• 10 Ottobre 2024

E’ difficile incontrare qualcuno che non abbia sentito parlare di “eroi”, personaggi con cui siamo cresciuti e tra i quali abbiamo sicuramente scelto uno o più favoriti. Abbiamo tutti visto, letto e sentito di loro, mentre nella nostra mente germogliava la meraviglia, l’ammirazione e l’ispirazione per quell’abnegazione, quel coraggio e quella dignità alla base delle loro gesta. 

Eppure da un po’ di tempo a questa parte, sembra che questo archetipo, soprattutto nelle sue vesti “classiche”, sia venuto un po’ a noia. Certo è sempre lì, pronto a salvarci, ma è proprio questa “perfezione” che, non rappresentandoci, ci dà quasi fastidio. Non ci piace vedere qualcuno “migliore di noi”, soprattutto constatando l’ineluttabile meschinità della nostra natura. Un “perfetto” non ha merito in ciò che è e in ciò che fa, ma un “imperfetto” che fa del suo meglio merita eccome. 

Così chiamiamo “eroi” le persone della nostra vita, non perché siano impeccabili, ma perché valorizziamo la loro forza d’animo, nel cercare di compiere il giusto, magari fallendo, ma sempre pronti a rialzarsi, poiché non c’è nulla di più eroico della resilienza. Ecco che molti eroi incorruttibili sono stati “umanizzati” con tanto di dubbi, vizi, debolezze e anche una sana dose di tormenti interiori (é il caso dell’ “eroe byroniano”). In un certo senso si è tornati alle origini dell’eroe greco, molto più umano di quel che si ricordi. Le gesta di Ercole (le famose dodici fatiche), per esempio, non sono altro che un percorso di redenzione ed espiazione del tremendo omicidio di cui si è macchiato, quello dei suoi figli e di sua moglie. Un gesto così efferato che ha ben poco di eroico. Eppure sapere che anche i “migliori” possano commettere errori, se non atrocità, ci piace talmente tanto che alcuni autori hanno ben pensato di introdurre e sviluppare un’altra figura, ancora più ambigua, ancora più viziata, che cammina perennemente in bilico tra il Bene e il Male. E’ l’antieroe! Ma chi è questo antieroe e perché ci piace così tanto? Andiamo a conoscerlo un po’ meglio, cercando di carpirne i tratti e il motivo del suo fascino, dal mondo della Letteratura, al mondo del Cinema, del Fumetto e a quello Video-ludico.

Fin dalla sua prima comparsa con “Tersite” nell’Iliade di Omero, tale archetipo si è evoluto in forme sempre più complesse, coinvolgendo anche la Letteratura italiana del secolo scorso. Luigi Pirandello traccia un vero e proprio antieroe con il personaggio di “Mattia Pascale” o più precisamente “Il fu Mattia Pascal”, espressione che dà il titolo all’opera. Mattia Pascal è quel personaggio che, creduto morto dalla comunità del suo paese, decide di cambiare identità, di impadronirsi di una libertà che non gli era mai appartenuta, sempre alle prese con una vita di insoddisfazioni, con una moglie che non ama, una suocera insopportabile e vari problemi finanziari. La sua decisione è alquanto amorale e lui lo sa benissimo. 

Ce lo dice apertamente: sarebbe più corretto smentire la notizia e dare degna sepoltura a quel erroneamente supposto “Mattia Pascal” presso i membri della sua vera famiglia. Eppure basta un niente per sdoganare tutto e scrollarsi di dosso lo scrupolo: non vale la pena fare la scelta giusta nei confronti di persone che neanche sanno riconoscere il tuo corpo. Quella di Mattia Pascal è il tentativo di rivincita contro un mondo che non lo ha mai valorizzato. Questa sua scelta, quella di rifarsi una vita fingendo di essere un altro, per quanto deplorevole, si presenta “giusta” e non possiamo fare a meno di sostenerla. Tuttavia, si sa,  Pirandello ama lasciarci l’amaro in bocca, per cui, benché sia bello condividere col protagonista l’eccitazione di ricominciare da capo, presto scopriremo la tragica verità: il nostro antieroe resterà per sempre insoddisfatto, nello sforzo di reggere la sua nuova vita su una “menzogna”, che finisce per renderlo“inesistente” come un fantasma, una persona veramente “morta” seppur viva, solo per non aver fatto quello che forse avrebbe fatto un’eroe: la scelta giusta, ma giusta per davvero.

