“Non è grande uomo chi sa molto,ma chi ha molto meditato.” (Luigi Settembrini)
Personaggio di spicco del Risorgimento, Luigi Settembrini, trascorse la vita lottando per i suoi ideali liberali, fu più volte arrestato nella natia Napoli o costretto all’esilio.
Luigi Settembrini nasce a Napoli il 17 aprile 1813. Il suo nonno paterno è immigrato da Bollita (l’odierna Nova Siri), in provincia di Matera. Studiò al collegio di Maddaloni dove entrò in contatto con un ambiente che lui considerava bigotto e ipocrita. All’età di 22 anni Luigi viene nominato professore a Catanzaro, e sposa Raffaela Luigia Faucitano (1835). Ancora giovane rimane colpito dall’ondata di liberalismo che allora si era diffusa in tutta Italia, e subito dopo il suo matrimonio inizia a cospirare mitemente contro il governo borbonico. Tradito da un prete, viene arrestato nel 1839 e imprigionato a Napoli, nel carcere di Santa Maria Apparente. Sebbene liberato tre anni dopo, perde la cattedra ed è costretto a mantenersi con lezioni private. Tuttavia continua a cospirare e nel 1847 pubblica anonimamente una “Protesta del Popolo delle Due Sicilie”, aspra accusa contro il governo borbonico. Su consiglio di amici, si reca a Malta su una nave da guerra britannica, ma quando una costituzione viene concessa dal re Ferdinando II (16 febbraio 1848), Settembrini fa ritorno a Napoli. Qui gli viene assegnato un incarico al Ministero dell’Istruzione, dal quale ben presto si dimette a causa del caos imperante, ritirandosi in un podere a Posillipo. Quando scoppia la reazione, ancora una volta Settembrini è arrestato come sospetto (giugno 1849) e imprigionato insieme con centinaia di altri ergastolani, delinquenti comuni e banditi, briganti che già operavano da decenni nel Regno delle Due Sicilie, sui quali il Settembrini, contrario per principio alla pena del carcere a vita, svolge un’indagine statistica sociologica che avrebbe meritato e meriterebbe fortuna eguale a quella delle “Mie prigioni” di Silvio Pellico. E pensare che negli anni ’20 del 1900 la sua lettura era consigliata nelle scuole. Oggi il libro è quasi introvabile in quanto l’edizione integrale più recente risale al 2011.
Dopo un processo mostruosamente iniquo, lui e altri due “politici” vengono condannati a morte. Le condanne a morte vengono poi commutate in ergastolo e Settembrini rinchiuso nelle segrete di Santo Stefano. Lì vi rimane per otto anni. I suoi amici, tra cui Antonio Panizzi, fecero vari tentativi infruttuosi di liberarlo, ma alla fine viene deportato con altri sessantacinque prigionieri politici. Alla formazione del regno italiano viene nominato professore di Letteratura Italiana all’Università di Napoli, dedicando il resto della sua vita alle attività letterarie. Nel 1875 viene nominato senatore. Muore nel 1877.
“Dove è il giusto e l’onesto con quella parte son io: e perché il giusto e l’onesto non è in nessuna parte, io non sono con nessuno, sono con me stesso”. In queste parole, che Luigi Settembrini rivolge alla moglie in una lettera dell’aprile del 1854, è condensata l’esperienza umana di un’anima solitaria, epicentro di una tensione continua tra un innato desiderio di libertà e l’esigenza di salde certezze morali. L’immediatezza e la coerenza degli ideali etici e politici del patriota italiano ne rendono manifesta l’azione pubblica durante il periodo risorgimentale e permettono di considerarlo come espressione esemplare del travaglio della borghesia meridionale tra la Restaurazione e l’Unità d’Italia.
