• 3 Dicembre 2024
Itinerari

Aver voluto semplicemente intitolare “Guida” la sintetica, ma brillante ed esaustiva storia di Solopaca ricostruita attraverso la descrizione di monumenti, chiese, palazzi, strade, contrade, tradizioni, usi e costumi aggiungendo un cenno tutt’altro che approssimativo sulle sue origini, è un eccesso di umiltà da parte di  Cosimo Formichella indotto nella sua scelta dalla consapevolezza che ben altro impianto avrebbe giustificato un titolo più ambizioso. Eppure non si fa fatica, scorrendo queste agili pagine, a trovare un filo conduttore che non è propriamente quello di una banale sequela di luoghi da visitare e di itinerari da percorrere, bensì una vera e propria “scoperta” delle fonti ed una rivisitazione dell’esistente che  legittimano l’interesse per un borgo fatto oggetto di molte citazioni, di qualche opera e di numerosi riferimenti nella vastissima bibliografia sulla storia complessiva del Sannio. Formichella, aduso a frequentare reperti archeologici e arte antica, indagatore infaticabile ed appassionato di vicende connesse con il territorio del quale è orgogliosamente figlio, ha ritenuto con la Guida che ci propone (versione aggiornata ed ampliata di un testo analogo pubblicato nel 1990) di facilitare i tanti occasionali visitatori di Solopaca e moltissimi solopachesi stessi, soprattutto appartenenti alle generazioni più giovani, a penetrare la conoscenza di un paese dalle molte anime e dalle innumerevoli vite che merita un’attenzione approfondita sia in ragione delle bellezze naturali nelle quali è immerso che dei veri e propri “tesori” che in qualche modo nasconde, dal portale di una casa ad una cappella privata, dagli affreschi sacre delle non poche chiese alle statue che le arredano.

Allo scopo l’Autore non poteva limitarsi ad una esposizione didascalica di ciò che appare, annotando sommariamente i dati essenziali più rilevanti, ma ha generosamente immaginato che il lettore volesse sapere di più di ciò che non si vede aggirandosi per le viuzze del paese, al cospetto di dimore imponenti, di siti avvolti da un’aura di magia pressoché indecifrabile. E, dunque, l’ha presa alla larga, vale a dire ha disegnato un quadro d’insieme nel quale nulla ha  trascurato, a cominciare dalla morfologia del territorio di Solopaca e poi dalla evidenziazione delle sue ancestrali origini, di quelle degli abitanti che molti secoli prima popolavano la zona. Sanniti di ceppo indoeuropeo, senza dubbio, ma nel fondo della preistoria forse avevano altre connotazioni quando l’alba della civiltà decifrata non era ancora sorta o stava per sorgere.

Eppure i segni raccolti nelle contrade a noi più familiari lasciano intendere che nel corso dei secoli – ben prima che i tempi precisassero attività, funzioni, riti e sviluppi sociali – una imprecisata gente, dalle oscure provenienze, si stabilì sul suolo che oggi calpestiamo dando vita ad una comunità che mostrò precoci indirizzi verso l’incivilimento fino a “colonizzare” terre aspre e selvagge riducendole ad autentici campi sui quali esercitare le arti della pastorizia e dell’agricoltura. A ben considerare la storia solopachese e della Valle Telesina si può affermare che la vocazione primigenia degli abitanti delle due sponde del Calore – fiume di civiltà e testimone di avventurose imprese – non è mai stata abbandonata. La terra, dunque,  come fondamento di vita a cui consacrare sacrifici, lotte, amarezze, rari sorrisi e la consapevolezza  di aver vissuto nel corso dei secoli in coerenza con una tradizione che non è stata scalfita da niente e da nessuno, racchiude ed esplicita il modus vivendi di abitanti uniti da solidarismo proprio a genti stanziali che hanno affinato  i propri costumi in coerenza con le origini assimilando dai vicini ciò che poteva renderli omogenei, ma conservando caratteristiche proprie ed esclusive come si evince perfino dalle abitudini culinarie tramandateci.

