Stiamo vivendo un momento storico e politico di estrema complessità, che induce a temere per il futuro dei cittadini europei, infatti, la preoccupazione di un imminente crisi bellica globale, presuppone l’attuazione di un piano di pace e di stabilità all’interno dei confini e delle attuali frontiere europee, al fine di predisporre non ideologicamente ma concretamente l’esigenza di un’intesa geopolitica più ampia per una pace duratura complice di una crescita economica, garante di una sicurezza futura, in cammino verso una Europa realmente unita e sempre più estesa non solo oltre i Balcani ma anche oltre il Mediterraneo orientale, per anticipare le mosse strategiche russe, e predisporle ad una ritirata di buon senso e di partecipazione al benessere del mondo.
Fondamento propedeutico per una pace da ricercare ad ogni costo, geopoliticamente è costruire una Europa necessariamente ampia, con assoluti presupposti economici, indicativi di un successo all’ingresso dell’Unione, e teso all’eliminazione di minacce future, infatti più membri cooperano a questa estensione e minore sono i rischi di una crisi, ed inoltre maggiori sono le possibilità di adesione numerica di Stati e maggiori sono le garanzie di pace e stabilità di un continente che amplifica le sue frontiere proteggendole senza tregua.
Tuttavia, i presupposti all’ingresso restano pur sempre quei valori, “Criteri di Copenhagen”, che ripercorrono una condizione di stabilità selettiva dei membri che intendono far parte dell’Unione Europea, a tal fine l’ultimo rapporto della Commissione europea ha di base preannunciato nell’interesse strategico dell’UE un reale all’allargamento, attenuando così le minacce russe e intensificando i criteri/valori di ammissione all’ingresso, con una prospettiva disarmante e attese di garanzia di sicurezza nettamente implementate.
Parliamo di un notevole sforzo per le nazioni partecipanti a questa nuova annessione, che si aggirano in una riscossione di successi elevata sia per l’Europa stessa che per quest’ultime, che stanno intensificando nei paesi di riferimento riforme democratiche al fine di aderire definitivamente. Parliamo dell’Albania, Bosnia-Erzegovina, Georgia, Moldavia, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia, Turchia, ed infine Ucraina, tutte realtà che si pongono l’obbiettivo di rispettare nuovi parametri democratici e nuovi paradigmi ideologici, per europeizzare le loro democrazie fin dalle fondamenta con negoziati di adesione, scoraggiando la guerra e l’aggressione russa, ciò vuole essere una grande operazione di fiducia e di difesa.
Certo è che l’integrazione politica, sarà il tema di base e ciò comporterà un eventuale ritardo verso un’intesa precipua e certa, ma solo ciò potrà contribuire ad una pace precostituita, anche se le divergenze indurranno a diverse velocità di riforma e a diverse possibilità di raggiungere la stabilità interna progressivamente, con estremo ritardo sulle strategie russe. L’Europa, infatti, imbriglia le maglie di sviluppo dei relativi partecipanti, in incastri politici troppo ideologici, come il fisco, la salute, l’ambiente, e non in ultimo il clima, elementi che non catalizzano e non facilitano un campo lungo di intese e ne limitano il relativo allargamento, conseguentemente, il ricorso ad ulteriori elementi di pace è d’obbligo, per spingere verso un progresso definitivo e moltiplicatore di pace.
La vera pace però si costruisce anche attraverso elementi di buon senso, e il vero appello dovrebbe passare attraverso limitazioni di sovranità dei vari Stati membri, ovvero se ripudiamo la guerra come strumento di offesa alla libertà, dovremmo ripudiarla anche come elemento di controversie internazionali, e costruire un ordinamento sovranazionale, che non sia solo la Nato, e contempli questa condizione al fine di eliminare la corsa ad armamenti di offesa smisurati, e promuovere semplicemente ed integrare popoli che ne favoriscono lo sviluppo organizzativo in tal senso.
