La trama di questo magnifico romanzo è incentrata sulle vicende di un giovane marinaio francese di nome Edmond Dantes. Egli, appena sbarcato a Marsiglia dalla nave Pharaon, già assaporava il dolce gusto della sua vita futura a fianco della bella Mercedes. Purtroppo, a causa dell’invidia di due suoi rivali, il giovane marinaio venne incarcerato giusto il giorno del suo matrimonio, mandando in frantumi i suoi sogni di formare una famiglia. Da quel momento Dantes cercherà il modo di farsi giustizia da solo, motivato dalla bruciante sete di vendetta.
Anche riguardo un romanzo così celebre ed eterno non mancano critiche e aneddoti al vetriolo. Dumas aveva collaboratori per la stesura dei suoi romanzi, quelli che forse chiameremo oggi ghostwriter più che editor. Molte critiche, infatti, vennero sollevate dai detrattori di Dumas proprio per queste collaborazioni, nel tentativo di togliere importanza allo scrittore e considerarlo di poco conto. Di certo collaborò con August Maquet (scrittore e drammaturgo francese) e con l’italiano Pier Angelo Fiorentino. Il loro compito era quello di studiare insieme a Dumas il piano dell’opera e fare ricerche storiche legate all’argomento, mentre Dumas era il vero e proprio autore del testo che poi veniva pubblicato. Il sodalizio con con Maquet durò fino a quando non lo citò a processo per la titolarità delle opere. Maquet ottenne un risarcimento di 145.200 franchi, ma perse ogni diritto sulle opere scritte con Dumas.
Nella nostra lingua la storia del romanzo è intricata, e sulla traduzione hanno influito interventi anche molto pesanti di censura, specialmente nei confronti dei temi religiosi. Le traduzioni filologicamente corrette sono comparse per quasi tutti i maggiori editori italiani a partire dal 2010.
La prima traduzione del Conte risale al 1869 ed è quella comunemente diffusa, che è stata sempre utilizzata e ristampata fino a pochissimi anni fa.
Da ricerche effettuate dall’editore Carmine Donzelli è risultato che vi era un “fantasma” nelle traduzioni de Il Conte di Montecristo; il suo nome era Emilio Franceschini, inesistente nella realtà, frutto di uno pseudonimo di diversi traduttori o comunque nome inventato per firmare una traduzione di cui non si conosceva l’origine. La traduzione circolata per quasi un secolo non è corrispondente al testo originale e ha molte parti tagliate ed incomplete.
Una disattenzione dell’editoria italiana nei confronti di questa importante opera francese dovuta alla sua scarsa considerazione ed ai giudizi negativi di Croce e di Gramsci. Il lavoro di ricerca svolto dall’editore Donzelli, suscitato anche da una richiesta rivalutazione da parte di Calvino e di Citati, ha consegnato ai lettori italiani, solo dal 2010, traduzioni che riprendono l’originale basata sull’edizione di Claude Schopp.Il Conte di Montecristo fu tuttavia condannato dalla Chiesa per i suoi contenuti licenziosi e anticlericali fin dalla sua prima pubblicazione, mentre nel 1863 venne condannata tutta l’opera dello scrittore francese. La messa all’Indice, rispetto al XVI secolo, aveva un vigore molto meno marcato: c’era addirittura chi, come Renan e Gregorovius, la riteneva la miglior pubblicità possibile. Interessanti a questo proposito sono alcuni articoli apparsi su «Civiltà Cattolica» nella seconda metà dell’Ottocento dove, al di là del contenuto, si condanna la scelta del genere romanzo, protagonista di un’inesorabile decadenza: “Divenuto un’industria, una guadagneria, il romanzo non poté badare ad altro che a secondare i gusti più corrotti, massimamente che venne di moda di dare i romanzi giorno per giorno nei Feuilletons”, ossia nelle Appendici dei giornali; e quindi i romanzi non andarono più, come accade dei libri od anche delle pubblicazioni mensili e quindicennali dei periodici, soltanto delle persone colte, ma in quelle altresì della plebe e della stessa. Per quanto riguarda l’Italia, l’opera è protagonista di uno strano paradosso: all’accoglienza calorosa del pubblico non corrisponde un’adeguata attenzione da parte della critica. Il romanzo, raccontato perfino mnell’Italia del secondo Ottocento nelle veglie comunitarie, pratica all’epoca molto diffusa, non ha mai goduto dell’attenzione degli studiosi. Perfino da un’inchiesta promossa dalla Società Bibliografica italiana del 1906, I libri più letti dal popolo italiano, il romanzo di Dumas si trova in cima alle classifiche delle preferenze del popolo.