Questo radicamento riassume lo “spirito” di una popolazione, non diversamente da altre legate al mondo sannita, che ha saputo emanciparsi, difendersi e progredire quale si desume dalle ricostruzioni storiche da almeno un secolo in qua. Essa è la vera protagonista dell’ennesimo lavoro su Solopaca  (e dintorni) di Formichella al quale va riconosciuta la perizia degna di un decrittatore  di simboli e di iscrizioni nel decifrare i pochi e non sempre intellegibili brandelli di “messaggi” che ci sono stati trasmessi grazie alla dimenticanza o alla preservazione naturale altrimenti lo scempio sarebbe stato più vasto.

E qui il capitolo della memoria nel quale si ascrive questa Guida mi sembra doveroso. Non c’è presente e non c’è futuro dimenticando il passato. La cultura dell’evanescenza fondata sulla devastazione della memoria fino a negarla è un vero e proprio crimine nei confronti delle generazioni future. C ‘è chi si  illude che  la privazione della memoria ci esime dal fare i conti con noi stessi, perché non dobbiamo  tramandare nulla. E, dunque, siamo esentati dal coltivare obblighi con il passato. Negandoci questo possiamo essere liberi dall’ossessione di quel che sarà. Lo spregio della memoria lascia sul campo macerie di ogni tipo, a cominciare dall’ignorare chi siamo. E’ per questo che la conoscenza è doverosa al fine di ricordare che le pietre parlano e ci raccontano la nostra storia che è incominciata prima di noi ed è destinata a seguitare quando ci estingueremo. Ciò che è destinato a restare sono le opere che abbiamo trasmesso. A cominciare da quella fondamentale ed oggi maggiormente a rischio: la preservazione del territorio che riassume in sé la storia dei popoli unitamente alle loro diverse tradizioni.

Quando nell’ottobre del 2015 su Solopaca si abbatté una terribile sciagura scaturita da un evento climatico di eccezionale violenza, il rischio che corse fu l’annientamento. Ma la disperante fine può avvenire anche per vie più sottili, quasi impercettibili: il degrado, la noncuranza, il disinteresse sono le spie di un malessere profondo che si registra quasi ovunque e che mette a repentaglio la sopravvivenza dei piccoli come dei grandi centri. Il motivo è semplice: è stata abrogata, con il passare del tempo, la cultura del rispetto della memoria. Pertanto ciò che abbiamo ereditato e che non conosciamo del tutto e talvolta neppure in maniera approssimativa si consuma davanti al nostro disincanto privandoci del passato e dunque della nostra stessa identità.

Ho ricordato che nonostante il trascorrere dei secoli e addirittura dei millenni, i segni tangibili della nascita di Solopaca e dei siti adiacenti, della comunità telesina insomma, sono rimasti, per quanto possibile, relativamente riconoscibili ancorché non integri, comunque suscettibili di indagini e di studio grazie a tanti fattori, nonostante barbarici interventi si siano sovrapposti a manufatti edilizi ed artistici che sarebbe stato meglio conservare nella loro completezza, ma sappiamo bene che nulla è per sempre quando ci si mettono la natura (basta considerare nella fattispecie i numerosi terremoti che hanno contribuito a modificare l’area e si sono portati con la loro furia tante opere) e la mano dell’uomo non sempre diligente. Ma ciò appartiene al naturale ordine delle cose.

Oggi le condizioni dei beni culturali e delle espressioni visive delle nostre storie sono in serio pericolo. Ecco, dunque, l’utilità di una catalogazione come quella compilata da Formichella per ciò che concerne Solopaca. Lo scopo, dunque, come dicevo all’inizio, non è soltanto quello di offrire una “guida”, ma di sistematizzare, nei limiti del possibile, ciò che costituisce l’essenza stessa di Solopaca. E molto, oltre al visibile, in questo senso, resterebbe da fare.