La voce europea sembra orientarsi verso un fronte opposto, e poca la sua intermediazione dialogante di pace o comunque, non si odono i suoi effetti, non si esplica una messa in campo del tutto diplomatica, infatti, in Europa non si ravvede un clima di concordia finalizzato ad avviare diplomatici elementi di distensione che aprono negoziati concreti con la Russia per cessare il fuoco e gettare le armi, l’unico labile tentativo assunto, è stata la parola lanciata all’Angelus di Papa Francesco, assolutamente finita nel dimenticatoio non avendo avuto repliche da parte di nessun politico internazionale.
Papa Francesco soverchiando i finti pacifisti ha avuto il coraggio di demonizzare l’aggressore utilizzando il gesto semplice e forse indispensabile di alzare per l’Ucraina “Bandiera bianca” e dichiararsi sconfitta senza trascinare nel baratro del conflitto l’Europa e forse l’intero mondo. Un gesto di grande disciplina morale e di grande intelligenza e consapevolezza di una sconfitta imminente, una cessione di indipendenza per evitare una resa incondizionata foriera di ulteriori stragi, poiché il tempo della guerra nucleare sembra essere iniziato e le minacce ne preannunciano l’inizio.
L’accrescimento degli arsenali bellici, sono un segnale di paura non di certezza di aggressione, vero è che ciò non è implicito, la stessa Ucraina aveva ceduto in tal senso ed è stata comunque, aggredita, dunque non sono la forza e gli armamenti il deterrente maggiore che ci libera o che spaventa l’avversario e nemmeno una maggiore espansione geografica europea con un allargamento estensivo.
L’occidente resta basito, e fermo su posizioni belliche, tale che aleggia un’ipocrisia latente, che strisciando ci porterà in guerra, ignari tutti di una scelta concreta. La mediazione resta sempre l’arma migliore, se viene colta ed accettata dall’aggressore, dunque, importante è tendere comunque la mano verso un clima di distensione.
Mai rendersi complice dei crimini altrui, mai non essere operatori di pace, certo è che attrezzarsi per fronteggiare le minacce non significa non essere in grado in progress di apportare pace: infatti, l’Europa deve cercare comunque di prevenire un conflitto di maggiore portata, costruendo una pace reale e duratura, preservando la stessa pace anche verso i nuovi e futuri membri di cooperazione europea, ovviamente questo è possibile con strumenti atti a rafforzare la sicurezza e a creare la stabilità internazionale e sovrannazionale.
Molto spesso l’Europa si avvale di strumenti appositamente elaborati per la pace, misure e fondi di assistenza a favore di paesi partners e di organizzazioni regionali e internazionali, con scopi nel settore militare, e supporti tecnici, parliamo di un bilancio settennale di diciassette miliardi di euro al di fuori del bilancio europeo, dotati di un meccanismo unico.
Certamente un Europa estesa ed unita mira alla vittoria, e insieme si può vincere ma insieme si può promuovere anche la pace, una parola semplice ma complessa nell’attuazione, che etimologicamente viene dal latino “Pax”, “patto” e oserei sostenere un patto condiviso che può essere foriero di un futuro di benessere.
Una proposta di pace ancora non è stata formulata, abbiamo assistito ad una drammatica accelerazione della difesa e dell’offesa bellica, senza veri negoziati sostenibili. L’Unione opera da sempre per assicurare un elevato livello di cooperazione in ogni ambito, preservare la pace, prevenire i conflitti, rafforzare la sicurezza, attuando principi che non possono restare semplicemente tali ma devono trovare una reale applicazione, al fine di promuovere un patto che non sia solo di stabilità e di crescita resiliente ed inclusiva, ma che sia un nuovo trattato di pace condiviso universalmente.
Un pace- keeping, dunque ci obbliga rigorosamente a sovrapporre il mantenimento della pace e alla sua realizzazione, un’interposizione di intenti, che sovrappone una difesa civile non armata ad una condivisione di politiche comuni. Se il freddo è assenza di calore, il buio è assenza di luce, ne consegue che la guerra è assenza di pace, perduriamo in un circolo vizioso dove l’odio è assenza di amore, ovvero un eterno ritorno di conflitti tra popoli diversi ma simili, dove basterebbe il confronto costante e la condivisione permanente dei principi di libertà e democrazia, anche in quelle derive totalitarie dove la maggioranza delle idee suole avere sempre ragione e ci vincola a essere sudditi di scelte imposte, questo conflitto nascente è una di quelle scelte mai condivise, ma determinate da un Deus ex machina, tragico e strategico che ci toglierà il calore, la luce, l’amore che ogni giorno aneliamo per sentirci parte del mondo.
