• 27 Luglio 2024
Cultura

La biblioteca di Baruch Spinoza era composta da appena 161 libri. La biblioteca di mio nonno Michele Melenzio, educatore e uomo politico, al quale ora nel cuore del centro storico di Sant’Agata dei Goti è dedicata la “Biblioteca M. Melenzio” con oltre ventimila testi, ne aveva ancor meno ma con una particolarità: nessun manuale, solo opere di autori tra greci, latini, qualche francese e, naturalmente, letteratura italiana. Fu in questa essenziale libreria, negli anni del liceo, che scovai il volumetto di Benedetto Croce Aesthetica in nuce, nella terza edizione Laterza del 1954. I libri non hanno la forza di cambiare il mondo ma hanno la capacità di cambiare il modo in cui vediamo il mondo e in questo senso, sì, hanno la forza di cambiarci la vita. Quel libro benedetto e maledetto mi cambiò la vita e così mi inguai definitivamente con la filosofia. Capii, infatti, che l’esercizio filosofico non ha nulla o quasi nulla a che fare con la scuola e l’accademia e riguarda la vita di ognuno di noi perché ognuno di noi, lo voglia o no, è chiamato a pensare per vivere liberamente. Sono verissime le ultime parole di Socrate a Critone: “Ricordati o Critone – cito a memoria – che siamo debitori di un gallo ad Asclepio” ossia ricordati che non possiamo fare altro che schiarire il nostro giudizio nel tentativo di agire bene. Ora, tutta l’opera di Croce è un lavoro incessante che mira a esercitare al meglio la facoltà di giudizio per fortificare la volontà affinché, quando la fortuna del tempo invertirà la rotta o inizierà a imbizzarrirsi come un cavallo indemoniato, noi si possa essere in grado, stringendo i denti, di tenerle testa sia nei doveri della nostra singola vita sia nei doveri del mondo civile. Guardate la vita di Croce, mettete da parte interpretazioni politiche, anacronistiche e stanche, e chiedetevi: cosa fece nella sua drammatica esistenza se non tener testa con un’eterna via docendi et agendi, ossia con la messa a tema della libertà, alle avversità della Fortuna?

C’è tutto ciò in quelle cinquantotto pagine dell’Aesthetica in nuce? Mi verrebbe da dire che c’è molto di più. Perché in quel libro, che il filosofo scrisse nel 1928 per l’Encyclopaedia Britannica, si ricapitola ancora una volta la sua Estetica e si giunge a definire l’arte “intuizione irriflessa dell’essere” distinguendola dalla filosofia che è il “pensamento logico delle categorie universali dell’essere”. Per me che, giovinetto, leggevo queste cose, l’Aesthetica in nuce fu non un fulmine a ciel sereno ma, al contrario, un raggio di sole che si apriva la strada tra le nubi di un cielo imbrogliato dandomi la possibilità di iniziare a vedere il mondo con occhi nuovi. L’Aesthetica fu la porta dalla quale entrai nella Casa di Croce iniziando così a procurarmi gli altri suoi testi che al tempo del liceo, negli anni Ottanta, non erano certo di facile reperibilità. Quando, infatti, passai dal liceo a Porta di Massa, alla facoltà di filosofia della Federico II, mi dovetti rendere conto che lì ancora imperava un anacronistico marxismo e l’opera di Croce veniva snobbata. Il tempo, che a volte davvero è galantuomo, ha dato a Croce ciò che è di Croce e ai marxisti ciò che è dei marxisti, così oggi le opere di Croce – a quasi settant’anni dalla morte del filosofo – hanno ripreso a circolare nella cultura italiana, mentre nel giro internazionale non hanno mai smesso di far sentire il loro valore.Ma iniziarmi al pensiero di Croce per via estetica fu per me salutare perché, se mi è concesso paragonar le cose minime con le massime, ripetetti in me quanto Croce fece in sé. La particolarità del pensiero di Croce, infatti, è pari a quella di Nietzsche: sono i soli due grandi filosofi che iniziano a muoversi nel pensiero non partendo dalla Logica bensì dall’Estetica. Tutti gli altri iniziano dalla Logica e non sanno poi come guadagnare terra, mentre Croce fa l’inverso: inizia dalla terra per poi salire in cielo ossia all’attività distinguente del pensiero. Si tratta di un vero e proprio toccasana perché Croce non si berrà mai il cervello – come invece faranno tanti, da Gentile ai marxisti, appunto, a Heidegger e tanti epigoni – credendo di risolvere il mondo, la storia, la vita nel pensiero mentre vedrà nel pensiero la capacità della stessa storia umana di ri-conoscere le opere fatte e sofferte dagli uomini tra gioie e dolori. “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia” dice Shakespeare nell’Amleto e Croce lo sa molto bene. Ecco perché ciò che si esalta nella vita e nella filosofia di Croce è la libertà morale e politica degli uomini: perché il suo pensiero, che passa alla storia come “storicismo assoluto” – ma le etichette lasciano il tempo che trovano – funziona come un salvavita o come una valvola di sicurezza che disinnesca fin dal principio il tremendo dispositivo totalitario che, ahimè, è insito nel pensiero e nella politica dell’età moderna.

Autore

Saggista e centrocampista, scrive per il Corriere della Sera, il Giornale e La Ragione. Studioso del pensiero di Benedetto Croce e creatore della filosofia del calcio.