• 27 Luglio 2024
Cultura

Che cosa accadeva a Solopaca e nella Valle Telesina nel XIX secolo, in quell’Ottocento che avrebbe cambiato il volto dell’Italia e dell’Europa? La domanda può sembrare oziosa. Ma fino ad un certo punto. La storia dei piccoli centri risulta sempre più spesso decisiva per la comprensione dei mutamenti epocali che interessano più vaste ed articolate comunità. E’ pressoché unanime il riconoscimento attribuito alle “storie minori”, ma non per questo meno importanti, nel ricostruire quella che viene ritenuta la “grande storia”. Sicché il lascito di memorie, per quanto concernenti vicende all’apparenza poco significative, si rivela importante almeno quanto la ricostruzione degli eventi politici, militari, diplomatici, civili, religiosi che comunque hanno influito sulle vicende dei popoli organizzati in modesti o enormi aggregati. Dunque, sapere che cosa accadeva in un borgo rurale nel secolo delle insorgenze e delle rivoluzioni nazionali è altrettanto importante della conoscenza degli esiti della disfatta napoleonica, del Congresso di Vienna, della Restaurazione o del processo di unificazione dell’Italia e della Germania, della fine delle monarchie assolute, dell’avvento dei regimi liberali con tutte le contraddizioni che si sono portate dietro.

E’ per questo motivo che le memorie dei notai Romanelli di Solopaca costituiscono un contributo tutt’altro che marginale alla comprensione dello sviluppo di un centro del Sannio la cui storia è per molti versi lo specchio di quanto accadeva nello stesso torno di tempo, un secolo appunto, altrove,  ed aiuta a definire la formazione del  Mezzogiorno che usciva, sia pure lentamente, da un’éra per fare ingresso in un’altra segnata, come sempre, da eventi che, per quanto i tempi, le mode, ed i costumi cambino, sono al fondo sempre gli stessi nella loro essenza più profonda per il semplice fatto che l’animo umano non muta a seconda dei dettami dei potenti o dei capricci della storia.

Leggendo queste memorie ci troviamo proiettati così in una dimensione che ci è familiare in un certo senso, ma anche molto diversa per ciò che concerne il “sentire” dei solopachesi di allora il cui carattere è tratteggiato nei diari dei quattro notati che li tennero puntigliosamente dal 1805 al 1899. In essi vi si può rispecchiare chiunque con la guida dell’infaticabile Cosimo Formichella a cui dobbiamo il reperimento, la trascrizione e la cura di questo interessantissimo documento che c’invoglia a riconoscere le radici di un “mondo piccolo e antico”, ancorato ad una visione delle relazioni umane che dovrebbe essere ancora oggi, almeno per chi scrive, un valore primario nel tentativo di salvaguardare la comunità d’appartenenza.

Come e quando Formichella, con la consueta passione e l’operosa intelligenza che gli si riconosce, ha messo le mani su questo documento, lo lascio dire a lui nella premessa al volume. A me non resta che aggiungere come su quest’opera si allunghi l’ombra generosa, gentile e colta di don Alfredo Romano, che utilizzò questo materiale per ricostruire parte della sua splendida storia di Solopaca. Senza il memoriale dei Romanelli quel volume del 1977 certamente non avrebbe potuto essere scritto. Adesso Formichella riporta alla luce le fonti, e gliene siamo grati. Con la competenza dello studioso che non trascura neppure il più piccolo particolare nel renderlo accessibile, a cominciare dalla numerazione dei paragrafi o delle pagine, avverte anche che non tutto è stato pubblicato dal momento che alcune parti, riferite alla prima metà del secolo precedente, purtroppo non è stato possibile reperirle. Ed è un peccato poiché quello è un periodo ricco di eventi e popolato di ingegni e personalità che costituirono la “trama” della storia solopachese, tutt’altro che banale, capaci di influenzare i paesi circostanti e spingersi con la loro fama ben oltre i confini del Sannio.

Comunque, i quattro notai Romanelli, per fortuna non tralasciavano nulla nelle loro annotazioni pressoché quotidiane. Grazie a loro veniamo a sapere che Solopaca ebbe le attenzioni di Giuseppe Bonaparte, fratello dell’Imperatore, di Gioacchino Murat, re di Napoli e cognato dello stesso, di Ferdinando II di Borbone, padre dell’ultimo re delle Due Sicilie Francesco II, e sposo di Maria Cristina di Savoia alla quale volle intitolare il ponte che finalmente congiungeva le due sponde del Calore. Ma ci mettono a parte anche dell’eccidio di Pontelandolfo e Casalduni, della furia omicida delle truppe piemontesi, del brigantaggio che si accanì contro gli invasori e delle prime elezioni “libere”, come il plebiscito che a Solopaca fece registrare più voti degli abitanti, il che la dice lunga sulla controversa questione dell’adesione alle istanze risorgimentali di intere popolazioni, ma questa è un’altra storia…

C’è una pagina che non concerne la vita solopachese, ma che va segnalata a testimonianza dell’attenzione dei memorialisti capaci di annotare fatti comuni ed in apparenza irrilevanti insieme con episodi di grande impatto: l’assedio di Gaeta del novembre 1860, dove l’ultima “Regina del Sud”, Maria Sofia di Baviera, la “piccola Aquila bavara” come la chiamava D’Annunzio,  guidò la resistenza di un regno che stava morendo.

Ecco, la piccola storia che s’intreccia con la grande storia. Tra i Borbone e i Savoia, quattro notai solopachesi, in un’epoca cruciale, osservando il trascorrere del tempo intorno a loro, mettevano insieme le tessere di un mosaico che oggi possiamo riconoscere come l’identità, seppur parziale, di genti che la loro storia nel corso delle generazioni l’hanno fatta all’ombra del Taburno e sulle rive di un fiume attraversato da condottieri ed umili contadini.

Autore

Giornalista, saggista e poeta. Ha diretto i quotidiani “Secolo d’Italia” e “L’Indipendente”. Ha pubblicato circa trenta volumi e migliaia di articoli. Ha collaborato con oltre settanta testate giornalistiche. Ha fondato e diretto la rivista di cultura politica “Percorsi”. Ha ottenuto diversi premi per la sua attività culturale. Per tre legislature è stato deputato al Parlamento, presidente del Comitato per i diritti umani e per oltre dieci anni ha fatto parte di organizzazioni parlamentari internazionali, tra le quali il Consiglio d’Europa e l’Assemblea parlamentare per l’Unione del Mediterraneo della quale ha presieduto la Commissione cultura. È stato membro del Consiglio d’amministrazione della Rai. Attualmente scrive per giornali, riviste e siti on line.