Senza la necessità per la sua famiglia di emigrare, la stessa che costrinse decine di migliaia di italiani a farlo agli inizi del ‘900, avrebbe potuto essere un calciatore italiano. Invece nacque in Argentina, all’epoca una delle destinazioni preferite degli emigranti giunti soprattutto dall’Italia. Sua madre era argentina di origini francesi, ma suo padre era nato a Capri da una famiglia siciliana di Nicolosi e il suo trisavolo era stato un generale di Garibaldi. Nonostante la carriera sportiva che lo portò altrove, mantenne il legame con l’Isola Azzurra dove si recava per far visita ai parenti lì rimasti; ma la sua storia calcistica fu ovviamente un’altra.
Alfredo Di Stefano (Buenos Aires, 04/07/1926 – Madrid, 07-07-2014). Soprannominato la saeta rubia – la freccia bionda- è unanimemente ritenuto tra i più grandi calciatori di tutti i tempi e occupa la 4ª posizione nella classifica dei migliori giocatori del XX secolo stilata dall’IFFHS. Nel suo palmares di calciatore figurano 2 Campionati Argentini, 3 Campionati Colombiani, una Coppa di Colombia, 8 Campionati Spagnoli, una Coppa di Spagna, 2 Coppe latine, una Coppa Intercontinentale e 5 Coppe dei Campioni nella quale detiene ancora il record per aver segnato in 5 finali consecutive. Vincitore nel 1957 e 1959 del Pallone d’Oro e dell’unica edizione del Super Pallone d’Oro nel 1989. In 707 incontri ufficiali tra club e nazionale realizzò 516 reti. E’ stato un calciatore tra i più geniali nella storia del calcio; all’inizio della carriera venne schierato come ala destra, ma poi s’impose nel suo ruolo naturale di centravanti. Era potente nel tiro, rapido nel movimento e veloce nella corsa, dinamico nello svariare lungo il fronte d’attacco dove finalizzava l’azione o serviva assist vincenti ai compagni; soprattutto era dotato di una grande personalità. Tatticamente era completo, capace di giocare in ogni zona del campo e quando fu necessario giocò anche da mediano incontrista e persino da terzino; cambiò soprattutto il calcio del Real Madrid e di conseguenza quello spagnolo, diventando un antesignano di quello che fu poi definito il “calcio totale”.
Come tanti suoi coetanei, Di Stefano iniziò giocando a calcio in strada, negli oratori e nelle squadre di quartiere; a 15 anni superò il provino ed entrò nella rosa della seconda squadra del River Plate, squadra per la quale tifava, per approdare l’anno successivo in prima squadra dove affiancò i grandi calciatori che fecero grande il River degli anni 40. Lo notò il presidente dell’Huracán che lo chiese in prestito al River Plate dove non trovava ancora spazio e il club lo mandò in prestito per una stagione a una formazione di prima divisione. Di Stefano passò in prestito per un anno all’Huracan, allenato dall’ex attaccante argentino Guillermo Stabile che in quel periodo era anche l’allenatore della nazionale argentina. I primi due gol della sua carriera furono messi a segno nel match vinto per 3-1 contro l’Estudiantes; contro la sua squadra, il River Plate, mise a segno il gol più veloce della storia del campionato argentino dopo una decina di secondi di gioco. Realizzòanche una rete di pugno contro il Ferro Carril Oeste, anticipando così di quarant’anni la celebre «mano de Dios» di un suo celeberrimo connazionale. Ritornato al River Plate, Di Stefano venneimpiegato con maggiore regolarità contribuendo alla vittoria nel campionato argentino di cui diventò capocannoniere con 27 reti. L’allenatore Peucelle lo schierò nel ruolo di esterno offensivo, posizione in cui Di Stefano faticava a giocare; nella sfida contro l’Atlanta di Pedernera, Peucelle decise di metterlo come centravanti e il River vinse 6-1. Di Stefano s’impose come centravanti del River e i suoi compagni si adattano al suo gioco; in questo periodo ottiene il soprannome la Saeta Rubia datogli dal giornalista Roberto Neuberger.
