• 9 Ottobre 2024
Note d'Autore

Tutti i fenomeni hanno un contesto, un luogo geografico che finisce per essere un luogo temporale incastonato tra causa e effetto. Anche la poesia lo è! Il tema del tempo della/nella storia e di come la poesia cerchi di travalicarlo, rendendoci recenti Pindaro o Dante coi dovuti accorgimenti e traduzioni, è vissuto alla maniera di un contrappunto silenzioso. Parole scritte in un determinato momento possono solo essere interpretate con un sentire diverso quando lette successivamente; per come noi uomini tendiamo a sperimentare il tempo, esso sembra scorrere solo in una direzione che va dal passato al presente e poi più avanti verso futuri effimeri.

Le cose non accadono nel vuoto, la poesia nemmeno. La poesia accade però da tempo in maniera limitata, avendo perso la sua centralità a favore del romanzo, che a sua volta la fa apparire come limitante per un autore e il pubblico che intende sceglierla. Sembra che chi la pratichi o ne fruisca non faccia che camminare su ghiaccio sottile fatto di pregiudizio. La poesia oggi non può parlare di politica (perché diviene da Principato), non può fare parodie (perché altrimenti le si cambia il nome in pantomima), non può fare discorsi sulla sociologia (o diviene scomoda e qualcuno fa finta di chiamarla canzone impegnata), non può parlare di guerra o eroi (sennò è celebrativa o peggio romanzo – nel senso originario – perché le epiche non possono essere più scritte), non può usare termini tecnologici ma ha da rifarsi all’Arcadia (nonostante la si scriva su Word alla fine della giostra), non è di rivoluzione (perché altrimenti non è personale ma ricade nuovamente sociale). La poesia deve relegarsi a parlare dell’introspezione, dei “fatti umani”, ma non troppo. In questa maniera, essa finisce costantemente per vivere in una sorta di “non-tempo” (per identificarla quasi come Marc Augé e i suoi “non-luoghi”). Cosa e quale è la traiettoria della poesia in questo contesto dove esiste il non-tempo e viene a consumarsi la “fine della storia” di Fukuyama e i fenomeni globalisti? In che guisa può la poesia accadere nel vuoto e quanto invece ne è condizionata?

Logorata, la poesia, cerca allora di reinventarsi mediante l’uso di testimonianze lontane provenienti da continenti e voci prima ignorate, o cercando di unire o ripescare diverse tradizioni in nome del melting pot. La poesia e la cultura cercano di destreggiarsi tra questi estremi orchestrati e giocati dal capitale come sue articolazioni; la poesia che a volte cerca addirittura di condannare il consumismo e il disagio, ma di cui è comunque parte volente o nolente. La poesia diviene elettronica (non che il mezzo usato sia un male, tutt’altro!) perché la carta è quasi anacronistica. Essa riduce la sua lunghezza per calzare quasi il tweet, mentre cerca di rifarsi in qualche modo all’ermetismo (solo in apparenza) per giustificare la mancanza di contenuti. Si corrobora di disegni per rendersi “abbastanza” appetibile per la civiltà ossessionata dalle immagini e dai video short sulle piattaforme social che scorrono di continuo fino a batteria scarica. Le poesie diventano ancora più veloci, non possono stare ferme. In altri casi, le poesie cercano anche il teatro grazie alla Slam Poetry che pone sulla performance e sul parlato sia accento che veemenza (come fosse uno spettacolo televisivo o al massimo stand-up comedy).

Dall’altro lato, mentre queste espressioni accadono, è interessante notare come si generino reazioni nel mondo accademico e nella poesia tradizionale (quasi definendola reazionaria) che portano a una loro evoluzione quasi senza accorgersene. I mezzi di comunicazione odierni sicuramente rendono tutti i poeti vicini al diventare influencer, mentre la loro piazza virtuale diventa il nuovo pulpito. I like l’acclamazione del pubblico, che al contempo ricerca nuovi e vecchi linguaggi, mentre i nuovi temi vengono affrontati sempre usando lo stesso set di parole forbite, più complicate possibili (quasi da denuncia ai carabinieri, per citare Calvino). I concorsi di poesia appaiono poi come attività di continuazione del tradizionale, magari usando le nuove lingue comunitarie ma mostrando cecità verso futuro e nuove modalità di fruizione dei contenuti pur chiedendo l’invio tramite mail (e il contributo di partecipazione).