Nel Conte di Montecristo si torna indietro nel tempo di circa 207 anni, nella Francia post-rivoluzionaria. Re Luigi XVIII è da poco tornato a regnare, ma c’è tensione nella società divisa tra realisti e bonapartisti, poiché la minaccia di un ritorno di Napoleone incombe dietro l’angolo. Un grande affresco della storia e della società francese ed europea di pieno Ottocento che non si conclude come il lettore vorrebbe. Alla fine del romanzo, Mercedes, dopo aver scoperto gli inganni di Mondego, ritorna a vivere al villaggio catalano di Marsiglia dal quale proveniva. Ci si aspetterebbe che Dantès faccia altrettanto, che si riprenda la vita semplice che gli era stata tolta anni prima. Ma questa vita ormai non gli appartiene più: e in un finale del tutto inaspettato il lettore assiste alla sua partenza per l’Oriente insieme alla sua nuova compagna, la principessa Haydée, che lo ha affiancato negli anni della vendetta senza mai chiedergli nulla del suo passato, amandolo in maniera discreta.
Anche se ci possono essere alcuni termini tecnici sconosciuti al nostro orecchio, la prosa è comunque leggera e scorrevole. Inoltre, la costruzione della storia è magistrale. Nulla accade per caso: scena dopo scena, dialogo dopo dialogo, tutto ciò che accade è intrecciato con la prosecuzione della storia; perciò, è importante non perdersi nessuna parte, nemmeno quelle che sembrano irrilevanti. Il Conte di Montecristo sia il romanzo sulla vendetta per eccellenza? In effetti lo è: il protagonista della storia, Edmond Dantes, dopo essere stato ingiustamente incarcerato passa buona parte della sua vita ad architettare un perfetto piano vendicativo. Il Conte agirà sempre orientato al raggiungimento di una giustizia fai-da-te. Il racconto, però, non è solo orientato a dilettarci, ma credo che Dumas volesse farci riflettere, attraverso le esperienze dei personaggi, sui nostri limiti etici: fino a che punto siamo disposti a spingerci pur di ottenere vendetta?
Sarà Umberto Eco a riprendere queste considerazioni cinquant’anni dopo in Il superuomo di massa. Nella sua riflessione, però, l’autore de “Il nome della rosa” fa notare come nella narrazione il Superuomo ceda il passo al prototipo del personaggio del romanzo d’appendice, assecondando le aspettative dei lettori: nel finale Edmond “veleggia felice per lidi ignoti al fianco della donna che lo amava in silenzio”, e ridiventa uomo per non mettere in crisi gli acquirenti del “feuilleton”.
Altro importante sintomo della sua popolarità è “Er Conte di Montecristo”, divertente poemetto in sestine romanesche di Ugo Coppari del 1962, dove viene parodiato il famoso feuilleton, giocando sul fatto che il testo fosse ormai noto e potendo qui prendere in giro personaggi, trame e situazioni. Tutte queste iniziative, a cui se ne possono aggiungere molte altre – come la Parodia Disney e la pubblicazione della sceneggiatura della fiction Rai del 1966, per citarne alcune – sono le chiavi per capire le fortuna de Il Conte di Montecristo in Italia. Nonostante la ridondanza, la trama a tratti banale e ripetitiva, il romanzo, insieme a tutte le sue rielaborazioni e riduzioni, è stato e rimane uno dei titoli più apprezzati e conosciuti dal pubblico italiano.