Dopo la tragedia di Superga si giocò un’amichevole tra River Plate e Torino: Di Stefano vennepromesso ai Granata; tuttavia il calciatore argentino si era già accordato coi colombiani del Millonarios di Bogotà, squadra per la quale firmò nel 1949. Ottenendo uno stipendio nettamente superiore rispetto a quello percepito al River Plate, l’argentino firmò il periodo chiamato El Dorado, vincendo immediatamente il campionato nazionale 1950 e ripetendosi nel 1951 e nel 1953. Divenne capocannoniere con 31 e 20 reti nelle annate in cui vinse il campionato colombiano. Nel 1953 si trasferì in Spagna. Nel 1952 Santiago Bernabeu, presidente del Real Madrid chiese Di Stefano al Millonarios, squadra che giocava in un campionato che però non eraaffiliato alla FIFA; contemporaneamente il Barcellona acquistò Di Stefano per l’equivalente di 150 milioni di lire italiane dal River Plate, ultima squadra ad averne detenuto il cartellino sotto l’egida della FIFA. Nacque una disputa tra le due rivali spagnole per il suo acquisto. Nel 1953 la Federcalcio colombiana decise di affiliarsi alla FIFA: molti trasferimenti diventarono irregolari, tra cui quello di Di Stefano dal River ai Millonarios. L’argentino si trovò improvvisamente senza squadra. La FIFA si espresse favorevolmente nei confronti del Barcellona, accettando il trasferimento del calciatore ai blaugrana, tuttavia la Federcalcio spagnola bloccò il trasferimento. La FIFA nominò come mediatore Armando Muñoz Calero, presidente della Federcalcio spagnola: Calero decise di fargli giocare con il Real Madrid le stagioni 1953-1954 e 1955-1956 e con il Barcellona le annate 1954-1955 e 1956-1957. L’accordo venne approvato dalla Federcalcio e dai rispettivi club. Nonostante i catalani si fossero schierati favorevolmente, la decisione creò diversi malumori tra i soci dei blaugrana e il presidente del club fu costretto alle dimissioni. Poco dopo il Barcellona cedette i suoi diritti sul calciatore al Real Madrid e Di Stefano si trasferì ai Blancos firmando un quadriennale. Il Real pagò 5,5 milioni di pesetas spagnole per il trasferimento, più 1,3 milioni di bonus per l’acquisto, una quota annuale da versare ai Millonarios, 16.000 pesetas di stipendio al calciatore con un bonus raddoppiato rispetto ai suoi compagni di squadra, per una cifra totale che rappresentava il 40% delle entrate annuali della società madrilena!
Prima del suo arrivo il Real Madrid non era lo squadrone che oggi conosciamo. Aveva vinto solo due campionati, l’ultimo dei quali vent’anni prima, mentre il Barcellona e l’Atletico Madrid ne avevano già vinti rispettivamente sei e quattro. Di Stefano debuttò con la maglia bianca nel mese di ottobre nel clasico col Barcellona vinto dal Real per 5-0 con una sua tripletta. Alla prima stagione con il Real Madrid Di Stefano divenne il capocannoniere della Liga con 27 reti in 28 presenze, contribuendo in maniera notevole alla vittoria finale. L’anno successivo il club vinse un altro campionato e la Coppa Latina, primo trofeo internazionale della sua storia, battendo lo Stade Reims in finale 2-0; Di Stefano realizzò 25 reti finendo secondo tra i marcatori del campionato spagnolo. Il secondo titolo spagnolo consecutivo permise al Real Madrid di essere il primo rappresentante della Spagna nella Coppa dei Campioni alla sua prima edizione nella stagione 1955-1956. In campionato fu nuovamente il miglior marcatore con 24 reti, nonostante ciò l’Atletic Bilbao vinse il torneo davanti a Barça e Real. In Coppa Campioni la squadra arrivò alla finale di Parigi contro lo Stade de Reims di Raymond Kopa: il Real Madrid vinse per 4-3 la prima edizione della Coppa dei Campioni e Di Stefano segnò la rete del parziale 2-1.
