• 27 Luglio 2024
Editoriale

Ormai siamo arrivati al capolinea, dopo aver assolutamente, evitato di affrontare per anni la tematica , per eccellenza della decadenza demografica europea, ovvero, l’inverno demografico, l’UE, decide di risolvere il crollo della natalità, ricorrendo all’ausilio , meno opportuno, avvalersi di maggiore immigrazione, in altre parole servono più immigrati di quanti clandestinamente ne arrivano senza presupposti di una regolare strategia o politica di integrazione europea, che sia realmente in grado di risolvere o equilibrare la natalità. A quanto pare, siamo difronte ad un nuovo piano demografico, fulcro la famiglia, i giovani, gli anziani,  e i migranti, ma si colgono subito le prime reali incongruenze , perché economicamente il piano nasce e si implementa con l’obiettivo di aumentare la competitività, generando una mera programmazione di crescita e stabilità di bilancio, misure molto lontane dal cogliere il reale generatore del crollo delle nascite, che si oppone a sensori motivazionali culturali e sociologici molto identitari e necessariamente poco esautorati da una funzione parabolica di un sistema di profitto volto a essere moltiplicatore di relative ed esaustive dinamiche di natalità.

La situazione italiana sembra essere la più drammatica con tassi di fecondità tra i più bassi d’Europa, ovvero 1.24 figli per donna, dato assolutamente propedeutico ad una spirale di invecchiamento della popolazione nazionale, e la tutela delle politiche sulla famiglia, con funzioni altamente socializzanti sembrano apparentemente favorire la crescita del dato in oggetto, ma in realtà lo sviluppo non è esautorato perché, la mancanza di un economicità notevole non favorisce la messa in campo di prospettive sociali rivitalizzanti con metodi sinergici, in un ambito puramente relegato alla volontà individuale della coppia o della famiglia in quanto tale. Tutelare con sistemi preventivi per favorire chi vuol fare figli, non è un semplice elemento di punto economico da sviluppare, entrano in gioco, fattori legati al sentire o guardare con positività un futuro sociale, attualmente pregno di crisi globali, derivanti da prospettive belliche non comprensibili da un punto di vista di dinamiche di crescita.

Ossia entrano in gioco non solo fattori economici riduttivi, ma ancor più elementi psicosociali che sterilizzano la famiglia riducendola a mono figlio, non spronando a una interazione di natalità, fulcro di una identità e valori, dissacrati da un sociale fluido e progressivamente assopito da una stressante vivacità di aspettative, richieste da un apparire sociale, molto consumistico, sempre più dominante rispetto ad una tradizione familiare troppo sacrificante per la coppia e per la donna. In altre parole, la natalità e la sua performance biologica, suole essere relegata, ad un archetipo di vita non più moderno e paradossalmente portato avanti negli anni, quando la donna stessa, comincia ad avere il sentore del termine ultimo dell’orologio biologico, che deve essere esaudito, ma che rischia l’impossibile. Ma la maggiore incongruenza sociale, del piano demografico, è la perplessità oggettiva, che si spinge a preparare le nuove generazioni, non alla cultura della famiglia, ma del successo professionale, in una società dove l’occupazione porta a valori lontano dalla famiglia stessa.

Inoltre, i giovani europei vengono educati alla sfida secolarizzata del digitale, in una sorta di transizione, postmoderna generazionale, che sta alienando le menti, risorse uniche, dell’umanità di una generazione di giovani, subordinati allo sviluppo delle tecnologie avanzate, schiavi della tastiera, spersonalizzati in un metaverso, creato, per rendere l’io individuale privo di coscienza, fungibile ad una collettività social algoritmo inerte delle multinazionali. Altresì, non poteva non mancare, un ecologismo green, che sta decontestualizzando l’uomo ma anche i giovani, traslati in lotte planetarie per la salvezza dell’ecosistema, dimenticando l’ unicità della stessa esistenza, in un illuminismo di valori, illuminati a prolungare la vita e le sue aspettative di vita oltre il paradosso della realtà , che semanticamente ci dipinge non più avanti negli anni come anziani ma in una sorta di finta pluralità proteica che definiamo, una longevità, surreale, apparente, e fittizia.                          

