Fino a qualche decennio fa era era ancora possibile farsi illusioni sul destino prossimo venturo dell’uomo in rapporto alla natura. La difesa dell’ambiente poteva ancora essere considerata una “moda” con la quale civettare ed utilizzarla politicamente inventando partiti ambientalisti ed associazioni ecologiste con pretese rappresentative. Oggi tutto questo è soltanto un ricordo patetico. L’allarme è talmente vasto che necessita risposte globali finalizzate al cambiamento radicale del nostro stile di vita. Una enorme metastasi, infatti, si è prodotta nella società: il cormorano che non riesce a levarsi in volo dalle acque bituminose dei mari del Nord è il simbolo più evidente, unitamente ai cataclismi ambientali originati dall’incuria del territorio, dello stato estremamente precario di fronte al quale le analisi non bastano più.
L’ecosistema è franato. Le illusioni si sono spente. Quello che rimane è soltanto un raccapricciante miraggio di morte davanti al quale o ci si pone come contemplatori rassegnati o attivi produttori di idee per limitare la deriva ambientale. Chi ama il mondo e ritiene l’uomo al centro della natura sa che lo sviluppo tecnologico incontrollato e la dimenticanza delle aree rurali e montane a beneficio di un inurbamento dalle conseguenze catastrofiche, è dovuto all’affermazione della ideologia progressista che, come i fatti dimostrano, ha lasciato dietro di sé soltanto macerie in ossequio alla logica del profitto per cui la devastazione delle campagne è dovuta anche all’utilizzo di prodotti che uccidono a lungo andare o minano la qualità delle piante avvelenando l’agricoltura.
Dai frantumi di un mondo disfatto, e attraverso un processo di lenta, ma inesorabile devastazione delle forme spirituali e biologiche, siamo precipitati in una situazione di difficile controllo soprattutto in riferimento ai mutamenti climatici che stanno mettendo a dura prova la tenuta del Pianeta. Tutto ci fa intendere, dall’inquinamento di quasi tutto il Pianeta alle catastrofi che annientano milioni di ettari di territorio, dalla deforestazione alla fine di specie animali che probabilmente non rivedremmo mai più, dall’alterazione delle aree boschive all’innalzamento del livello dei mari conseguente allo scioglimento dei ghiacciai,comprendiamo che la crisi ambientale è dovuta prevalentemente all’infrazione brutale e costante delle leggi che regolano il fluire della vita.
Il consumismo, l’edonismo, l’eudemonismo, la ricerca del confort spinto agli eccessi, lo snaturamento di vaste aree della Terra per edificare luoghi più o meno consacrati al turismo di massa, lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali hanno prodotto la presente desolazione. Navighiamo i nell’estuario delle delusioni verso un grande mare le cui insidie nessuno conosce e nessuno può prevedere.
Qual è il prezzo della salvezza? E’ forse quello di salvare l’ignoto affidandoci a considerazioni demagogiche e confuse come quelle rese celebri dalla giovanissima scandinava Greta Thunberg? O forse quello di solcare l’ignoto sulla navicella delle illusioni come una politica miope e conflittuale si ostina a farci credere? Oppure lasciarci portare dalle onde verso lidi fatalisticamente accettati? Occorre semplicemente riconoscere la priorità della preservazione della natura per attuare iniziative coerenti con lo sfacelo che che è davanti ai nostri occhi. In tale prospettiva le direttrici lungo le quali muoversi, non possono che essere due, strettamente connesse: il riequilibrio dell’esistenza e la messa in discussione di ciò che è a fondamento della devastazione che riconosciamo, l’egualitarismo. L’uomo contemporaneo, così come è stato plasmato dalla ideologia egualitaria, incarna valori eminentemente economici anche quando questi dovrebbero sottostare a quelli spirituali e politici.
Non è ancora chiaro che conservare è preservare, ma anche tramandare ed innovare in coerenza con i principii che si ritengono irrinunciabili. La causa ambientalista, stupidamente fatta passare per uno degli asset ideologici della sinistra in quanto ritenuta arbitrariamente in opposizione al capitalismo, è quanto di più conservatore vi possa essere, e non per un pre-giudizio ideologico, quanto per la connessione tra la natura, manifestazione perenne della creazione, e la perpetuazione delle forme viventi, a cominciare dall’uomo. Se taluni ecologisti di sinistra fossero meno stupidi e incolti si rivolterebbero, proprio in nome della conservazione della natura contro il modernismo socialista ed il progressismo invasivo, le cui conseguenze inquinanti derivano dal produttivismo esasperato che sta lacerando il Pianeta. Il collettivismo e l’ idealismo globalista, sono i nemici della natura e stravolgono l’ambiente, come constatiamo a beneficio della mostruosità effimera rappresentanza dall’efficientismo autoritario statalista (l’Urss e la Cina, esempi emblematici) e dall’egoismo personalista (il liberismo). L’equilibrio sta nella conservazione della natura che non si sposa con gli atteggiamenti stakanovisti e con le avide acquisizioni e trasformazioni di ciò che è indisponibile come “bene comune”.
Il grande filosofo britannico Roger Scruton (1944-2020) ha più volte evidenziato nei suoi saggi l’incompatibilità tra ambientalisti e socialisti: questi, come hanno dimostrato nei Paesi in cui hanno dominato per decenni, si sono fatti promotori di un gigantismo architettonico che, oltre all’inquinamento ha deforestato aree del Pianeta immense, non diversamente dal capitalismo selvaggio che ha desertificato (aspetti cui ci riferivamo sopra) altrettante vaste zone, come l’Amazzonia, per costruire veloci autostrade e arricchirsi con lo sfruttamento del caucciù, il tutto ai margini di città precarie, costruite come dormitori e somiglianti a campi di detenzione per gli operai costretti quasi in schiavitù nelle profondità delle zone dove si spegnevano, a causa di presenze sgradite e sgradevoli, tribù che la civilizzazione nel corso dei secoli non era riuscita a scalfire, come gli Yanomami ormai ridotti a simboliche presenze sulle rive del Rio delle Amazzoni.