Forse con un’adeguata campagna di scavi e di approfondite ricerche si potrebbero riportare alla luce residui di siti romani e pre-romani, ricostruire ciò che è stato offeso dal tempo, restaurare palazzi nobili e meno nobili, mettere in sicurezza l’esistente dati i saccheggi registrati negli ultimi decenni. E non certo per una ossessione museale, ma per far vivere ciò che merita di essere conosciuto come esplicitazione delle radici di una comunità umana che aveva, tra l’altro, un suo profondo senso religioso desunto, per esempio, dai ritrovamenti sparsi nelle campagne circostanti nei quali l’elemento pagano si muta in cristiano, non diversamente da come è avvenuto altrove.

E allora, risalendo dal Ponte Maria Cristina, imponente opera borbonica fino al Palazzo Ducale dei Ceva Grimaldi, lambendo le torri rimaste ed appena percettibili alla vista del Castello di origine forse normanna, finendo per raggiungere il Casale di Capraia, cioè il rione di Capriglia, il ceppo probabilmente primigenio di Solopaca, costeggiando Palazzi nobiliari inesorabilmente chiusi, ci si lascia trasportare da Formichella fino alla strada che costeggia la chiesetta di Santa Maria Te Amo che, per quando erta, invita comunque a guadagnare il cammino verso il Santuario del XIII secolo della Madonna del Roseto, luogo mistico per eccellenza, dove la religiosità dei solopachesi si è dispiegata nel corso del tempo ed ognuno almeno una volta nella vita a quella miracolosa icona si è rivolto nella cattiva sorte, ma anche in quella buona. Lassù, ai piedi di ciò che rimane di un antico monastero, dove lo sguardo si apre su una delle valli più belle d’Italia, non sempre come tale riconosciuta, rinasce ogni volta che si ha la fortuna di godere del silenzio che circonda il luogo di culto mariano, un sentimento di appartenenza difficile da descrivere e che assomma in sé, consapevolmente o inconsapevolmente, una storia profonda e lunga più di quanto è dato immaginare.

Al viandante capace di guardare oltre il presente e più lontano delle azzurrine montagne del Matese dirimpettaio del Taburno, si fanno innanzi figure che hanno attraversato il tempo e sembrano accompagnarlo nella discesa dal Roseto alle rive del Calore quasi invitandolo a sostare di casa in casa per accarezzare muri e portoni di antiche pietre che hanno visto una comunità in cammino. Sono passati re e regine, abati e vescovi, preti e suore tra le quali una beata, suor Caterina D’Onofrio, umili contadini e pastori poverissimi, soldati a cavallo e guerrieri appiedati, signori crudeli e benefattori munifici, artisti di grande talento e filosofi, poeti, scrittori, politici: Solopaca non ha modificato la sua natura. Almeno fino ad oggi. Non tutti lo ricordano; a loro, credo, in cuor suo Cosimo Formichella ha dedicato la sua Guida che non è una “guida”, ma una storia, una memoria, forse anche un piccolo, elegante pensiero amoroso per Solopaca e la sua gente.

Autore

Giornalista, saggista e poeta. Ha diretto i quotidiani “Secolo d’Italia” e “L’Indipendente”. Ha pubblicato circa trenta volumi e migliaia di articoli. Ha collaborato con oltre settanta testate giornalistiche. Ha fondato e diretto la rivista di cultura politica “Percorsi”. Ha ottenuto diversi premi per la sua attività culturale. Per tre legislature è stato deputato al Parlamento, presidente del Comitato per i diritti umani e per oltre dieci anni ha fatto parte di organizzazioni parlamentari internazionali, tra le quali il Consiglio d’Europa e l’Assemblea parlamentare per l’Unione del Mediterraneo della quale ha presieduto la Commissione cultura. È stato membro del Consiglio d’amministrazione della Rai. Attualmente scrive per giornali, riviste e siti on line.