• 10 Ottobre 2024
Editoriale

Siamo in prossimità di un nuovo capitalismo, che presenta mutazioni notevoli, legate e sublimate dalla vita sociale, politica e culturale di una collettività comunitaria europea, che ha subito passaggi profondi sia storicamente, che sul piano strettamente di una forza travolgente che porta il capitalismo ad un rinnovamento.

(M.Weber) il capitalismo resta “la più grande forza della nostra vita moderna” che volge ad un orientamento strategico della realtà civile, rendendola sempre più razionale, sempre più monetaristica, sia geopoliticamente, sia sempre più estrema e finanziaria.

(A.Touraine) il “capitalismo estremo” ormai riduce la realtà civile, a puro “spirito acquisitivo” ad una “brama smoderata di guadagno” ad una profittevole evoluzione del destino comunitario, riducendo la stessa collettività ad un’assenza di valori irrinunciabili e irripetibili.

L’Europa si performa come una delle più grandi economie mondiali, con produttività notevoli, con una scala dimensionale che evidenzia un gradiente capitalistico rinnovato e fortemente finanziarizzato, sebbene l’Europa orientale tende ad avere un Pil non tra i più elevati.

Siamo difronte alla cultura di un nuovo capitalismo dove lo spettro dell’inutilità minaccia e sovverte l’etica del mondo del lavoro, celando e facendo scomparire i confini chiari e netti, tra politica economica e consumo, al punto tale che si affondano e annegano complessivamente i bisogni, i valori di un tempo, e l’autorealizzazione individuale defluisce in basso nella scala minore della vita.

Siamo in un passaggio storico ed economico effimero, le economie crescono con valori esponenziali irrisori, parimenti cresce la povertà assoluta della classe media, che scompare negli archetipi della eterna disoccupazione latente, e della globalizzazione di governi globalizzati che inseguono i numeri primi, soggetti di un capitalismo estremo.

L’attuale rapporto Istat, 2024, denota un Italia che cresce economicamente a livelli paradossalmente egocentrici, ma aumenta la povertà, di chi ogni giorno deve rincorrere i bisogni primari, fare i conti con i debiti bancari e tanto altro, si coglie infatti un crollo del potere di acquisto, una minore propensione al risparmio, e un segnale irreversibile senza politiche precipue che è l’inverno demografico, conseguenza di un disagio latente, che serpeggia nella comunità nazionale, ma anche sovranazionale, nonché mondiale.

La vera causa di segnali così rovinosamente forti, sono la forza di un capitalismo poco attento alle dinamiche di base di un’economia sociale e reale, le denunce sulle minacce di un mercato fortemente finanziario esperiscono, una realtà sociale in trasformazione e una lenta irreversibilità verso una povertà moderna dove nulla consente di risalire.

Un protagonismo egocentrico di un “capitalismo politico”, una sorta di compenetrazione dell’economia e della politica, ovvero, dell’uso politico e bancario, finanziario, del commercio, e della tecnologia anche avanzata.

Una sorta di sincronismo smodato, degli interessi e degli extraprofitti capitalistici, geopolitici, in connessione con quegli degli Stati nazionali europei.

Pertanto, si privilegiano talvolta riforme strutturali, confacenti con l’economia geopolitica, a tutela non del mondo del lavoro e delle sue unità primarie, ma delle grandi aziende del capitale europeo e mondiale o di estrazione atlantica, anche al fine di limitare la supremazia cinese e renderla infimamente ostacolata.

Spesso tuto quanto avviene sotto gli occhi degli europei, senza veicolare o occultare azioni promotrici di propedeutiche trasferimenti di capitali, sostenute da un sottinteso: ci sono ragioni di interesse nazionale, ovviamente per tutelare un’italianità di filiera e di made in Itay , soggiogata  da produzioni promiscue con i paesi asiatici, con intenti monopolistici, e di capitalismo estremo.

Ormai siamo alle pendici di un capitalismo politico che si infiltra a livello europeo, e induce a perseguire finanziariamente, obiettivi dove Adam Smith, padre dell’economia di mercato, autore nel 1776 del classico “ La ricchezza delle nazioni” tese a precisare, che “la difesa è molto più importante della ricchezza”, quindi gli accordi sottesi con il made in china, sono sovvertitori di uno sviluppo economico reale e di uno stato di avanzamento di benessere reale dell’economia nazionale ed europea.

Dall’era delle privatizzazioni, dopo trent’anni, la rotta sta per essere invertita, nell’economia nazionale ed europea si imprime una svolta verso un’ottica più miope, dando priorità alla geopolitica economica, siamo difronte ad una forma di reset, istallato nel corso del tempo che sembri sia giunto al capolinea.

