• 27 Luglio 2024
Editoriale

Il Made in Italy, non è solo un’etichetta, ma rappresenta un elemento di qualità e distinzione identitaria dei prodotti italiani riconosciuta dai consumatori di tutto il mondo, che pongono una attenzione particolare, al momento dell’acquisto, all’origine geografica di provenienza dei prodotti a marchio italiani, appartenenti ad una categoria di qualità ed eccellenza esclusiva. Un vero richiamo al nostro territorio, ai nostri prodotti manufatturieri, e artigianali, agroalimentari un elemento di attrattiva, per percepire l’indicazione, già insita nel marchio e/o etichetta.

Roberto Agosta, manager industriale e consulente europeo, definisce (Il marketing, Editoriale Itaca) importante la cultura della qualità solo quando è attenzione verso il cliente, e si determina in ogni momento importante del contatto con l’azienda ed è possibile solo se il marchio ci consente di essere IMO, cioè Individui Marketing Oriented, ovvero orientati sensorialmente a percepire attraverso di esso la qualità eccellente.

Bisogna, dunque, capire come funziona il Made in Italy, per poterlo implementare e utilizzarlo in ogni categoria merceologica italiana, possibilmente produrre un Product Offert di qualità, che sommata alla qualità aziendale, si traduce in un marchio e un’immagine virtuosa nel mondo.

A tal fine, la dicitura stessa pone implicitamente i presupposti per delle condizioni previste dal marchio e dalla legge, non indicative ma propedeutiche per rendere, il made in Italia, un assioma di certificazione di qualità esclusivo delle eccellenze merceologiche presenti solo ed esclusivamente sul territorio italiano. Questa non è filosofia aziendale, dice Roberto Agosta, ma è ottimizzare le qualità presenti sul territorio italiano, attraverso un orientamento di marketing, che induce ad esplorare ambiti significativi di eccellenza inclusivi, che dispongono ad una dinamicità di mercato sia di nicchia e a livello globale.

L’elevata e primaria indicazione Made in Italy, si colloca tra i primi marchi mondiali, riscuotendo una assoluta reputazione tra i molteplici consumatori, evidenziando e riconoscendo al prodotto offerto una particolare certificazione, che si desume con una implicita azione di marketing, già insita nell’etichetta, che configura al prodotto in specie, un appeal insuperabile e assolutamente e immediatamente identificabile.

Definire la qualità è un eufemismo, essa corrisponde secondo attente ricerche di mercato alla reale corrispondenza di aspettativa del cliente, di un prodotto offerto al momento dell’acquisto, come fa da sempre il Made in Italy, soddisfacendo un bisogno a cui è connesso o annesso un valore di appartenenza alla cultura e allo stile italiano.  

Le vetrine mondiali, tipo Amazon, su piattaforma on-line, hanno riconosciuto al Made in Italy, questo riscontro di percezione dedicando spazi esclusivi ed inclusivi ai prodotti fatti in Italia, perché essi presentano una manifattura unica e tipica della qualità e fabbricazione o produzione italiana, da dove si evince, il design e la tradizione sostenuta negli anni, tale da divenire, un vero vantaggio competitivo per le aziende italiane. Tuttavia, molti prodotti in funzione dei costi di produzione pur avendo delocalizzato, la produzione all’estero, riescono comunque ad applicare questo prestigioso marchio sull’etichetta finale, tradendo la relazione, bisogno/valore implicita per garantire successo ai diversi lanci pubblicitari.

la dinamica di delocalizzazione e non di contraffazione crea una diminutio del valore/qualità, riducendo la percezione del bisogno/valore che deve essere percepita dal cliente, e pertanto sta esaurendo la credibilità e l’originalità del marchio. Le opportunità di ripristino di un marchio credibile esistono, ma è fattibile solo se si applica un concreto piano di marketing, che sia analitico e scientifico secondo gli autori di “Il piano di Marketing” (Il sole 24ore) RomanG, Hiebing Jr, ScottW.Cooper, maestri dell’analisi del marchio, e della stesura del marketing plan. Questi non tradiscono mai gli obiettivi di vendita e percezione, addivenendo ad un’analisi di settore ove evidenziano la segmentazione del mercato globale che presenta notevoli minacce illecite di ingresso.  