La poesia offre spesso un linguaggio che si rinnova e si adatta, si riempie e si assottiglia per le esigenze, offrendo sicuramente una modalità di espressione del proprio tumulto per gli intellettuali, mentre al tempo stesso lo propagano. Proprio su quest’ultimo punto, Slavoj Žižek cerca di metterci in guardia, osservando come il linguaggio e la società concorrano al malessere e non ne rappresentino necessariamente un’emanazione. Per il filosofo sloveno è necessario sovvertire la dinamica che vuole la parola-interazione come effetto del tumulto interno, rendendo la prima causa del secondo o almeno, guardando a questi due concetti in un’ottica di reciprocità continua. Nel continuare il suo pensiero, egli arriva addirittura ad asserire che il potenziale distruttivo e violento degli uomini potrebbe essere legato al linguaggio, abilità di cui gli animali sono sprovvisti.

Se torniamo a focalizzarci sulla poesia come atto di creazione (nella sua antica accezione), sarà necessario sincerarci di un particolare fattore. Non è necessario capire se la poesia abbia o meno un contesto, ma se questa sia funzionale nel creare discorsi inclusivi, piuttosto che di esclusione. Sincerarci che la poesia abbia la facoltà di parlare con qualunque mezzo essa prediliga (assieme al suo autore), piuttosto che relegarla a un non-luogo e/o non-tempo. Far sì che questa dal passato possa essere reinterpretata con nuovi occhi, ma mai perdendo di vista la sua epoca, perché è quella che l’ha generata.

Trovo che ci sia un’intima correlazione tra quanto scrive Buzzati sul riconoscimento della “vera poesia” e l’affermazione di Octavio Paz. Ciò che la vera poesia esprime sono gli universali, gli archetipi; essi, in quanto tali, sono accessibili e riconoscibili per intuizione profonda, per illuminazione, a tutti gli uomini, una volta riaffiorati. È in questo senso che il poeta scompare nel momento in cui qualcuno legge. Scrive infatti Octavio Paz:“[…] Attraverso la parola possiamo accedere al regno perduto e così recuperare gli antichi poteri. Quei poteri non ci appartengono. L’uomo ispirato, colui che davvero parla, non dice nulla di suo; per la sua bocca parla il linguaggio. Non a caso, secondo la psicologia, la poesia è il linguaggio dell’inconscio”. Anche Ungaretti fa riferimento a una poesia che è in contatto con una realtà “altra”, della quale diviene manifestazione. Questa realtà archetipica, per come viene espressa dal poeta, sembra richiamare il Mondo delle Idee platonico, ma del resto, sia che facciamo riferimento alla psicologia, sia che vogliamo collegarci con antiche teorie filosofiche, sempre di contatto tra poesia e archetipi parliamo. La differenza fondamentale sta nel fatto che, per la psicologia, gli archetipi sono nella nostra mente, che attinge a quell’immenso serbatoio che è l’inconscio collettivo umano, e non in una realtà separata, ovvero l’Iperuranio platonico. Sono i quark , che danno sostanza alla ” parola”, l’ atomo che dispiega la realtà poetica: le vocali per Rimbaud, che spaziano in vibrazioni. Le consonanti, strutture per cattedrali. È da questa ” inflazione” che si espande la Visione. Elementare e folgorante definizione quella di Ungaretti, che coglie nel segno: la poesia, in primis è una combinazione (non casuale) di suoni (vocali, consonanti per l’appunto) tra i quali s’insinua la luce; questa genera le immagini, quelli, i suoni, determinano invece trame sonore ritmo: le altre e gli altri insieme rendono possibili gestazione e parto,ovvero generano il valore polisemico del testo.

 Pazzaglia dichiara il Postmoderno come: “l’ormai avvenuta conclusione del travagli ideologico e di poetiche, di ardue trasformazioni imposte, nel Novecento, alle arti tutte e allo stesso concetto di arte. Ora postmoderno significa, in breve, un’arte che considera il proprio sviluppo come concluso, e accetta di divenire merce e prodotto in serie”.

Per questo motivo non mi precludo nulla, attingendo da tutti ed anche mescolando, sperando nella scoperta di un singolo verso che sia mio. Perché alla fine anche se non sappiamo dire cosa è la poesia, possiamo però dire cosa fa e ciò ci permette di esprimere la nostra unicità individuale e insostituibilità.

Autore

Docente, scrittrice, autrice di opere teatrali, saggistiche, fondatrice della casa editrice 2000diciassette. Ha ricevuto svariati premi letterari. Nel 2012 edita il romanzo “Ai Templari il Settimo Libro” che pubblica con il gruppo Publiedi-Raieri-Panorama-Si di Giuseppe Angelica. Intanto inizia la stesura del romanzo “Le Padrone di Casa”. Nel 2014 entra a far parte di un progetto europeo che la vede impegnata con il teatro attraverso le opere “Hamida” rappresentata in Belgio e Francia; ancora nel 2016 la seconda opera drammaturgica “Kariclea” messa in scena a Viterbo, Firenze, Grecia, Spagna e Bruxelles.