La sua opera principale è “Lezioni di letteratura italiana”, la cui nota dominante è la convinzione che la letteratura italiana “è come l’anima stessa della nazione, cercando, in opposizione al misticismo medievale, la realtà, la libertà, l’indipendenza della ragione, la verità e la bellezza” (P. Villari). Settembrini era un convinto sostenitore dell’istruzione pubblica gratuita e della libertà di pensiero e azione. Fu accusato di immoralità, difatti la sua (presunta) omosessualità fu menzionata per la prima volta nel 1977, anno della pubblicazione di “The Neoplatonics”, un fantasy omoerotico scritto in carcere poco dopo aver completato la traduzione di Lucian (1858-1859). Lasciato tra i suoi documenti alla sua morte, il manoscritto fu poi letto da Benedetto Croce, che ne sconsigliò la pubblicazione. Durante gli anni di prigionia trascorsi sull’isola di Santo Stefano la distesa marina rappresentò per Luigi Settembrini l’idea di libertà e, al contempo, un ostacolo insormontabile, che acuì il senso di reclusione. Il microcosmo di Santo Stefano fu l’universo condensato di un intellettuale che spaziò con la mente sulle pagine del Cosmos di Humboldt, continuando a progettare il futuro. Le giornate umide accarezzarono i pensieri malinconici di un prigioniero politico che riuscì a sopravvivere perché spinse gli occhi oltre le feritoie dell’ergastolo. «Maledico i venti e il mare». (Uomini e natura nelle Lettere dall’ergastolo di Settembrini).
Settembrini amava le tradizioni della sua terra: l’unificazione nazionale ‘piemontese’ era vista come possibilità per il popolo meridionale di affrancarsi dal dispotismo borbonico con l’applicazione dello Statuto albertino, ma non come assimilazione culturale. Non poneva in contrapposizione il sud con il nord, perché interpretava le due realtà come complementari l’una all’altra. Settembrini chiese al Piemonte di rispettare la tradizione meridionale nell’esportare il proprio sistema politico. Ciò non fu possibile, forse per mancanza di volontà da parte dei piemontesi ma soprattutto perché nell’ex-regno borbonico mancava il senso dello Stato, poiché lo Stato era stato identificato col padrone latifondista e la nobiltà asservita ai Borbone.
Settembrini rimase deluso dalla politica piemontese che pose paletti all’essenza meridionale per asservirla alla ragion di Stato, che era però la ragione dello Stato unitario che aveva messo in moto l’intera macchina del Risorgimento.
La sua critica alla politica di accentramento del nuovo regno d’Italia non gli impedì di prestare la sua opera come ispettore generale all’Istruzione. Conseguì anche la cattedra di Letteratura italiana all’Università di Napoli tornando così a dedicarsi agli studi letterali. Il 6 novembre 1873 fu nominato senatore del Regno per iniziativa del compagno di prigionia Silvio Spaventa (in quegli anni ministro dei Lavori Pubblici nel governo Minghetti) e la relazione fu presentata da Terenzio Mamiani, indicato nei documenti del processo alla «Grande Società dell’Unità italiana» come capo della setta fondata da Settembrini.
L’importanza storica delle “Ricordanze”, pubblicate postume nel 1879 fu sottolineata nella prefazione delle stesse, scritta da un altro grande letterato e patriota, Francesco De Santis, a dimostrazione e conferma di una comunanza spirituale tra queste personalità del nostro Risorgimento, che nel Regno d’Italia trovarono il coronamento di tante aspirazioni e sogni giovanili, e che allo stesso Regno dettero dalla cattedra, o nel Parlamento, o nel Governo un importantissimo contributo. Settembrini così sintetizzò la sua visione unitaria con queste parole che troviamo appunto scritte nelle “Ricordanze”. “…l’Italia ha spontaneamente trovato la sua forma politica nella Monarchia, la quale sola può conservare l’Unità… Se l’Italia fosse repubblica, non potrebbe essere che una federazione di repubbliche… io ero (da giovane) repubblicano …oggi essere repubblicani mi parrebbe sfasciare l’unità e dare l’Italia in mano al Papa o allo straniero: la repubblica oggi sarebbe un parricidio … Fintanto che in Italia ci sarà un Papa, ci deve essere un Re… anche essendo credente e cattolico. E se verrà un tempo che tutti gli stati d’Europa diventeranno repubbliche, ultima fra tutte dovrebbe essere l’Italia”. Parole profetiche, scritte prima di quelle più famose che pronunciò Francesco Crispi.