Se da un lato abbiamo “Mattia Pascal” come l’antieroe “tragico”, la vittima e l’emarginato della società, dall’altro abbiamo un diverso tipo di antieroe, molto più subdolo. Abbiamo tutti sentito parlare di quella famosa frase che ha giustificato e continua a giustificare una serie di situazioni o alleanze particolari: “il nemico del mio nemico è mio amico”. Ecco, l’antieroe è proprio questo particolare “amico”, quel cattivo che, combattendo un male più grande, diventa immediatamente più “buono”. 

Questo concetto ce lo presenta direttamente il mondo dei fumetti. Per la precisione parliamo di un gruppo di antieroi: la “Suicide Squad”. Ne fanno parte criminali e mercenari, ingaggiati in “missioni suicide” dal governo degli Stati Uniti per sovvertire i governi “maligni” in nome dell’ordine mondiale. Sono tra i personaggi più deplorevoli dell’universo della DC Comics ( famosa casa editrice dei fumetti di supereroi come Batman o Superman). Molti di questi cattivi sono gli stessi criminali contro cui combatte il famoso vigilante della notte, Batman, l’eroe “byroniano”, cupo, tormentato, dai metodi aspri e poco ortodossi, ma con un radicale e incorruttibile codice morale, lo stesso che viene a mancare alle sue “nemesi”. Queste tentano di corromperlo, rappresentando tutti, chi più e chi meno, le sue debolezze: la paura (Spaventapasseri), il nichilismo e la follia (Joker e Harley Queen), la lussuria (Poison Ivy), l’intelligenza (l’Enigmista) e così via. Alla fine sono comunque un riflesso di quella “macchia”, di quella criminalità che Batman ha giurato di combattere. Ma quando la criminalità più pura diventa il mezzo per sconfiggere un male superiore, allora ecco che i cattivi diventano anti-eroi. E nel caso della Suicide Squad forse l’antieroina per eccellenza è proprio colei che li arruola: Amanda Waller, l’agente dell’intelligence che freddamente manipola e gestisce con metodi machiavellici il gruppo di criminali al servizio del governo. E’ interessante come questi fumetti siano in grado di avanzare questioni importanti riguardo la moralità o l’amoralità di certe dinamiche, soprattutto di carattere politico, con riferimenti a fatti storici realmente accaduti. Basti pensare per esempio al sodalizio, durante la seconda guerra mondiale, con la criminalità organizzata da parte delle forze alleate, per facilitare la liberazione dell’Italia dai nazi-fascisti. Inoltre si strizza l’occhio ad altre vicende di simile natura.

L’antieroe compare anche nel Cinema, ed uno dei suoi esempi più eloquenti è quello rappresentato daIl’ “uomo senza nome”. Si tratta del protagonista, spesso riferito come “il biondo”, nei film western all’italiana degli anni ‘60, interpretato da Clint Eastwood, all’interno della cosiddetta “trilogia del dollaro” diretta da Sergio Leone. La cosa bella è che questo personaggio piomba nel contesto di un genere cinematografico già di per sé saturo. Eppure riesce a sovvertire i canoni del tipico cowboy americano, interpretato ad esempio da John Wayne. Quello di Clint Eastwood manca dei suoi tratti tipici, del coraggio, dell’altruismo, della “leadership”. Da questo punto di vista “il biondo” è sfacciatamente un anti-eroe. Anche se nel film “il buono, il brutto e il cattivo”, egli, tra i tre, è riferito come il “buono”, resta un’espressione che va presa con le pinze. Questo personaggio ambivalente all’occorrenza non teme di essere cinico, opportunista, senza scrupoli, ma nonostante tutto, agisce secondo un proprio codice morale. Egli per esempio è un uomo di parola e mette al primo posto la sua onestà, anche se non in termini convenzionali: è più negli obiettivi che nei modi per raggiungerli. Infatti, consapevole della sua ambiguità, la usa come arma, per spaventare, ingannare, manipolare, fare buon viso a cattivo gioco, ma la sua “bontà” non tarda a manifestarsi in atti di genuina umanità ed empatia, che ce lo fanno amare e apprezzare (suggestiva è la scena ne “il buono, il brutto e il cattivo” in cui “il biondo” concede un ultimo sollievo ad un agonizzante soldato della guerra civile, quello di poter fumare per un po’ il suo sigaro, prima di morire). Tuttavia, dopo aver salvato la vita, sicuro di avere “giustamente” la coscienza pulita, avendo fatto il suo, prende il cavallo e parte per la sua strada, con una bella musica di Ennio Morricone in sottofondo. Il “biondo” ha ispirato una lunga serie di antieroi, come il “Capitano Jack Sparrow” nella famosa saga “Pirati dei Caraibi”.

