• 27 Luglio 2024

Dalla marcia trionfale al tonfo finale. In un anno la disfatta del Napoli si è dispiegata come nessun’altra squadra che portava sul petto lo scudetto. Inspiegabile, almeno per chi non è addentro alle segrete cose ed ai macabri ed un po’ vili giochetti di prestigio che tra società e giocatori sono andati in scena in tutti gli stadi d’Italia, ma in particolare in quel sancta sanctorum del football che è il “Maradona”, tempio profanato da un plotone di svaniti calciatori ai quali non dovrebbe essere concessa nessuna attenuante visto i comportamenti sul campo dove è stato giocato nel massimo campionato il peggior calcio dell’annata, senza vergogna e con tanto menefreghismo. Le avvisaglie della disfatta si erano già intraviste nelle ultime giornate dello scorso campionato. Che cosa stava succedendo? Stavano conquistando il cielo gli azzurri e dietro di loro c’era il vuoto: perché mai avrebbero dovuto dannarsi l’anima e le gambe per un risultato ormai acquisito? Quella sensazione di abbandono se la sono portata nella nuova stagione e bastarono un paio di mesi per comprendere che il Napoli era un’altra cosa. La fine ha tenuto fede alle premonizioni.

Inutile ipotizzare che cosa accadrà nel prossimo campionato : dipendesse dai tifosi o soltanto dagli appassionati di calcio dovrebbe essere cacciata  tutta la compagnia che non ha disonorato soltanto una compagine che l’anno passato faceva tremare tutte le difese, ma quello scudetto che soltanto grazie all’intelligenza tattica di Luciano Spalletti ed allo stile di vita da lui imposto ai suoi giocatori è riuscito a conquistare facendo diventare dei campionissimi degli sconosciuti come Kvaratskhelia, Osimhen, Kim Min-jae, Lobotka ed altri comprimari che sembravano belve inappagate fino a quando non infilavano il pallone in rete.

La miseria del Napoli di questa stagione bislacca al tramonto è nella rinuncia di una pattuglia di mercenari, con l’occhio più ai contratti, ai cambi di casacca, ai bonus ed ai privilegi vari piuttosto che alla vittoria o almeno ad un minimo dignità.

Sì, è così: conquistato lo scudetto il Napoli ha dato l’impressione che la missione compiuta poteva ritenere appagati sostenitori, azionisti e perfino chi non tifava per i colori azzurri tanto era bello il calcio che giocava: spumeggiante, brillante, eclettico; a metà del girone d’andata già si parlava di scudetto. Un anno dopo, agli inizi di quello di ritorno, mestamente si incominciava ad avvertire un senso di impotenza, caso unico per chi aveva appena vinto il campionato.

Pensando che i punti più importanti, quelli che hanno impedito al Napoli di precipitare nella zona retrocessione, li ha ottenuti con la guida di Rudy Garcia, e che tre allenatori non si sono mai visti in un’annata e forse neppure in cinque, c’è da ritenere che questi non sono diventati dei brocchi tutto ad un tratto, ma che la compagine calcistica ha deciso per chissà quale arcano di mollare. La rinuncia. Non c’è altra spiegazione. Il ritrarsi nella loro tana dorata e godersi le ricche prebende senza un filo di vergogna.

Non si esagera nel sostenere che questo Napoli non ha creduto in se stesso perché nulla lo spingeva verso alti traguardi come le coppe europee ed ancor più nelle alte sfere della massima serie.

Capita. Ma non nel modo come è accaduto. Il georgiano che s’impigliava nei suoi stessi piedi, il nigeriano che ha azzeccato poco o niente tra Coppa d’Africa e infortuni….e poi i rigori sbagliati, il gioco da fermo mai sfruttato, e per soprammercato una campagna acquisti invernale che ha fatto venire i brividi, nonostante le temperature fossero miti.

Ed ora che ne sarà del Napoli? Ricostruire, si dice. Ma una squadra nuova di zecca non la si mette in piedi in pochi mesi: neppure quando arrivarono Maradona,  Careca, Giordano gli azzurri esplosero. Ci volle del tempo per conquistare in tre anni due scudetti, a parte le magie di Pibe de oro.

Attendiamoci una lunga traversata nel deserto. Investimenti, fuoriclasse, una compagnia affiatata? È roba che neppure la Juventus si è potuta permettere  dopo il lungo magico ciclo di vittorie in campionato, ma con il miraggio di un trofeo internazionale sempre inutilmente inseguito, nonostante gli Higuain e i Ronaldo, oltre alle spese ingenti per competere con tutti.

È difficile che il Napoli torni ad essere in breve tempo il primo della classe: si era appena aperto un ciclo (iniziato con Benitez ormai anni fa) per fare di una squadra ambiziosa una grande formazione, ed è già finito.

Ci vuole molto di più di un allenatore come Conte, per quanto sia il migliore tra i disponibili,  per portare nuovamente in alto il Napoli. Occorrono soprattutto giocatori che non sanno neppure pronunciare la parola “rinuncia”.

Autore

Giornalista, saggista e poeta. Ha diretto i quotidiani “Secolo d’Italia” e “L’Indipendente”. Ha pubblicato circa trenta volumi e migliaia di articoli. Ha collaborato con oltre settanta testate giornalistiche. Ha fondato e diretto la rivista di cultura politica “Percorsi”. Ha ottenuto diversi premi per la sua attività culturale. Per tre legislature è stato deputato al Parlamento, presidente del Comitato per i diritti umani e per oltre dieci anni ha fatto parte di organizzazioni parlamentari internazionali, tra le quali il Consiglio d’Europa e l’Assemblea parlamentare per l’Unione del Mediterraneo della quale ha presieduto la Commissione cultura. È stato membro del Consiglio d’amministrazione della Rai. Attualmente scrive per giornali, riviste e siti on line.