• 10 Ottobre 2024
Cultura

Il 15 Gennaio del 1974 ci fu la messa in onda negli Stati Uniti della prima puntata della serie televisiva “Happy Days”. Per celebrarne il cinquantesimo anniversario, Giuseppe Ganelli ed Emilio Targia, nel libro “La nostra storia” —tutto il mondo di Happy Days– raccontano nel dettaglio la nascita , i retroscena e gli aneddoti della serie, cavalcandone la camaleontica metamorfosi, riuscendo ad adattarsi al naturale mutamento della società americana e non solo.

“Happy Days” è una sitcom Ideata da Garry Marshall, ambientata negli anni ’50 che segue la vita della famiglia Cunningham, in particolare del giovane protagonista, Richie Cunningham (interpretato da Ron Howard), e dei suoi amici, tra cui il famoso Arthur “Fonzie” Fonzarelli (Henry Winkler). La storia inizia con Richie e i suoi amici alle prese con le sfide della giovinezza, le dinamiche familiari e le esperienze scolastiche. Il personaggio che poi diventa centrale, Fonzie, è un giovane con uno stile di vita ribelle e cool, con un cuore grande, diventando presto un’icona culturale, con la sua moto, la sua giacca di pelle e il celebre gesto di “toccare leggermente” il jukebox per farlo ripartire. Gli Stati Uniti degli anni ’70 trascinavano come zavorre, problemi come la guerra nel Vietnam, la terribile crisi petrolifera, l’ exploit delle droghe tra i giovani, sommosse sociali e contestazioni politiche. Un marasma di preoccupazione lancinanti che come nel film “Blob”, ingurgitava il contesto americano del tempo, togliendone serenità e pace. Ecco allora la decisione di ambientare “Happy Days ” negli anni’ 50. Una trasposizione temporale di manzoniana memoria, per dimenticare e alleggerire la vita degli statunitensi dai quotidiani turbamenti. Aveva, dunque, l’obiettivo di offrire al pubblico una visione nostalgica e idealizzata degli anni ’50, presentando un ritratto positivo della vita familiare e sociale di quell’epoca. La serie mirava a trasmettere valori tradizionali, con un’attenzione particolare all’importanza della famiglia, dell’amicizia e dei principi morali. Il telefilm ( allora si diceva così), fu ben accolto anche dal pubblico italiano. La famosa mezz’ora prima del Tg delle ore 20, nell’  attesa che le famiglie si riunissero per condividere la cena e le esperienze giornaliere vissute dai familiari.

Nonostante questi propositi, ci fu un duro attacco alla sitcom dal giornalista Maurizio Costanzo, descrivendo la serie sul settimanale “TV Sorrisi e Canzoni” come storiellina insulsa, interpretata approssimamente da attori che si muovevano come burattini, recitando battute improbabili. Al successo di “Happy Days”, ci furono altre voci dissonanti, mettendo in discussione la quasi fiabesca sceneggiatura  che mostrava una realtà —usando un gioco di parole–,

irreale. D’altra parte, a contrastare queste polemiche, ci sono sempre stati cori di voci accordati nell’  esaltare la serie Tv, rivedendo in quelle puntate, nei personaggi e nelle storie che andavano in onda in bianco e nero, un viaggio di salvezza dal grigiore delle giornate, dalla vita che scorreva trainata come peso sulle menti della gente comune; un modo per riuscire di nuovo a sognare, entrando come coprotagonisti nella scatola quadrata, la televisione, la quale apriva una finestra magica su una famiglia e una società ottimale, chiesta ad alta voce da giovani troppo spesso sottomessi ad anni di guerra, di piombo , di mancata comunicazione.

Quella famiglia Cunningham manifestava insomma un’  opportunità di evasione, mentre nello stesso tempo creava riflessione sui rapporti interpersonali.

“Happy Days” è stata una rappresentazione di un mondo probabilmente magico, irreale, una personificazione di ideali, evanescenti, fiabeschi, che ha saputo regalare momenti di vero divertimento, e perché no, riunioni familiari, almeno dalle 19:20 di ogni sera davanti alla Tv, dando in eredità alla memoria non solo televisiva , ma anche ad intere generazioni, di uno spaccato di leggera esistenza.

Autore

Nata a Solopaca in provincia di Benevento. Da sempre impegnata nel sociale a 360 gradi, appassionata di cinema e di teatro, ha fondato il gruppo teatrale "Ad Majora" per il quale ha scritto nove commedie, di cui sei portate in scena. Ha collaborato con varie associazioni culturali locali come "Associazione non solo anziani" e "Koinè".