Concludiamo con un ambito un po’ particolare: il mondo dei videogiochi. Molti ignorano l’ormai grandemente appurata valenza narrativa di questi prodotti, la cui realizzazione non è dissimile da quella di un film, con l’impiego di attori, scenografi e soprattutto scrittori. Lo scopo di “divertire” è diventato ormai un pretesto per raccontare storie dall’enorme coinvolgimento emotivo (essendo videogiochi la storia viene vissuta in “prima persona”). I videogiochi ci hanno infatti regalato tra gli anti-eroi più memorabili mai concepiti. Nella saga video-ludica di “God of War”, Kratos è un semidio greco che si fa giustizia da sé distruggendo l’Olimpo per poi cercare redenzione dai suoi peccati, in un’epopea non dissimile da quella di Ercole. Ma forse un anti-eroe ancor più eloquente è quello di “Joel” in “The Last of Us”, un videogioco dal valore narrativo talmente grande da essere stato trasposto in una serie TV prodotta dalla HBO. Joel è un uomo che ha perso la figlia agli inizi della pandemia da Cordyceps, un fungo che affetta gli esseri umani trasformandoli in “zombie” (fungo tra l’altro esistente che prende il controllo del sistema nervoso degli insetti). Per sopravvivere all’apocalisse ha compiuto barbarie cui ci vengono fatti solo dei cenni, rendendosi insensibile e serrando ogni tipo di compassione ed empatia. Sentimenti che gradualmente riemergono quando incontra Ellie, una ragazzina immune all’infezione e quindi chiave di una cura per l’umanità. Il suo obiettivo e di portarla sana e salva presso dei ricercatori in un lungo viaggio arduo e periglioso che andrà a fortificare tra i due un profondo legame padre-figlia. Tuttavia, arrivati a destinazione, non appena viene a sapere che la creazione di un vaccino avrebbe comportato la morte di Ellie, Joel commette un gesto estremo. Pur di non perderla, decide di salvarla, ancora incosciente dopo l’anestesia. Così facendo, spinto dall’amore e anche da una sana dose di disillusione, finisce per negare all’intera umanità una possibilità di salvezza, nascondendo a Ellie la verità. Ancora oggi, dal 2013, anno di uscita del videogioco, i fan di “The Last of Us” discutono animatamente sull’ambiguità morale della scelta di Joel, se sia giustificabile un tale egoismo che, insieme all’affetto, sta alla base di una decisione che mette in totale crisi le nostre convinzioni etiche, e ci chiediamo come avremmo agito noi se fossimo stati nei suoi panni.

Ed è proprio questo “sforzo” di immedesimazione che evidenza l’importanza di raccontare figure complesse come gli anti-eroi. Personaggi che continuano ad affascinarci in un modo incredibile. Perché gli eroi, certo, sono lodevoli, ma gli antieroi sono accattivanti.

Quella loro indeterminatezza li rende lo specchio nel quale si riflettono e si confondono le nostre bassezze e le nostre virtù. Di fatti l’umanità è di per sé ambigua. A volte siamo un “sì” e dopo un po’ ci contraddiciamo con un “no”. Certamente ci muoviamo lungo i binari della ragione, eppure siamo incessantemente travolti dagli incombenti impulsi dell’istinto, che sembrano divertirsi a mettere in crisi la nostra etica. E se magari un eroe può darci un’idea di ordine, di determinatezza e forza, noi vediamo nell’anti-eroe un nostro ritratto più veritiero, nel quale ci riconosciamo, nel quale ci mettiamo a nudo, sfoggiando i nostri più infimi e reconditi difetti. Nel dubbio che noi abbiamo nel decidere se un personaggio sia buono o cattivo, se sia “eroe”, “villain” o “anti-eroe”, forse quello che ognuno di noi dovrebbe fare, in nome di questa Narrativa che ha la virtù di rappresentare la vita, è fermarsi ogni tanto, interrogarsi e chiedersi: “In tutto questo, quanto ho in comune con questo personaggio? Quanto sono vicino o lontano dalla malizia o dalla nobiltà? Da quale parte penzola il filo su cui mi reggo? Verso il Bene, o verso il Male?”

Autore

nasce a Piedimonte Matese, provincia di Caserta, nel 1996. Dopo la laurea in Scienze Politiche presso l’Università degli studi di Napoli “Federico II”, si cimenta nella recitazione, nel doppiaggio e nella regia cinematografica. Contemporaneamente coltiva la sua passione per la scrittura, con la sua prima opera, la trilogia di Partenope, come frutto del suo amore per il mare e come omaggio alle sue amatissime origini siculo-napoletane.