La strategia del capitale crea oggi, illusioni ideologiche, inducendoci verso un capitalismo che sicuramente rasenta il fallimento di un passato intriso di etica e di valori, al tal punto che l’accumulazione capitalistica, imponeva si esigenze di investimento, ma necessarie alla massima occupazione.

Oggi, il capitalismo si avvale di influenze atlantiche, già insite nelle privatizzazioni degli anni Novanta, ma la coerenza, delle attuali strategie, denota come nulla sta cambiando apparentemente, al punto tale che tra le menti politiche più brillanti del capitalismo politico, non si vuole soggiogare, e né ipotecare il destino dell’Europa, ma solo orientarlo, tenendo la medesima rotta e invertendo i giochi geopolitici di crisi verificatesi nell’area euro.

Infatti, siamo in prossimità di una nuova identità politica sovranazionale, e maggiore sarà la competizione tra i capitali europei, e tra altri capitali a livello mondiale, e la crisi in corso tenderà maggiormente ad enfatizzare la competizione, tra i capitali in campo e tra i rispettivi Stati europei, e di fatti si intensificheranno le partecipazioni statali in maniera strategica nelle imprese estere. Un costo molto elevato e diseconomico per i lavoratori che subiranno uscite precostituite dal mercato del lavoro per consentire ai capitali di acquisire maggiore dinamicità e competizione.

L’eccesso d’investimenti, ridurrà una elevata profittabilità e tenderà ad una sovraccumulazione di capitale, come di già è avvenuto nelle crisi susseguitesi nei trascorsi decenni, benché mentre durante la pandemia il declino annunciato è stato recuperato in parte dalla possibilità degli Stati di erogare una elevata liquidità nel sistema, oggi, un intervento così massiccio potrebbe inceppare il sistema stesso ed il circuito economico con altrettanti shocks irrecuperabili.

Per evitare dunque la caduta del saggio di profitto, il capitalismo estremo deve dunque, foraggiare le imprese in uno stato di benessere avanzato evitando di implementare quelle de capitalizzate e morenti, attraverso il soccorso statale, per far sì che il capitale possa favorire “una certa forza di distruzione creatrice” e ciò passa anche attraverso i sistemi di inerenti al PNRR per consentire un piano di ripresa e resilienza che apporti verso una transizione ecologica e una digitalizzazione dell’economia, con la missione di implementare i sistemi aziendali in uno stato di benessere e indurli verso uno stato maggiore di avanzamento tecnologico.    

Siamo difronte ad un riavvio del meccanismo inceppato di accumulazione da capitale e difronte ad un incentivo però anche di un monopolio e oligopolio che deve far preoccupare, in sintesi, ma la manipolazione strutturale pubblica sembra essere pilotata, e il fallimento dell’economia reale assicurata, perché si rincorre la direzione del grande capitale con spinte monopolistiche di accentramento senza ricadute nel circuito reale, e a carattere europeo e quindi multinazionale, pertanto le sovranità nazionali, e l’intraprese nazionali rischiano un default, reale, senza precedenti.

L’espandersi del capitale spinto ad un estremo economico, con il sostentamento dello Stato, inficia inevitabilmente sul libero mercato e sull’economia reale, ma la crisi, attuale in effetti sta deformando il capitalismo stesso, che in una sorta di autodifesa rigenerante, tenta la via del finanziamento statale.

Ma se lo Stato diventa definitivamente forza motrice del capitale, prendendo e dominando uno spazio economico maggiore, intervenendo a gamba tesa nell’economia globalizzata, crea un certo accorciamento delle filiere, e delle catene del valore con la possibilità di incrementare la produzione o interrompere il processo di produzione, e disporre delle materie prime, a suo piacimento. Ma il punto critico resta sempre il capitale bancario della BCE, che ha un peso pur sempre azionario e speculativo all’interno della governance pubblica, pur sempre destabilizzante.

La forbice Eurozona – USA denota che siamo ancora in Europa incapaci, di emulare strutturalmente un sistema che ci consenta di correre alla stessa maniera dell’economia americana, la quale macina record di impego dell’IA spaventosi, tal da determinare una crescita pari all’8% rispetto a quella europea intorno al- 4%, frenata non solo da un capitalismo ingessato, ma anche dalla sfiducia dei consumatori, che preferiscono aumentare il tasso di risparmio, e a minori investimenti pubblici, che induce a consolidamenti di bilanci forse anche a discapito di settori importanti, come l’istruzione e la sanità.

Autore

Economista, Bio-economista, web master di eu-bioeconomia, ricercatrice Unicas, autrice e ideatrice di numerosi lavori scientifici in ambito internazionale. Esperta di marketing. Saggista, studiosa di geopolitica e di sociopolitica. È autrice dei saggi “Il paradosso della Monarchia” e di “Europa Nazione”. Ha in preparazione altri due saggi sull’identità e sulla politica europee.