• 27 Luglio 2024

Il proclama di Rimini di Gioacchino Murat esprime per la prima volta il valore dell’indipendenza nazionale italiana e la volontà di un sovrano di perseguirla. Certo, per Gioacchino Napoleone è l’estremo tentativo, disperato tentativo, di salvare il “suo” Regno napoletano dopo la disfatta di Tolentino emettendo il Proclama il 12 maggio 1815 con la data del 30 marzo. Un espediente. Tuttavia, il proclama di Rimini, sopravvalutato o meno che sia stato, resta una tappa del Risorgimento perché dà  voce a un sentimento nazionale nato a cavallo tra Settecento e Ottocento ed ebbe una gran fortuna letteraria. Al proclama riminese corrisponde l’Inno italico di Andrea Mazzarella che canta: “Odi, Italia, il rimbombo dell’armi/ Odi, il suono dei bellici carmi/ Che alla gloria risorger ti fa”. Versi semplici che si portan dentro un sentimento di nascita e libertà: “Ite, o prodi, alla pugna, al cimento/ Non vi arresti l’aspetto di morte/ Della vita decide la sorte/ Per la patria trionfa chi muor”. L’Inno, che fu composto proprio nel mentre Gioacchino perdeva il Regno e issava la bandiera dell’Italia – “Italiani! L’ora è venuta che debbono compiersi gli alti vostri destini” – è considerata l’opera meglio riuscita del letterato di Cerreto (Sannita), senz’altro la sua più importante.

Benedetto Croce scrisse su Andrea Mazzarella, che fu erudito e poeta, giacobino e carbonaro, una nota sui Quaderni della “Critica” dal titolo: Satire di cattivi poeti dei vecchi tempi (nota che poi fu inserita nel terzo volume degli Aneddoti di varia letteratura). Il giudizio di Croce è esplicito fin dal titolo, anche se riguarda soprattutto la rassegna Stanze contro i poeti contemporanei napoletani e tralascia quei versi delle poesie sciolte – siano così chiamate – dove qualcosa di buono pur si trova. Ma se qui si fa riferimento alla nota critica di Croce è perché, citando la “stanza” in cui Mazzarella sfotte Gabriele Rossetti, il filosofo dice di quest’ultimo: “La rivoluzione del 1820 non era ancora sopravvenuta a innalzarlo a poeta della libertà e ad esule per la causa di libertà”. E’ questa cosa curiosa giacché le parole di Croce riferite a Rossetti possono essere ripetute anche per Mazzarella che non solo, dopo la Rivoluzione francese, è cospiratore a Napoli ed è imprigionato per diciotto mesi nelle fosse di Sant’Elmo, ma nel 1799 è giacobino tra giacobini, quindi è esule in Francia, poi ritorna in Italia tra Torino, Milano, Bologna, Firenze e discute ora con Vincenzo Cuoco e ora col Monti e col Foscolo, per poi far ritorno a Napoli e a Cerreto entrando a far parte prima delle file murattiane e poi, finito Murat a Pizzo Calabro, della Carboneria. La sua vena poetica segue la sua passione rivoluzionaria e civile, così all’Inno italico si associano l’Inno patriottico, l’Inno teutonico – dove incita i napoletani sentiti come italiani a resistere: “Cittadini, snudiamo le spade” – e l’ode per il generale Guglielmo Pepe che di fatto sollevando l’esercito dà il là alla rivoluzione napoletana del 1820/21 da cui nasce la monarchia costituzionale tradita dallo spergiuro Ferdinando I. E se è vero che il giacobino e letterato di Cerreto scrive anche ora per adulare e ora per denigrare Napoleone, macchiandosi di “servo encomio e di codardo oltraggio”, e adula lo stesso sovrano borbonico, pur non bisogna esagerare nel considerare furberie e cedimenti, sia perché sconta sulla pelle carcerata la sua fede liberale, sia perché il quinquennio tra il 1815 e il 1820 è tutto caratterizzato dall’ambiguità in cui il governo di Luigi de’ Medici, praticando la cosiddetta “amalgama” con i murattiani, lascia intendere che sì, tutto sommato la rivoluzione si può fare. E di questa rivoluzione Andrea Mazzarella è il poeta.

Sulla figura di Andrea Mazzarella c’è stata ultimamente attenzione. Ha iniziato Paola Intorcia con il saggio Io correndo a briglia sciolta sulla Rivista Storica del Sannio (2000), ha proseguito Jonathan Esposito con Il Cigno Infelice e la sua Musa per l’Annuario 2018 dell’Associazione Storica Valle Telesina e, infine, Antonello Santagata, che non poche cose ha fatto e fa per Cerreto e la terra sannita, ha pubblicato il libro Andrea Mazzarella da Cerreto (fioridizucca, 2020). Dagli studi non emerge la figura di un letterato di provincia che aspira al gran mondo bensì di un borghese che vive le passioni politiche del tempo e le intreccia alla sua vasta cultura facendone occasione di letteratura civile. L’esperienza di Mazzarella va senz’altro ricondotta alla cultura illuministica della Napoli di Filangieri e alla fede laica di Giannone che lo conducono, attraverso gli eventi repubblicani ed europei, a farsi cantore della libertà politica e a diventare un riferimento delle generazioni più giovani e di quelle posteriori. Il percorso di Andrea Mazzarella, politico e letterario, non è granché diverso da quello di Giuseppe Desiderio di Sant’Agata dei Goti: in entrambi i casi vi è l’educazione napoletana, la stagione napoleonica e murattiana, la rivoluzione del 1820 in cui Mazzarella è poeta e Desiderio è deputato. Persino dopo la fine della rivoluzione e la chiusura del Parlamento il loro destino è unico: Desiderio è agli arresti domiciliari e fa scuola ai giovani facendo di Sant’Agata una “piccola Atene”, Mazzarella è nella sua Cerreto e apre una scuola di filosofia ed eloquenza latina e italiana. Anche questo è un carattere essenziale della rivoluzione nazionale italiana: il pensiero educativo come nutrimento dell’azione civile. La “provincia napoletana” era più mossa e inquieta di quanto non si immagini.

Autore

Saggista e centrocampista, scrive per il Corriere della Sera, il Giornale e La Ragione. Studioso del pensiero di Benedetto Croce e creatore della filosofia del calcio.