Ma la vera criticità del piano demografico europeo, e non ricercare di lentare la morsa delle difformità  politiche, accentratrici di valori, surreali che non risolvono la statistica sterile della natalità morente, che non preparano ad una cultura di risveglio delle nascite, ad un amore per la vita e alla sua tutela premurosa, con incentivi educativi e famigliari, che pongono la donna ad una centralità dimenticata della società, preservandola dal baratro di donna solamente oggetto, e coadiuvando la sua essenza a realizzarsi sia come madre e che come individuo sociale. Siamo in una società dove si cerca un ruolo, che sia un ruolo possibilmente di successo e di visibilità, naufragato e suffragato dai social promozionati al fine di distoglierci dalla vera essenza della vita e per la vita.

Pertanto, si sta incentivando, con politiche di alta accoglienza integrativa, di far ricorso a forme di partenariato con i paesi terzi, ossia facilitando l’arrivo di giovani preparati, parliamo di una immigrazione regolare e programmata nonché programmatica, fungibile ad una natalità carente e sempre meno supportata.

La decadenza demografica resta uno degli indicatori più rilevanti, dunque, che ci fa percepire un futuro insostenibile, che parte dalla ristrutturazione del dato statistico della natalità , oggi riformattato nella rilevanza di fecondità assunta, fino a giungere al problema di una popolazione che sta invecchiando e oltre alla sua futuribile inefficienza demografica e inefficacia economica, creerà una dicotomia con il resto d’’Europa rilevante, ma non basterà assumere una migrazione altamente preparata con un livello di scolarizzazione adeguato,  per sopperire alle figure professionali necessarie, ma il vero paradigma passerà attraverso un assioma di identità e di italianità perduta, che non recupereremo, con surrogati di forza lavoro. Una Nazione è un patrimonio di cultura e di valori che sono congeniti in generazioni da secoli e che la loro prossimità ad una natalità congrua, consente una loro immortalità sociale.

Dobbiamo attrarre nuovi talenti ma dobbiamo conservare i nostri talenti, creando una sostenibilità del lavoro, del quotidiano, che consente prevalentemente alle donne di sostenerlo, e agli uomini di emularlo in uno stile di vita più prossimo ad una qualità umana che consenta all’individuo di esistere e riconoscersi, senza perdere sé stesso e la sua identità. Il problema dell’identità umana e della sua tutela, passa, dunque attraverso la vita e dalla sua capacità di rigenerarla, le società globali stanno invecchiando, non solo il continente europeo, con capo fila l’Italia avvertono questo fenomeno incontrovertibile, anche la Cina, che sembra divenire vecchia ancor prima di divenire ricca, surclassata dall’India dove la natalità è performante. IL mondo asiatico, ha infatti seri problemi pensionistici, il salto generazionale, nell’arco di pochi decenni si è trasformato, ricorrendo a politiche di tutela delle nascite, incentivandole offrendo sussidi alle famiglie, ma il calo demografico sembra invincibile, infatti la passata mancanza di lungimiranza a spinto a restrizioni  atte a scoraggiare le nascite, e a formulare una società troppo patriarcale che oggi cozza con la realtà, o meglio con una esigenza demografica, di una popolazione giovane in età lavorativa, risorsa e fonte di un sistema e di una strategia di sviluppo economico.

Robert Malthus già nel 1798 introduce il tema dell’apocalisse demografica che incombeva sull’umanità, infatti, nell’arco del XIX secolo la crescita resta ferma al 68 %, con un ritmo rallentato nel 1990-95, ancor più oggi, quindi le previsioni per il 2100, non sono positive, come indicato dal World Population Prospect già nel 1950. I problemi della natalità, e in particolare della denatalità, sono sempre stati oggetto di considerazione notevole a seconda delle varie ere storiche, benché i metodi assunti per far fiorire la popolazione, hanno reso sempre o quasi sempre dei risultati modesti. Nel 1927 il governo Mussolini seguì una politica di incentivi ai matrimoni e alle nascite, con premi alle famiglie numerose, e di penalizzazione del celibato, nonostante ciò, le improbabili carenze non furono del tutto colmate.

E le teorie e ideologie demografiche si fecero carico di interpretare la realtà e la denatalità in funzione di essa, ma sebbene si rivelò una maggiore concentrazione della popolazione nelle città a discapito della ruralità, le fatiche politiche di natura riformista non produssero un incremento notevole delle nascite.