Nell’ottobre del 1956 Di Stefano divenne cittadino spagnolo. L’attacco dei Blancos era uno dei migliori della storia schierando Di Stefano, Rial, Gento e Kopa. il Real rivinse il campionato e Di Stefano si confermò il miglior cannoniere della Liga con 31 reti. Il Real partecipò alla Coppa dei Campioni 1956-1957 e batté in finale per 2-0 la Fiorentina: Di Stefano segnò su calcio di rigore. Nel corso della stagione il Real si affermò anche nell’ultima edizione della Coppa Latina, superando in finale il Benfica 1-0 con un gol decisivo di Di Stefano che a fine anno vinse il Pallone d’oro del 1957. C’è un dato statistico significativo: dalla ventitreesima giornata del campionato 1956-1957 il Real Madrid iniziò una striscia di risultati utili consecutivi casalinghi che terminò solo nel 1966, al venticinquesimo turno di Liga, dopo ben 121 incontri! Nella stagione successiva, il Real Madrid si rafforzò ulteriormente con l’arrivo di José Santamaria in difesa. Di Stefano segnò 19 reti e vinse la Liga da capocannoniere, ottenendo la terza Coppa Campioni consecutiva battendo in finale il Milan per 3-2. Il centravanti argentino segnò una delle reti e divenne capocannoniere della Coppa Campioni con 10 gol. Nel 1958 Ferenc Puskas firmò con il Real Madrid e i blancos poterono schierare una delle più grandi coppie d’attacco nella storia del calcio. Con 23 reti Di Stefano fu il miglior marcatore in Spagna per la quinta e ultima volta, la quarta consecutiva; dopo aver superato i rivali cittadini dell’Atlético Madrid in semifinale, il Real Madrid vinse la sua quarta Coppa dei Campioni di fila superando nuovamente lo Stade Reims col punteggio di 2-0 e Di Stefano siglò il gol del raddoppio. A dicembre France Football lo premiò con il secondo Pallone d’oro. Nella stagione 1959-1960 i Blancos vinsero la quinta Coppa dei Campioni consecutiva battendo in finale l’Eintracht Francoforte per 7 a 3. Di Stefano e Puskás segnarono rispettivamente tre e quattro reti in una partita ritenuta tra le più belle finali nella storia. Con i gol in quella partita finale Di Stefano divenne ed è tutt’ora l’unico giocatore ad aver segnato in 5 finali di Coppa dei Campioni. Battendo gli uruguaiani del Peñarol il Real Madrid vinse la sua prima Coppa Intercontinentale e Di Stefano segnò un gol.
Iniziò il periodo oscuro del Real Madrid, quantomeno in campo internazionale perché nel ’61 vinse comunque la Liga. Perse però le Finali di Coppa dei Campioni del 1963 con il Benfica e del 1964 contro l’Inter di Helenio Herrera. Nacquero dissapori tra l’allenatore Munoz e Di Stefano che quell’anno lasciò il Real e nel 1966 definitivamente il calcio giocato. Santiago Bernabeu, nonostante i pregressi dissidi, decise di fargli disputare la partita d’addio al calcio contro il Celtic a Madrid nel 1967. Nel 1989 France Football gli assegnò il Super Pallone d’Oro, unica edizione del premio.
Come allenatore non fu altrettanto vincente; si sedette sulla panchine di Elche, Boca Juniors, Valencia, Rayo Vallecano, Castellòn, River Plate, Real Madrid. In ventiquattro anni vinse 5 titoli nazionali (2 Campionati argentini, un Campionato spagnolo, una Supercoppa di Spagna e una Segunda División) e uno internazionale, la Coppa delle Coppe 1979-1980 con il Valencia. Una curiosità: da allenatore vinse il campionato argentino sia con il River Plate che con il Boca Juniors, le acerrime rivali di sempre. Quando nel 1991 smise di allenare entrò a far parte dei quadri dirigenti del Real Madrid; ebbe un suo ufficio dove si recava quasi ogni giorno finché la salute glielo consentì e dal 2000 fu Presidente onorario del club. Porta il suo nome lo stadio nel centro sportivo madrilista di Valdebebas.
A lui che era stato uno dei più grandi, alcuni giornalisti gli porsero la solita domanda: chi fosse stato il più grande di tutti. Tra la sorpresa generale rispose: “Arsenio Erico; non ho mai visto uno più forte di lui. Aveva tutto: tecnica, potenza, velocità e un fiuto del gol davvero incredibile”. Ma chi era questo Arsenio Erico? Se lo chiesero in molti. Semplicemente il miglior giocatore paraguayano di sempre, inserito tra i 50 migliori calciatori del XX secolo, che giocò dal 1933 al 1949 in Paraguay e Argentina con Nacional, Independiente e Huracan segnando 372 gol in carriera. In un calcio spettacolo che oramai elevava a propri idoli quelli che facevano semplicemente un qualcosa in più del normale, era convinzione diffusa che tutto ciò che non si era visto era come se non fosse mai esistito. Don Alfredo volle semplicemente ricordare che il calcio c’era già prima della televisione e che i grandi giocatori erano stati tali anche senza le telecamere, un concetto difficile da comprendere in un mondo prigioniero dei luoghi comuni e delle apparenze.