La normativa, infatti, solo in alcuni casi eccezionali pone delle elasticità di manovra, al fine di proteggere e garantire l’origine italiana del prodotto.

Nell’ambito agroalimentare, la connotazione merceologica impone che la raccolta avvenga in Italia, e solo in tal caso si può apporre la dicitura in questione in etichetta, la certificazione in merito non è riservata a chi usa materie prime italiane assemblate fuori dal territorio. Ma se i prodotti sono realizzati con materie prime italiane, o importate dall’estero e realizzati in Italia possono essere dichiarati “Made in Italy”.

Ovviamente la legge, secondo una blasfemia di marketing, ha disciplinato, in ogni ambito merceologico, di riferimento le varie fasi di lavorazioni del prodotto di riferimento, che sia manifatturiero in senso largo, ovvero nel tessile, nella pelletteria ad esempio, nella meccanica di vetture, o nel design e altro in relazione alle varie fasi lavorative e di realizzazione, si definisce e si stabilisce l’origine geografica del prodotto finito, benché sia in Italia, al fine di essere in linea con la qualità e il richiamo alla tradizione del territorio italiano.

In altre parole, la produzione e le materie prime devono essere italiane e realizzate in Italia, eccezion fatta per alcuni elementi minori di importazione, ovvero solo una minima percentuale di materia prima può essere di importazione, che vene inserita nella produzione. Spesso l’Italia ha bisogno di importare materie prime dall’estero e ciò è riduttivo, anche se i prodotti sono fatti in Italia, perché non sempre si può beneficiare di materie prime locali o reperibili in territorio italiano, ma ciò pur non riducendo la capacità produttiva, ne altera la qualità del prodotto la sua originalità che lo contraddistingue nel mondo.

Pertanto questo esclusivo marchio è indicatore di una creatività e originalità italiana, unica e tipica delle nostre maestranze manifatturiere, che si formano in Italia grazie ad una tradizione secolarizzata, e implementata con l’aumento della domanda globale, che richiede una maggiore produzione, a cui però non bisogna togliere la specificità del manufatto realizzato con eccellenze del luogo e per eccellenze non parliamo solo di materie prime italiane, ma di manodopera qualificata e tramandata nel tempo, che richiede una professionalità di settore specifica e unica acquisita sul territorio.  

L’unicità del Made in Italy, resta ed è un deterrente di non contraffazione, impossibile da copiare, infatti, molti prodotti sono stati replicati con nomi similari altrove nel mondo ma con scarsi risultati. L’unicità e la qualità insita nel marchio, per esempio dipende, dal territorio e dal clima dello stesso che non consente copie o fotocopie di prodotti agroalimentari, e i Panel Test, adottati ne qualificano  e certificano la sensorialità unica di tipicità locali impossibili da contraffare o copiare.

In molti casi, l’uso per le paste italiane di grani esteri, ne mantiene inalterata l’originalità ma ne squalifica la sensorialità d’origine, per cui l’uso di grani canadesi, ne modifica la tipicità di taluni marchi, italiani, che etichettano i propri prodotti, comunque con il marchio Made in Italy.

La strategia resta emblematica, dice Alberto Mattiacci autore di “il Marketing strategico dei business di nicchia” Cedam (Ordinario di Economia, Sapienza Università di Roma, Senior Fellow, Luiss Business School Presidente, Comitato scientifico Eurispes) ed il marketing strategico l’elemento edificabile del business di nicchia, e molti prodotti del marchio Made in Italy, appartengono ad interstizi esclusivi di una segmentazione di mercato tutta da esplorare, che deve indurre ad una differenziazione della produzione italiana, scientificamente comprovata, per spingere verso una accettazione e percezione per la clientela, e non consentire derive e naufragi spersonalizzati del   modello italiano.