“L’ambientalismo – scriveva Scruton – è la quintessenza della causa conservatrice, l’esempio più vivo nel mondo, così come lo conosciamo, di quel partenariato fra i morti, i vivi e i non ancora nati, di cui Burke faceva l’ apologia e vedeva come l’archetipo del conservatorismo”. Ciò vuol dire che nulla ci appartiene, tanto meno le risorse naturali, in eterno. Quel di cui godiamo e che ci rende responsabili della preservazione, oltre che del soddisfacimento naturale con l’obbligo di non distruggere, ma di incrementare, è il “ tesoro” che vincola le generazioni. Perciò distruggere a fini di arricchimento è quantomeno selvaggio, ma pure incongruo ai fini della continuità della specie. Sfruttare, insomma, indiscriminatamente, la natura è un affronto a noi stessi, alle generazioni passate e a quelle che verranno. È il presupposto dell’impoverimento come lo è la distruzione paesaggistica o l’avvelenamento dei corsi d’acqua per i motivi più vari “giustificati” da logiche di potere o di accaparramento di ricchezze Il riferimento a Burke è più che pertinente.
Secondo Scruton, per salvare la natura occorre comprendere quali sono i motivi che mantengono le persone in una reciproca forma di relazione tra di loro. Motivi che sono al centro delle della riflessione conservatrice. Tra essi si situano due stati d’animo, dice Scruton, citando Burke, de Maistre, Oakeshott, Kirk: l’amore per il bello è l’amore per il focolare. I principali pensatori conservatori, hanno dedicato, infatti, buona parte della loro riflessione ai temi estetici “sapendo che la ricerca della bellezza non è solo un capriccio privato, un’infinita preoccupazione per le specie naturali, bensì al contrario, il modo in cui ci si sforza di adattare il mondo alle nostre esigenze e le nostre esigenze al mondo”. Responsabilità ed equilibrio: caposaldi del pensiero conservatore.
Per ciò che concerne l’amore per il focolare, Scruton ritenendolo uno dei motivi che legittima il conservatorismo, scrive: “È a causa del suo amore per la propri dimora se il popolo difende il proprio Paese dai nemici interni… connette l’immigrazione clandestina…si oppone al multiculturalismo…e insiste nel far crescere impropri figli nella fede ancestrale… È proprio l’amore per la propria dimora che offre le ragioni più forti a cui il movimento ambientalista potrebbe fare appello”.
Molta è la confusione, comunque, nel mondo conservatore a proposito di ambiente. Forse bisognerebbe cercare altrove, in un ambito non definito aprioristicamente “conservatore”: penso ad Henry Thoreau e allo scrittore americano Wendell Berry. Le idee di questi due intellettuali, così temporalmente distanti tra loro, si fondano sull’ l’oikophilia, l’amore per la propria casa, e l’ostilità verso le ideologie dello sradicamento, che i conservatori dovrebbero combattere quando si connotano come “grandi imprese”, megalopoli o egemonie multinazionali. Scruton ha criticato il conservatorismo quando si è appiattito su queste tematiche, legittimandole e perdendo nello stesso tempo la sua anima: quel che accade negli Usa è emblematico al riguardo.
Il lealismo locale, il sentimento della vicinanza che molti conservatori non capiscono più, farebbero, se venissero sostenuti, indietreggiare gli ambientalisti di sinistra facendogli capire che quei valori supportano l’idea di nazionalità “visto – come osserva Scruton – che le nazioni sono delle comunità che si sono date una forma politica. Esse sono pronte ad affermare la loro sovranità, traducendo il comune sentimento di appartenenza in decisioni collettive e in leggi che si danno da sé. La nazionalità è una forma di legame territoriale, ma è anche un’intesa di natura prelegislativa. Inoltre, le nazioni sono agenti collettivi della sfera dei processi decisionali globali. Solo mediante l’appartenenza a una nazione l’individuo riesce ad avere voce in capitolo negli affari mondiali”.
Ecco perché, la nazione è questione che attiene alla natura, sostanzia l’ambientalismo, racchiude le ragioni che tengono insieme il patto generazionale. La nazione è un causa ecologica alla quale l’opzione conservatrice prioritariamente dovrebbe guardare. Scruton ha sostenuto come i Paesi europei siano governati da classi politiche incolte e inconsapevoli del destino delle nazioni che guidano e si nascondono dietro “gli usci sbarrati delle istituzioni europee” dalle quali promanano direttive demenziali volte a travolgere l’anima di una comunità vasta di nazioni e popoli fino a sfibrarla. Oggi la causa ambientalista è tutt’altro che divisiva. Essa è sostanzialmente ascrivibile alla cultura dell’ “et-et” piuttosto che a quella consunta fondata sull’ “aut-aut”. Nella consapevolezza che soltanto puntando sui grandi temi si possono proporre scenari perfino suggestivi, nonostante l’oggettiva drammaticità che li connota, ad una opinione pubblica frastornata dal politicamente corretto da un lato e dal politicantismo di piccolo cabotaggio dall’altro. Se, visto ciò che si sta muovendo nel mondo ambientalista, toccasse ai conservatori adottare uno slogan per sintetizzare il pensiero ecologista oggi, Scruton non avrebbe dubbi: “Feel locally, think nationally” (“senti localmente, pensa nazionalmente”). Come dire: allo Stato-nazione non vi è alternativa, a meno di non volerci suicidare rincorrendo per esempio le paranoie globaliste dell’Unione europea.