Si individuò come elemento sociale, di denatalizzazione, anche l’emancipazione della donna, il suo repentino cambiamento di ruolo, la sua indipendenza economica, fu considerato un reale allontanamento dalla famiglia, intesa in senso classico, portando la donna a prediligere una sorta di artificioso ruolo parimenti all’uomo che ancora oggi perdura con un quasi totale rifiuto della maternità.  Oggi, l’ossessione perenne, non è più l’emancipazione femminile, relegata ad un antefatto storico, dell’evoluzione tecnologica, e digitale, nemmeno la sua radicale defemminilizzazione apparente, simbolo di una sostanziale fluidità sessuale e di intellettualizzazione progressiva, che denota anche un superamento delle pari opportunità, infatti, resta nell’agenda europea, un imposizione forzata nel discutere del cambiamento climatico a discapito inclusivamente, dei rilevati tassi di fecondità, senza tener conto dell’overpopulation dei paesi poveri, subordinati allo sfruttamento delle multinazionali cinesi e della loro politica di espansione.

Il patto demografico, proposto dall’Europa, pur riconoscendo la decadenza demografica, in corso e le minacce alle quali siamo esposti per il futuro, evidenziano e motivano ossessivamente la correlazione tra i flussi migratori e i rilevanti cambiamenti climatici, sottovalutando, il crollo delle nascite dell’occidente, che a misura d’uomo, storicamente riscontra notevoli problemi di adeguamenti politici ed economici. La divergenza persiste ancora oggi, e le misure adottate dalle nazioni europee,  sono sottostimate rispetto alla soluzione del problema, perché non incentrano lo stesso in maniera complessiva in tutte le dinamiche sociali che si devono finanziare nell’ambito politico ed economico, ma puntano selettivamente, a motivare e sostenere  il nucleo famigliare, sebbene sia esso il fulcro mirato della natalità e della sua crescita.

Infatti, la sostenibilità della vita, orientata verso un primario investimento economico o affettivo sul l’incremento dei figli nel nucleo familiare, oggi si attesta e permane comunque, inferiore ad un tasso dell’1.5, spingendo verso il modello del figlio unico medio, modello che nell’arco di una generazione fa intravedere l’ombra dell’estinzione, o comunque un invecchiamento radicale della popolazione europea. Bisogna adottare un innovante cambio di paradigma, che sia di stampo culturale per modificare e approcciare le politiche demografiche in maniera sostanziale, ovvero la sfida deve essere del  tutto italiana , per sovvertire le negatività sia sul piano del lavoro e occupazionale, poiché vi sono sempre più persone in età pensionabile, che sono un costo e sempre meno in età lavorativa, e sempre meno donne in età feconda, pertanto, questo fenomeno demografico non è controvertibile con un bilancio spendibile e sostenibile, bisogna modificare l’epicentro del sistema, focalizzare l’attenzione su politiche del tutto femminili, in ogni ambito economico e sanitario, ne deriverà un sistema e un circuito nazionale, proteso verso un a nuova era generazionale. Basta con la politica del salario minimo, le donne devono essere il fulcro del sistema salariale, con ampi congedi di maternità e paternità ad hoc per ogni circostanza, in altre parole una efficiente ed efficace conciliazione tra vita e lavoro, con una strutturalità del sistema sovvertito a vantaggio della natalità. Dobbiamo studiare una ripartenza demografica, fatta di ampi investimenti strutturali e con politiche di sostegno alla maternità, di ampio respiro, la frammentarietà non porta soluzioni, i demografi, scienti del problema spingono verso politiche di prospettive inclusive, un ritorno ad una vita semplice e organizzata che ridimensiona i notevoli problemi esistenziali generazionali.                                            

Autore

Economista, Bio-economista, web master di eu-bioeconomia, ricercatrice Unicas, autrice e ideatrice di numerosi lavori scientifici in ambito internazionale. Esperta di marketing. Saggista, studiosa di geopolitica e di sociopolitica. È autrice dei saggi “Il paradosso della Monarchia” e di “Europa Nazione”. Ha in preparazione altri due saggi sull’identità e sulla politica europee.