Il compromesso, che permette di usare il marchio Made in Italy se una parte della produzione o meglio se una parte del processo di produzione avviene in Italia , spesso non rende merito al prodotto  italiano, ne sminuisce quella sensorialità tipica del suo territorio di provenienza redendo il prodotto un prodotto massivo, che può recepire un gusto non riconoscibile tra le eccellenze , perché eccellenza è tipicità e gusto, è profumo, e una visione culinaria che nasce dal prodotto tipico di un dato territorio, fenomeno diffuso tra gli olii extravergine, oggetto spesso di contraffazioni.

Usare i grani antichi, le cui sementi si possono riprodurre in maniera naturale e tradizionale, senza impiego di OGM, è opportuno non solo perché questi ultimi sono infestanti, ma perché i primi sono la tipicità di una tradizione che richiama agli odori di un dato territorio, ai sapori del tempo che dobbiamo recuperare per ripristinare non solo i nostri borghi, ma il nostro turismo che massivo non è ma è volano di tradizioni e di storie antiche. Antonio Foglio, autore del “Il marketing agroalimentare” (Franco Angeli editore),  docente di tecnica del commercio estero e marketing internazionale, Università di Verona e Suffolk di Boston denuncia, da tempo una ripartenza e resilienza, che passa attraverso un agroalimentare di qualità tradizionale, ma lo ha evidenziato pur sempre con un marketing agroalimentare di sicura connotazione scientifica.

Siamo alle prese con il fenomeno e le dinamiche di economie interstiziali , non più globali, e recuperare la fragilità e vulnerabilità delle dimensioni produttive italiane per renderle competitive è possibile, e non trascurabile, per dar ragione a Mario Draghi, quindi, nell’ambito delle scelte manageriali di governo, è lecito e doveroso interrogarsi scientificamente sui micro mercati interstiziali e di nicchia per rivalutare, il Made in Italy, e far rifiorire le piccole e medie imprese, evitarne il baratro fiscale e rimodellarle in un mercato di domanda evoluta ma pur sempre valoriale.

Ritornando al marchio, la lavorazione sostanziale, non è sufficiente ma convenzionalmente adatta per dichiarare un prodotto Made in Italy, questa squalifica di sostanza, ha consentito nel tempo una fuga di capitale merceologico italiano e con sé una contraffazione immeritevoli di molti settori patrocinio della nostra amata nazione, terra esclusiva in quel di Parma di eccellenze uniche, terra del tavoliere delle Puglie, dove la tipicità degli olii, non ha pari, in altre parole abbiamo consentito una fuga di risorse congenite e di mutilazioni alle nostre produzioni non proteggendo con vigilanza assoluta il loro risultato , la realizzazione del prodotto finale.

La trasformazione o lavorazione sostanziale, deve badare di più alla sostanza delle materie prime impiegate, specialmente evitare quelle estere, perché non si può anche se specificato in etichetta continuare a sostenere un modello italiano che di Italia ha solo il ricordo di un tempo che fu.

Infatti, la valorizzazione di un prodotto parte in primis dall’origine, dalla sua inestinguibile identità, dal luogo di provenienza di produzione, e realizzazione e poi di commercializzazione. Fattori determinanti per conferire al prodotto quella unicità impareggiabile, che qualifica il Made in Italy.

I panel di ricerca, annichiliti e appannaggio un tempo della ricerca più qualificata, non sono più focus aziendale, causa crisi rilevante, già nel 1960 a Chicago si parlava nel glossario ufficiale di Marketing, come di ricerca di mercato scientificamente riconosciuta (Ingegnere Franco Santini, autore, Le ricerche di mercato) Buffetti Editore, le implicazioni multidisciplinari sono sopraggiunte nel tempo a evidenziarne l’importanza in oggetto, pertanto, non utilizzare il marketing e le sue attese scientifiche, diminuirà il valore orientativo di mercato del Made in italy.  

