In Italia, gli anni Settanta del secolo scorso sono stati un decennio cruciale. Da un lato, sotto il profilo politico, in quel frangente storico si assistette al radicalizzarsi degli scontri tra “opposti estremismi”,  furono gli “anni di piombo”, seconda fase della guerra civile italiana. Il mondo della cultura, al contrario, mostrava una non comune vivacità, in particolare in ambito musicale. Tale duplicità dei Settanta è ben testimoniata all’ultima fatica di Guido Mina di Sospiro, Terrore e musica, nelle librerie per i tipi di Lindau (pp. 256, euro 19,00). Il volume è articolato in una premessa, in 19 capitoli e tre brevi Appendici. Presenta, nella prosa affabulatoria, snella e graffiante dell’autore, i pregi della migliore narrativa mentre, per la puntuale ricostruzione storica degli eventi narrati, in forza di una non comune conoscenza della documentazione storica e giornalistica in tema, può anche essere letto quale saggio su cultura e politica in quel decennio tragico e, per certi versi, cruciale per la comprensione della contemporaneità.

In realtà, Terrore e musica, è qualcosa di più di un semplice romanzo e di un saggio documentato. È, fondamentalmente, la storia dell’educazione sentimentale, della formazione dell’autore che ha, quale sfondo di scena, la città in cui visse dopo il ritorno in Italia dall’Argentina, dove è nato. Mino di Sospiro discende da un’antica famiglia, e la città in cui trascorse l’adolescenza è Milano, epicentro delle tensioni sociali e politiche allora in essere. Mina è abilissimo nel ricostruire, in medaglioni dal tratto fotografico,veri e propri “scritture di luce”, le atmosfere di Milano, città grigia e nebbiosa, per la quale l’autore prova un sentimento commisto di amore e odio, come Joyce per Dublino. Fa rivivere, sulla pagine, il primo incontro con il preside del liceo scientifico Leonardo da Vinci. Questi lo introdusse al “clima” dell’epoca, nel quale il giovane che si affacciava alla vita avrebbe dovuto muoversi, mostrandogli una vetrata della presidenza crivellata dai colpi di proiettili delle “avanguardie proletarie” che “animavano” quella scuola. Ricorda, inoltre, i picchetti davanti all’ingesso, che spesso si concludevano con pestaggi. Dalle descrizioni si evince lo sconcerto che egli allora provò di fronte a tali scene drammatiche. Mise in atto, per poter sopravvivere in tale realtà, una sorta di “mascheramento” sostanziato di distanza atarassica nei confronti dei sostenitori del “tutto è politica”.

La maschera di Mina è quella dell’impolitico in senso manniano, che è, si badi, essa stessa in qualche modo politica, in quanto centrata sul rifiuto di un presente inaccettabile. Mentre esteriormente l’adolescente sembrava partecipare alla “recita” dei più, il suo foro interiore si formava e rafforzava soprattutto nell’interesse per la musica. Mentre Milano viveva giornate drammatiche (il pestaggio e la morte di Sergio Ramelli, come quelle di alcuni militanti di sinistra, sono rievocati con toni commossi) e l’Italia precipitava nella “strategia della tensione”(eterodiretta, oggi è chiaro, dagli effettivi detentori del potere), Brigate Rosse e stragisti divennero protagonisti indiscussi della cronaca. Il nostro autore, nella Milano delle  “bottiglie Molotov”, incontrò il noto Maestro di chitarra Brambilla, che: «si sentiva in dovere di insegnare […] l’armonia, quindi gli accordi, la progressione degli stessi» (p. 21). Mina, a riguardo, chiosa: « la chitarra mi diede, fin dall’inizio, una sensazione di felicità che rasentava l’ebbrezza» (p.21). La medesima sensazione che provava nel frequentare i concerti con gli amici o durante le onnivore letture nelle sale della biblioteca Sormani.

Queste letture compensavano la formazione di parte, politicizzata, che veniva impartita nelle aule del liceo. I docenti del Leonardo, la loro personalità e cultura, vengono presentate  in  stilizzazioni sferzanti e riuscite. La professoressa Sprezzante riteneva che: «la matematica si fosse fermata a Cartesio, la fisica a Newton, la geometria a Euclide» (p. 36). Disprezzavano, la docente e i suoi colleghi, il “qualunquismo” dell’uomo della strada: dalle loro “lezioni” di marxismo alla gauche caviar era possibile difendersi solo con il ricorso all’ironia. La scoperta della musica di Monteverdi risultò essenziale per comprendere la realtà di quegli anni: «Fu Monteverdi a inaugurare gradualmente i tre secoli del periodo tonale adottando l’accordo di settima dominante» (p. 31). In musica, un campo gravitazionale, rileva Mina, mette in atto una forza eccezionale capace di indirizzare l’ascolto. In politica, le ideologie: «erano in grado di esercitare forze gravitazionali (che)  costringevano la gente a uccidersi a vicenda» (p. 32), in nome dell’astrazione concettuale che nulla sa della vita e del primato della persona.

Una diversa visione del mondo il giovane incontrò nel trattato di Sallustio, Sugli dèi ed il mondo  e durante la prima rappresentazione della, Passione secondo Matteo di Bach, diretta da Antoine-Pierre de Bavier, organizzata dalla madre di Mina. Una sorta di musica delle sfere, illuminante, calata nella realtà nebbiosa e magica della Milano della P 38, delle chiavi inglesi e dell’eroina dilagante tra i giovani. Lungo la strada della sua educazione sentimentale, a un certo momento, per il nostro autore, libri, musica, viaggi, amori adolescenziali, non parvero più adeguati alla scelta di vita da“convitato di pietra” negli “anni di piombo”. Subentrò un ulteriore distacco, più profondo, dalla realtà storica. Mina lo ha di fatto trascritto,assieme ad amici fidati, nel cortometraggio, Heroes and Villains, proiettato nella Cineteca di Milano. Mina ricorda l’ostracismo incontrato nel promuovere questa produzione cinematografica. Allora, bisognava essere parte di una “cordata” politica per ottenere l’attenzione di critica e di pubblico. Da uomo libero, l’autore si sottrasse al ricatto ideologico. Fu sollevato dalla delusione, dalla scoperta della musica di Nick Drake: «Ne avevo imparato anche i testi e passavo […] tempo a cantarli e a suonarli» (p. 215).

Nella chiusa del volume, il valente scrittore nota: «l’idea che la violenza sia giustificabile, anzi necessaria, permea la storia e l’antropologia italiane» (p. 233). Un insegnamento da tenere in debito conto. Terrore e musica è, a parere di chi scrive, libro jüngeriano. Elegge il foro interiore a luogo di custodia della libertà, in un mondo che tende, sempre più, a negarla.