ha fatto parte di organizzazioni parlamentari internazionali, tra le quali il Consiglio d’Europa e l’Assemblea parlamentare per l’Unione del Mediterraneo della quale ha presieduto la Commissione cultura. È stato membro del Consiglio d’amministrazione della Rai. Attualmente scrive per giornali, riviste e siti on line.