La dicotomia tra prodotto ottenuto e realizzato interamente in Italia, e quello trasformato o lavorato sostanzialmente in Italia crea un duplice marchio, sconfinando nel 100% Made in Italy, la cui condizioni sono necessarie e sufficienti per valorizzare il prodotto italiano e certificarlo al meglio.

Parliamo di prodotti, progettati in Italia, lavorati, confezionati, altresì in Italia, con condizioni anche maggiormente restrittive come l’uso dei semilavorati italiani, lo stile unico italiano, e materiali o materie prime, di qualità esclusive italiane. Questi elementi denotano l’autenticità del marchio, senza minacce e infiltrazioni estere, in maniera da tutelare il consumatore, più sprovveduto, sia sulla qualità, sulla creatività, sullo stile, sulla tradizione puramente italiana.  

In tal caso entriamo inclusivamente nella tracciabilità del prodotto dalle sue prime forme fino all’offerta finale, garantendo la vera origine, e certificazione del prodotto stesso.

Il caso Stellantis – Fiat ne è un esempio eclatante, produrre vetture in Polonia, e altrove con denominazione italiana, non creerà business, una vettura Alfa Romeo, marchio non più italiano, denominata Milano prodotta non Italia non può essere 100% Made in Italy.      

Il ruolo dominante spetta al marketing, non alla propaganda politica, che ha fatto un passo di qualità grazie al Ministero del Made in Italy, per valorizzare l’eccellenza italiana, ma bisogna andare oltre la riqualificazione e la tutela dei prodotti, non è sufficiente una valorizzazione, bisogna spingersi oltre un marketing di settore o una politica di prodotto orientata a una strategia di marketing basata sul prezzo per mitigare la crisi energetica, differenziare o in differenziare il Made in Italy, deve indurre ad una approccio strategico che contempli un cambio di paradigma nell’ambito merceologico, un approccio concentrato o di nicchia, perché la stragrande qualità italiana è tipicamente di nicchia e richiede un orientamento di Marketing Oriented che sia qualificato e rivolto ad uno specifico mercato, dunque, non un marketing massivo, ma con obiettivi: di specifico mercato,  specificità di prodotto, specificità di prezzo, di concorrenza, di consumatore.

A sentire quanto accade in Europa molte politiche di integrazione, sono rivolte ad annichilire il Made in Italy, in particolare nell’ambito agroalimentare, proteso ad un agri food, di tendenza sintetico, e manipolato. Tale da ridurre la dieta Mediterranea al margine della sottostimata nutrizione culinaria mondiale. Si punta al Nutri score, che è un’etichettatura rivolta a demonizzare, il sistema Italia, un’etichetta a semaforo, con colori indicativi della qualità, sia più o meno nociva alla salute, puntando ad un’idea dei valori nutrizionali, senza l’approfondimento dei nutrienti e delle origini, e la loro filiera biologica. Questo approccio diffusosi in Europa, denota una scarsa tutela del sistema Made in Italy, della piramide nutrizionale tipica della dieta Mediterranea e insita nella valorizzazione dei prodotti alimentari italiani. Non dimentichiamo che l’Italia possiede 326 certificazioni alimentari e 529 per i vini, ne deriva un ribaltamento dell’agroalimentare italiano che va recuperato e markettizzato strategicamente senza esclusione di colpi.  Siamo ad un bivio di sostanza e la salvezza viene dal marketing strategico, dalla ricerca, e dall’innovazione avanzata, e dalla conoscenza scientifica oltre che da una giurisdizione sovrannazionale e nazionale competente (Il marketing della ricerca e dell’innovazione, a cura di Nicoletta Buratti e Michele Simoni, Università degli studi di Genova e Università degli studi di Napoli, Edizioni Franco Angeli).    

Autore

Economista, Bio-economista, web master di eu-bioeconomia, ricercatrice Unicas, autrice e ideatrice di numerosi lavori scientifici in ambito internazionale. Esperta di marketing. Saggista, studiosa di geopolitica e di sociopolitica. È autrice dei saggi “Il paradosso della Monarchia” e di “Europa Nazione”. Ha in preparazione altri due saggi sull’identità e sulla politica europee.