Siamo anche difronte ad un deficit di efficienza dell’Onu, proprio in materia di pace, a causa della mancanza di sostegno al suo multilateralismo che induce le super potenze ad annullarsi, estraniarsi, eclissarsi, dunque, un’organizzazione incapace e inadeguata per attuare la pace, incapace di gestire le grandi sfide che la modernità bellica prevede, incapace di diffondere una moderna cultura cosmopolita di pace mondiale.
L’architettura, dell’Onu, non è più omnicomprensiva, la sua struttura removibile, inattuale perché si è resa nel tempo statica e insostenibile nel promuovere principi di intesa e cooperazione di sviluppo per la diffusione del benessere mondiale, nonché, per la possibilità di socializzare e disciplinare la scena internazionale attraverso concrete azioni atte a prevenire la pace. Emergente è l’inadeguatezza del funzionamento dello stesso Consiglio di sicurezza, dove ormai la non presenza di nazioni emergenti fa implodere il voto per risoluzioni coercitive volte ad ostacolare guerre ed aggressioni violazioni di massa dei diritti umani, nazioni come l’India, il Brasile, e molti paesi africani. Insomma, vi è un abuso eccessivo del diritto di veto da parte dell’America, della Russia, e della Cina, divenuto ormai un’arma e uno strumento esplicitato nel quadro delle loro rivalità.
Ebbene dire che l’Onu ha fallito nella sua missione primaria, oggi, non è sufficiente, non è sufficiente dimostrare l’inadeguatezza strutturale di un meccanismo per non addivenire alla pace, o ad una reale cultura di pace, i tempi sono maturi per diffondere una riforma che ci rivede tutti costruttori di pace.
Per promuovere la Pace, bisogna riformare le democrazie ed avviarle verso una reale cultura di pace, il pluralismo ideologico mondiale, ha bisogno di una condivisione, decliniamo a discipline come le scienze, per esempio, il compito di rendere il mondo un posto vivibile, senza pregiudizi razziali, di genere e di esclusione geopolitica, cerchiamo di creare un organismo mondiale, con un’ elevata aspirazione di sviluppo ed evoluzione dell’umanità, dove il pensiero politico voli al disopra delle riduttive miserie economiche, finanziarie, lobbistiche.
Certamente non è una diagnosi utopistica che implementerà la pace, ma solo il volere delle molteplici leadership mondiali, che dovrebbero ritrovare una funzione di guida in un libero schieramento politico e culturale di pace. La sensibilizzazione, non passa attraverso la celebrazione del tema della pace globale, ma è un’educazione che va promossa costantemente, con azioni concrete, coltivare la pace, non è un semplice slogan, ma un dialogo della non violenza da diffondere ovunque, poiché la guerra è sempre ingiusta, e il vero messaggio di pace passa attraverso la diffusione di informazioni programmate per far riflettere e indurre a partecipare. La pace passa attraverso la vita, attraverso la quotidianità, fatta di non violenza e di amore verso il prossimo. Attraverso una volontà indomita, attraverso la coesione, la condivisione, senza le armi delle guerre, ma con lo scudo della verità e dell’abbandono delle paure e delle minacce, possiamo costruire la pace, ma la pace non è fatta solo di belle parole, ma anche di deterrenza, strategia politica e anche strategia militare, tuttavia, possiamo invertire questo paradigma culturale e trasformare le azioni militari, europee, in assolute azioni di pace, in particolare in Ucraina, non dimeno in Medio Oriente, per estendere missioni e partenariati che hanno una visione nel lungo periodo di condivisione e negoziazione per una pace duratura, che possa ripristinare il benessere e la serenità a livello globale.